Capitolo 42

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Finn

Finisco con calma di congedare ogni consigliere invitato; non c'è fretta, anzi, devo approfittare di ogni istante a disposizione per rafforzare i nostri rapporti.

La riunione è andata bene, come mi auguravo. Si sono dimostrati coinvolti e persino dispiaciuti per l'aumento del mio dissapore con Gerhardt, già preesistente ma mai giunto ad un tale livello, e condividono la mia speranza sul fatto che ciò non destabilizzi la già fragile Norimberga.

Il consiglio interno è composto da otto membri: avere la certezza del sostegno di cinque di questi è una grande cosa, che mi fa sentire, almeno momentaneamente, con le spalle coperte.

Sono consapevole, però, che è ancora tutto da vedere: Gerhardt deve ancora parlare pubblicamente e le sue parole potrebbero far vacillare qualche coscienza.

Non è solo lui a potermi compromettere, mi ricordo con fastidio. Bartholomäus sa che suo figlio è rinchiuso nelle mie prigioni?

Non ne ha le prove, ma basterebbe un breve controllo per accertare i suoi eventuali sospetti; certo è che imprigionare senza processo il figlio di uno dei consiglieri è un crimine, ma non potevo agire altrimenti.

Carlo aveva imposto che nessuno venisse a sapere dell'esistenza di Aris, dunque non potevo -e non posso tutt'ora- lasciarlo libero.

Sospiro appena, dirigendomi verso la stanza della ragazza; ho mandato Marvin da lei ormai mezz'ora fa, dovrebbe aver già provveduto a portare abiti e quant'altro. Strano che non mi abbia ancora riportato indietro le chiavi.

Aggrottando la fronte, affretto il passo; arrivato di fronte alla camera, spalanco la porta senza preamboli e appoggio in simultanea la mano destra sull'impugnatura della spada, pronto a sfilarla in caso di bisogno.

La scena che ho di fronte, però, mi coglie impreparato.

Marvin, appoggiato al muro, avvampa e raddrizza la schiena, abbassando lo sguardo. Aris, invece, seduta sul letto, mi guarda in silenzio, con le labbra socchiuse dalla sorpresa.

Sono distanti, sì, ma cosa stavano facendo?

-Mio Signore- sussurra il mio scudiero, avanzando di mezzo passo nella mia direzione.

Vedo la strega osservarlo con preoccupazione; teme forse che io gli faccia del male? Si preoccupa per lui?

-Fuori- gli intimo freddamente. Con lui farò i conti dopo.

Lui esita qualche istante ma annuisce, consegnandomi le chiavi e superandomi nell'uscire dalla stanza.

Chiudo la porta con un colpo secco, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza. Rimango in silenzio, limitandomi a squadrarla e a ripensare a tutti i sospetti, le visioni e i sogni che mi hanno tormentato in queste ultime ore.

L'ultima volta che l'ho vista, l'ho stretta a me e le ho confidato la mia angoscia, rendendomi debole e vulnerabile; ecco a cosa ha portato quel gesto: una maledizione.

-Conte- mi saluta lei, alzandosi dal letto e sistemandosi con piccoli gesti l'abito che indossa. Solleva poi lo sguardo verso di me, tenendo il mento alto con fierezza.

Le ammonizioni che stavo per rivolgerle mi muoiono in gola, dunque richiudo la bocca e riprendo fiato; stringo la mascella, concentrandomi, ma l'immagine del suo corpo torna ad imporsi sui miei pensieri. Signore, ti prego, dammi pietà.

-Hai trovato gli abiti di tuo gradimento?- chiedo, incrociando le braccia al petto e fissandola negli occhi, frenando così ogni altra fantasia.

-Assolutamente, ve ne ringrazio- replica lei con un sorriso divertito -li indosserò nelle mie passeggiate per la stanza.

Mi irrigidisco, cogliendo senza fatica la provocazione, ma sollevo le sopracciglia e le rispondo a tono:

-Se vuoi sfoggiarli in altre stanze, streghetta, devi solo chiederlo.

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