Finn
Mi dirigo lentamente verso la cappella, immerso nei miei pensieri.
Una volta giunto lì, però, mi fermo appena prima di entrare. Il portone è aperto e mi permette di intravedere la sagoma della ragazza in ginocchio, a testa bassa, mentre padre Adalfuns parla con voce calma; non riesco a distinguere le parole che le sta dicendo, ma ha tutta l'aria di essere un messaggio rassicurante.
Aggrotto la fronte. Lui sa che lei è una strega, dunque perché si comporta così?
E se...
Scuoto la testa, impedendomi di portare a termine il pensiero. Lei è una strega, questo è un dato di fatto, senza se e senza ma.
Rimango fermo, attendendo che finisca di confessarsi. Non aspetto molto, perché dopo pochi minuti il frate fa il segno di croce e la congeda con una breve pacca sulla spalla, facendole cenno di alzarsi.
Lei china il capo e si alza solo dopo aver fatto a sua volte il segno della croce, guardando l'altare.
Stringo i denti. Chi adora davvero? Le tenebre di Lucifero o la luce di Cristo? Il suo comportamento mi confonde, non riesco a capirla.
Avanzo lungo la navata centrale, tossicchiando appena per segnalare la mia presenza.
Aris si volta di scatto verso di me, colta di sorpresa dal mio ingresso. Mi fermo, rimanendo a qualche passo di distanza da lei; ancora non so come agire e soprattutto che decisione prendere.
Le indico il corridoio con un cenno del capo, mentre mi inginocchio verso l'altare e saluto a bassa voce padre Adalfuns, scambiandomi con lui uno sguardo complice.
Lui, in risposta, scuote la testa. Mi irrigidisco appena, ma mi volto ed esco dalla cappella senza indagare, ripromettendomi di parlargli più tardi. Che cosa vuol dire il suo gesto? C'è qualcosa che dovrei sapere e di cui non sono al corrente?
Raggiungo la ragazza facendo il possibile per scacciare tali pensieri dalla mia mente e incrocio le braccia al petto.
-Aris- il suo nome mi suona così strano sulla lingua, non l'avevo mai pronunciato prima d'ora.
Lei sussulta appena; solleva lo sguardo su di me, aggrottando lievemente le sopracciglia ramate.
Mi mordo la lingua. Perché l'ho chiamata per nome?
-Ti rendi conto del rischio che hai corso?- continuo però, guardandola negli occhi.
Lei abbassa il capo, guardando il pavimento ed evitando di rispondere, dunque proseguo:
-Poteva ucciderti, non sapevi nulla di lui. E se io non l'avessi visto? Avrebbe potuto...- il fiato mi muore in gola.
Una consapevolezza agghiacciante prende vita dentro di me: non aveva paura di Brandt perché tutto ciò che le sto elencando è quello che avrebbe rischiato comunque con me.
Forse Gerhardt ha ragione, sono davvero diventato un mostro.
Ora che posso ucciderla, mi rendo conto di quanto sarebbe crudele stroncare una vita così presto, nonostante ogni colpa che potrebbe aver commesso.
-Non uccidetelo, vi prego- il suo sussurro mi coglie alla sprovvista, tanto che rimango senza parole per qualche istante.
-Perché ti importa di lui? Nemmeno lo conosci- ribatto poi, allargando le braccia.
-Mi avrebbe salvata. Ha rischiato la vita per provarci- è la sua breve risposta.
-Sa di te, non posso lasciarlo libero- replico subito, scuotendo la testa -non... non adesso.
-Non adesso?- mi fa eco lei, risollevando il capo -dopo la mia morte però sì, vero?- la sua frase pare più una provocazione che una domanda, e forse è proprio così.
-No- rispondo però -tu non conti più nulla. Ora sono io quello che sta rischiando.
La verità è questa, in fondo; me ne rendo conto del tutto soltanto ora che la pronuncio ad alta voce.
Sono stato usato come una pedina nel gioco che pensavo di star dirigendo io.
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Bewitched
Historical FictionNorimberga, 1352. Aris, una giovane fanciulla cresciuta fra i campi bavari, viene cacciata dal convento dove stava per prendere gli ordini con un'accusa bruciante: stregoneria. Costretta dunque alla fuga, non riuscirà a scappare a lungo dai frati do...