Capitolo 50

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Aris

Mi sono svegliata tardi, stamattina; presumo che Marvin passerà fra poco a portarmi il pasto, dunque dovrei avere tempo per cambiarmi e sistemarmi.

Apro dunque l'armadio dove ho riposto gli abiti che Finn ha fatto fabbricare per me, e accarezzo la stoffa pregiata con i polpastrelli. Il mio sguardo scorre sui vari colori, arrestandosi sull'indaco: non avevo mai potuto nemmeno sfiorare un abito di quel colore, ben consapevole di quanto il suo valore fosse irraggiungibile per una contadina quale ero.

Eppure ora, di fronte a me, ho un intero vestito di quella tonalità e nessun'amica a cui mostrarlo o con cui vantarmene; che strani scherzi gioca la vita, a volte.

Prendendolo con delicatezza in mano, mi sposto nel piccolo ambiente dedicato all'igiene personale e mi spoglio; ho preso l'abitudine di ritirarmi a farlo qui, per evitare che qualcuno entri nella mia stanza all'improvviso e mi veda. Persa nei miei pensieri, comincio a pettinarmi i capelli con le mani, giocherellando con le ciocche rosse che creano contrasto con la mia carnagione chiara.

Una parola inconfondibile, però, rompe dopo poco l'atmosfera calma e tranquilla.

«Streghetta» so chi è senza nemmeno aver bisogno di chiederlo; la sua voce profonda ormai mi è familiare come poche altre, risuona costantemente nella mia mente. Forse anche troppo.

«Arrivo» rispondo infatti, affrettandomi a mettermi addosso la sottoveste. Sussulto, avvertendo contro ogni previsione il rumore secco della porta che sbatte. Afferro il vestito, indossandolo frettolosamente, e cerco di sistemarlo con il cuore in gola.

«Esci» ringhia Finn. Posso già immaginarlo, in piedi di fronte alla porta del bagno con le braccia incrociate. Quanto lo odio.

«Mi sto preparando» protesto, indaffarandomi nel tentativo di legare i lacci del corpetto «maledizione» sussurro, mordendomi le labbra nella foga.

Lo avverto inspirare profondamente, prima di forzare la serratura della porta con un colpo deciso.

Avvampo, indietreggiando verso il muro e avvolgendomi il busto con le braccia, in uno spontaneo tentativo di coprirmi.

Lui avanza, impassibile come suo solito, a mento alto.

«Cosa mi hai fatto, strega?» sussurra però, piantando gli occhi gelidi nei miei.

Aggrotto la fronte, mentre faccio aderire del tutto la schiena alla parete nel tentativo di porre più distanza possibile fra noi due.

«Non capisco cosa intendete» ribatto.

«Invece lo capisci eccome» replica l'uomo, arrivando a pochi passi da me «fai smettere tutto questo, o per te sarà la fine».

«Non sto facendo niente» scuoto la testa, stringendo i pugni. E ora cosa vuole?

«Tu menti, strega» insiste lui, alzando la voce di scatto. Poggia le sue mani sulle mie spalle, avvicinandomi a sé «menti» ripete, abbassando il volume.

«Non so neanche di cosa state parlando, ve lo assicuro» ribadisco, scuotendo la testa; i miei occhi si fermano nei suoi, incastrandovici, e scopro con un sussulto interiore che oggi hanno assunto un'inaspettata sfumatura color indaco.

«Allora perché...» Finn sembra improvvisamente parlare a sé stesso, perso nei suoi pensieri «perché non mi vuoi dare pace?» non cerca risposte da me, ma dalla sua mente. Cerca risposte che forse vorrei sapere anche io.

Rimango in silenzio, trattenendo il fiato; cosa significano le sue parole?

«Aris» sussurra tutto d'un fiato, con un tono di colpo più sommesso. Aggrotto la fronte, stupita dalla serietà che ora permea il suo sguardo.

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