Capitolo 22

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Aris

Lo odio così tanto da passare le ore successive ad attendere il suo ritorno.

Mi tormento le mani, senza mai smettere di riflettere su come uscire.

Sono chiusa in una torre a chissà quanti metri da terra, bloccata da un portone la cui unica chiave è posseduta dal mio carceriere, che sembra piuttosto restio a cadere negli inganni.

Eppure non riesco a non pensarci.

Ho la sensazione, dentro di me, che arrendermi vorrebbe dire accettare di stare per morire.

La consapevolezza della mia innocenza non basta più; non so quando né come, ma non rimarrò qui per sempre.

Prima o poi uscirò da questa torre, ma temo che non sarà un evento che mi regalerà di nuovo la libertà. Anzi.

Spero che la confessione mi possa aiutare a schiarirmi le idee e ad affrontare meglio questo castigo che mi sta venendo imposto, ma nel frattempo non posso fare altro che attendere.

L'impotenza è una delle cose che faccio più fatica a sopportare; preferirei scappare, correre, darmi alla fuga, piuttosto che rimanere ferma, con le mani in mano, senza capire cosa sta accadendo intorno a me.

È proprio questo che mi crea più confusione: il dubbio verso il futuro.

Morirò? Sì, sicuramente. A breve? Questo non posso saperlo. 

Mio padre tornerà a trovarmi e mi garantirà una vita felice? Lo spero, anche se non riesco a crederci del tutto. Le sue parole suadenti e dolci sono state un balsamo solo momentaneo per le mie ferite, accumulatesi nel tempo. E poi... ho sentito come si comportava con Finn.

Quando pensava di non essere ascoltato, parlava di me con molto meno interesse ed entusiasmo. Come se fossi solo un problema da risolvere.

Chiudo gli occhi, premendo la fronte sulle mani e pregando in silenzio. Mi rimane solo questo.

Immersa nella penombra esterna, che riflette forse quello che provo dentro di me, provo a dimenticarmi di tutto ciò che mi circonda.

Mi addormento, sfinita dall'accumularsi di avvenimenti infausti, e rimango sdraiata sulla stuoia.


Tre colpi decisi al portone rompono la cupa quiete che si era posata sull'intero ambiente, svegliandomi brutalmente.

Mi alzo di scatto, avvicinandomi di qualche passo alla porta.

Finn entra in silenzio, chiudendosi la porta alle spalle. Mi blocco, accorgendomi di alcuni dettagli che mi colgono di sorpresa.

Ha le mani occupate dal vassoio di prima e da un grande sacco di pelle, ma oltre a quello sembra essere ferito.

Sul braccio sinistro, la manica della sua casacca è strappata e macchiata di quello che sembra essere sangue.

-Prendi- dice a voce bassa, porgendomi il vassoio che stringe fra le mani. Lo afferro prontamente, senza però smettere di guardarlo.

Lui getta a terra il sacco, avanzando di un solo passo, e aggrotto la fronte.

Sui palmi delle mani sono visibili dei segni rossi, che sembrano provocati da una lama sottile.

Finn tiene lo sguardo basso ed indica la sacca con un cenno del capo.

-Ci sono degli abiti, lì dentro- mi spiega.

Annuisco. Non riesco a parlare, non so che cosa posso permettermi di chiedergli.

Lui appoggia la schiena alla parete di legno e si lascia scivolare per terra, abbandonando la testa contro il muro.

Mi avvicino di qualche passo, rimanendo però ad una dovuta distanza, e mi siedo anche io.

-Posso fare qualcosa?- sussurro appena; non gli domando cos'è accaduto, non mi risponderebbe.

-Devi stare qui, ferma- ringhia lui, scuotendo la testa -senza farti vedere da nessuno. Nessuno deve venire a sapere che sei qui, sono stato chiaro?

Rimango in silenzio. Volevo provare ad aiutarlo, ma evidentemente rimane convinto che il problema sia io. Pensa forse che lo stia maledicendo?

-Giuramelo, streghetta- aggiunge, sollevando il capo e sporgendosi appena nella mia direzione.

Annuisco rimanendo immobile, scottata dallo sguardo febbrile che anima il suo volto impassibile.

-Va... va bene- accetto, poggiandomi le mani in grembo.

Non vuole farsi avvicinare da me, dunque non lo forzerò.

Mi pento della mia iniziativa, forse fraintendibile, ma mossa dal mio istinto benevolo. Volevo aiutarlo, non per persuaderlo a cambiare opinione su di me o per convincerlo a farmi scappare, ma perché sta male e dunque è bisognoso di cure.

Perché ha questi pregiudizi su di me?

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