Capitolo 20

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Finn

La osservo avanzare verso di me e rimango immobile per qualche istante, colto di sprovvista. Ero abituato a vederla indietreggiare spaventata, di certo non a procedere nella mia direzione con passo così fiero e sicuro.

Agisco solo quando la vedo sollevare la mano, in uno sporco tentativo di persuasione che tradisce e conferma la sua natura maligna.

-Ho fatto bene a venire qui di persona- ringhio, avvicinandola a me.

Non sono arrabbiato, quanto più scocciato e, in fondo, divertito. Davvero pensava di potermi ingannare così? Me la immaginavo più furba.

Il timore ricompare nei suoi occhi color nocciola. La sicurezza era solo una facciata, dunque; non ha davvero la presunzione di poter prendersi gioco di me.

-Fuori dalla porta, streghetta, c'è il tuo pasto. Ora tu stai ferma qui e non fai altri scherzi, così io vado a prenderlo. Ci siamo intesi?- la avverto, indicandole l'ingresso con un cenno del capo.

Continuo a stringerle il polso, guardandola negli occhi. Lei annuisce piano, dunque la mollo di scatto e strofino la mano contro la stoffa della casacca, senza celare la smorfia che mi compare sul volto.

La strega se ne accorge e abbassa lo sguardo; i ricci ramati le ricadono ai lati del viso, lunghi e disordinati.

Le stesse caratteristiche le avevano anche i capelli della giovane serva che mi ha tenuto compagnia nelle ultime ore, eppure i suoi non apparivano così eleganti. Forse è l'abito che indossa a farla sembrare così, infatti veste ancora le sete preziose che le avevo consegnato per volontà dell'imperatore.

Non commento, facendo un passo verso la porta. Sento però uno scricchiolio per terra, quindi mi volto di colpo. Lei avvampa, indietreggiando e tornando al punto in cui era prima che io mi girassi.

Inarco le sopracciglia, osservandola in silenzio.

-Scusatemi- sussurra lei, riabbassando il capo.

-Tu hai veramente poca cura nei confronti della tua vita, streghetta- commento, incrociando le braccia -non ti rendi conto del fatto che potrei ucciderti qui, seduta stante, senza che nessuno lo sappia? A nessuno, qua fuori, importa di te; nessuno ti conosce nemmeno, nessuno sa che sei qui.

A parte Gerhardt Wittelsbach e i suoi alleati nel consiglio. Loro sospettano qualcosa, ed userebbero qualsiasi scusa per screditarmi e togliermi il potere che mi sono guadagnato con così tanta fatica.

Avvertirò l'imperatore per ottenere il permesso di agire a riguardo, ma penserò una volta uscito da questa torre.

Riporto la mia attenzione su di lei, che non ha il coraggio di guardarmi negli occhi.

-Uccidetemi qui ed ora, invece di costringermi a vivere nell'attesa della mia fine imminente- replica però, a bassa voce.

-Sono io a decidere se, quando e come arriverà la tua fine- ribatto duramente, per poi sguainare piano il pugnale dal suo piccolo fodero e puntarlo nella sua direzione -ora siediti e non muovere un altro muscolo.

Non tento in nessun modo di velare la minaccia che le mie parole e i miei gesti sottintendono, non ne avrei motivo. La osservo sedersi e, senza rinfoderare la lama, riapro la porta e prendo il vassoio su cui avevo fatto preparare il suo pasto.

Rientro nella stanza e premo la schiena contro la porta, accostandola senza però chiuderla.

Avanzo fino a raggiungere la giovane, che mi osserva attentamente da seduta, e appoggio per terra il vassoio.

Rimango in piedi, incrociando di nuovo le braccia, e distolgo lo sguardo da lei mentre comincia a mangiare.

Non mi sfuggono però le sue fugaci occhiate al pugnale, ancora snudato, e sorrido fra me, lanciandolo di poco in aria e riafferrandolo abilmente.

Non ho mai tenuto prigioniero qualcuno per così tanto tempo, tutto ciò mi è estraneo.

La sensazione di incuterle timore è inebriante, così come la consapevolezza di avere in mano la sua vita.


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