Capitolo 52

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Aris

Le mie braccia ricadono lentamente lungo i fianchi, mentre la realizzazione dell'accaduto piomba su di me.

Le labbra sembrano bruciare, infiammate da quel tocco proibito e sbagliato.

Non mi sarei mai potuta aspettare un tale gesto, e la sorpresa mi ha impedito di ragionare e agire lucidamente.

Non mi sono sottratta a lui, al suo tocco, al suo bacio.

Un senso di impurità mi assale, stringendomi lo stomaco in una morsa impietosa.

Solo due settimane fa, mi preparavo a prendere i voti in un convento di clausura. Ora sono qui, in piedi, tremante, a constatare l'avvenimento di un gesto che non avevo previsto.

-Permesso- esordisce Marvin, distogliendomi dai miei pensieri mentre entra nella mia stanza -ho qui il vostro pranzo- mi dice, piano.

Avverto i suoi occhi sondarmi con un'attenzione mista a preoccupazione, e il rossore sulle mie guance aumenta. Sospetta forse qualcosa?

-Come state?- mi chiede, la voce annebbiata da un'ombra di esitazione.

-Bene, grazie- rispondo, in un sussurro incerto.

Il cuore mi batte all'impazzata nel petto dall'agitazione; la sensazione che il contatto a me fino ad ora sconosciuto mi ha causato è indescrivibile, corre sotto la mia pelle e mi avvolge le membra.

Eppure... io non lo desidero, lo so per certo. Lo rispetto, riconoscendone il ruolo di potere, e in fondo so di dovergli essere grata, nonostante il trattamento spesso rude che mi ha riservato.

-Se avete bisogno di confidarvi, sapete che potete contare sulla mia riservatezza- mi ricorda Marvin, senza però insistere ulteriormente.

Faccio un lieve cenno di assenso, in risposta, e abbozzo un sorriso.

-Grazie- replico con sincera riconoscenza. Apprezzo la sua volontà di aiutarmi, ma non ho intenzione di divulgare ciò che è appena accaduto.

La mia vergogna me lo impedirebbe.

Nessuno lo verrà mai a sapere; ho avuto un momento di debolezza che solo queste quattro mura -e Finn, temo- ricorderanno.

Socchiudo gli occhi, pregando che il conte se ne dimenticasse al più presto o che mi spiegasse le motivazioni dietro ad un tale comportamento, ma dentro di me so che non riceverò mai chiarimenti a riguardo. Non da lui, perlomeno.

Marvin appoggia il vassoio ricolmo su un piccolo tavolo appoggiato al muro e china il capo.

-Buon pranzo, madonna- mi saluta rispettosamente, prima di congedarsi e richiudere la porta alle sue spalle.

Eccomi qui, dunque: fisicamente prigioniera in una gabbia dorata, mentalmente incatenata in un intricato cespuglio di emozioni ed incomprensioni.

Tornerò mai ad essere libera?

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