Capitolo 43

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Aris

Strabuzzo gli occhi e avverto nel contempo le mie guance che prendono fuoco. Come si permette di rivolgersi così a me?

Tento di rispondergli a tono, ma la protesta mi muore in gola quando noto il suo sorriso divertito che, per una volta, non sembra intriso di superiorità. La realizzazione mi coglie di sorpresa: sta scherzando genuinamente, provocandomi senza volermi sminuire o insultare.

La frase di Marvin mi ritorna di colpo in mente: "Tiene molto a voi, ve l'assicuro, anche se lo nega perfino a sé stesso". Aveva forse ragione? Non si stava prendendo gioco di me? 

Sorrido, riportando l'attenzione sul dialogo.

-Grazie per l'offerta, ma rimango volentieri nei miei alloggi- replico.

Lui non ribatte ulteriormente, scuotendo la testa con divertimento.

-Il mio scudiero ti ha fatto avere tutto ciò di cui hai bisogno?- mi chiede invece.

-A parte la libertà, il resto sì- rispondo con prontezza; provocarlo così è rischioso, me ne rendo conto, ma ho bisogno di capire cosa pensa in questo momento e cosa vuole fare davvero.

I suoi lineamenti paiono irrigidirsi non appena sente la mia frase; si passa una mano sul mento, premendo le dita sulla barba incolta. Solo in quel momento noto le leggere occhiaie che gli circondano gli occhi, dando al suo volto un aspetto più incavato. Appare provato, più del solito.

Tutto questo è a causa mia? Non credo, come potrei aver causato problemi così gravi?

Finn avanza nella mia direzione, senza lasciare che il contatto visivo fra noi si interrompa.

-Lo sai che non posso lasciarti andare via, streghetta. Puoi continuare a provare a fuggire, a maledirmi, ad ingannarmi, ma non uscirai da qua senza il mio consenso- sussurra, chinandosi verso di me e quasi sfiorandomi l'orecchio con le labbra.

Rabbrividisco, socchiudendo gli occhi.

-Dunque rimarrò qui per il resto della mia vita?- chiedo a bassa voce, anche se non sono sicura di voler sapere la risposta.

-Oh, non credo. Dobbiamo solo aspettare che, là fuori, tutti si dimentichino di te, mentre io sistemo i danni che tuo padre ha così generosamente causato- mi risponde lui, senza allontanarsi da me. I suoi capelli scuri mi solleticano appena il volto, ma non mi scosto.

-Non tornerà?- domando titubante; è possibile sentire la mancanza di qualcuno che non è mai stato presente per davvero?

-Non lo so, streghetta. Non ne ho la più pallida idea- la sua mano si muove lentamente, poggiandosi sul mio fianco -Temo che la questione dell'erede abbia calamitato ogni sua attenzione.

Trattengo il respiro, annuendo piano.

-E se fosse una femmina?- insinuo.

Una risata breve ma profonda si propaga dal conte, che schiocca la lingua contro il palato.

-Le tue doti malefiche sarebbero così elevate da permetterti di fare questo?- mi provoca, accarezzando il mio fianco con delicatezza, senza apporre pressione.

-Credete ancora che io sia una strega?- ribatto, sollevando il viso quando mi basta per incrociare il suo sguardo; i suoi occhi chiari sembrano quasi lampeggiare, illuminati dall'interno.

-Se lo credo? Oh, io ne ho le prove- replica, poggiando anche l'altra mano sui miei fianchi.

Rimango in silenzio, aggrottando la fronte e aspettando che continui, ma lui non prosegue.

-Ora, con permesso, torno ad occuparmi dei miei affari- si stacca da me come se nulla fosse, senza perdere però quel sorriso divertito che è spuntato sulle sue labbra da così poco ma che pare spontaneo e naturale.

-Buon lavoro- chino il capo, guardandolo mentre riapre la porta, e lui ricambia il gesto, allontanandosi poi a passo svelto.

Le mie labbra si schiudono. È la prima volta che fa quel gesto nei miei confronti.

Mi ha mostrato rispetto.


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