Capitolo 2 - Jenny

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Perché diavolo ci doveva essere un solo bar decente in tutta la nostra insulsa cittadina? E perché in quel posto doveva lavorarci proprio lui?

Non sopporto la sua presenza, ma ancor meno apprezzo restare senza colazione, e proprio oggi Dylan ha richiesto la mia presenza in sede molto presto, quindi mi tocca avere a che fare con il mostro.

Il mio piano è di farmi mettere un croissant in un sacchetto e scappare a mangiare fuori. Gli avrei rivolto giusto due parole, in croce.

«Voglio un croissant al cioccolato bianco.»

Kegan punta i suoi occhi verdi nei miei e alza un sopracciglio. Ho ancora la mano attaccata alla maniglia, la tengo così forte che mi stanno diventando le nocche bianche. A un certo punto dovrò pur avvicinarmi al bancone, di certo non mi porterà tutto lui.

«Vuoi che te lo attacchi alla maniglia il sacchetto? O riesci a staccare la mano e comportarti come una persona normale?» domanda con un tono che mi fa andare su tutte le furie. Certo che mi posso comportare in maniera normale! È lui che mi rende un animale. Leggo la sfida nei suoi occhi e non ho intenzione di dargliela vinta, quindi sfido la sorte, lascio la maniglia e mi siedo a uno dei tavolini. Si trova vicino a una signora anziana che mi guarda con un sorrisetto stampato sul volto, ricambio cordialmente, prima di tornare all'uomo in divisa.

«Come vedi mi sono seduta, puoi portarmi qui il croissant. Io so comportarmi come una persona normale, tu invece non riuscirai mai a essere educato con i clienti.»

L'anziana si mette a ridere. «Questa ragazzina qui mi piace» dice indicandomi e un sorriso soddisfatto si dipinge sulle mie labbra carnose.

«Signora Thompson non si lasci ingannare dalle apparenze, non c'è niente di positivo in lei.»

Dopo quelle parole che mi fanno ribollire di collera sparisce dietro il bancone. Prendo un respiro profondo come dico di fare sempre ad Eleonor e chiudo gli occhi cercando di calmarmi.

«Non sarebbe da cliente educata ribaltare il tavolo e tirargli dietro tutti i cornetti dietro la vetrata, vero?» chiedo alla signora, lei ride ancora più forte e allunga una mano rugosa per raggiungere la mia, ci separano pochi centimetri quindi non fa alcuna fatica.

«No cara, sono talmente buoni che sarebbe un peccato sprecarli» dice e mi fa ridere talmente forte che devo coprirmi la bocca con la mano.

«Signora Thompson lei è davvero molto simpatica.» dico con riguardo nei suoi confronti, batte affettuosamente la mano sulla mia.

«Chiamami pure Lydia.»

«È un piacere Lydia, io sono Jenny.»

Kegan mi piazza un piatto con un croissant di fronte alla faccia. «Io la conosco da anni e a me non ha mai detto di chiamarla per nome!» esclama infastidito, l'anziana fa spallucce e da un morso al suo dolce.

«Tu non mi stai simpatico, è facile da capire, no?» domanda nella sua direzione, mi porto la mano davanti alla bocca, ho le lacrime agli occhi per le risate. È bellissimo vedere Kegan rimesso al suo posto da Lydia. Il ragazzo posa entrambe le mani sul tavolo della signora Thompson e inizia a battibeccare con lei, io mi ritrovo a fissare i tatuaggi disegnati sui bicipiti, la maglietta gli si alza leggermente sulla schiena e anche lì intravedo un tatuaggio di qualcosa che non riesco a decifrare. Kegan è un ammasso di colori, una tavolozza bianca che ha iniziato a riempire soltanto dopo i sedici anni, prima era del tutto immacolato.

Non posso dire che sia una brutta visione, è bellissimo. I capelli sono spettinati ad arte e gli ricadono sulla fronte, i muscoli si flettono e si tendono quando si fa avanti e quegli occhi... sono quelli che mi hanno ammaliata fin dal primo istante in cui l'ho incontrato. Sono di un verde menta talmente intenso da sembrare smeraldi incastonati nei suoi occhi.

«Non è vero, Jenny?» domanda Lydia e io capisco di essermi persa gran parte della conversazione. Kegan ha il volto girato verso di me e un sorrisetto sfrontato dipinto sulle labbra.

«Mi dispiace signora Thompson, Jenny era troppo impegnata a imprimere a fuoco la mia immagine nella sua mente, non aveva tempo di ascoltarla» risponde lui ed è in quel momento che mi chiedo come ho potuto trovarlo attraente in passato anche solo per un attimo.

«Si, Kegan, la stavo imprimendo a fuoco, ma non nella mia mente, ma al centro dell'inferno, dove vorrei che ti trovassi in questo momento.»

Prendo un respiro profondo, perché ho il terrore che il fumo possa uscirmi dalle orecchie per quanto sono arrabbiata. Devo assolutamente uscire da qui, prima di fare qualcosa di stupido per cui poi Eleonor mi farà sentire in colpa.

«Ti aspetto nel girone dei lussuriosi, dolcezza» sussurra leccandosi il labbro inferiore. Mi alzo di scatto ed esco dal locale a passi veloci e pesanti.

Non riesco a credere a quello che ha detto, so benissimo di non essere una santa, vado spesso a letto con parecchi ragazzi diversi, ma nessuno al mondo, può darmi della poca di buono. Decido io il modo in cui vivere la mia vita. Non mi importa delle regole e neppure delle parole che escono dalla bocca degli altri, ma se sono diventata così è solo colpa sua, ecco perché mi ferisce.

Devo ricordarmi che quello che c'è stato un tempo tra noi non era reale, era solo frutto di un suo scherzo crudele, che ogni parola che mi ha detto nascondeva una bugia. Eppure ero talmente felice all'epoca.

Mi passo le mani sugli occhi e mi affretto verso la libreria, devo iniziare la mia giornata di lavoro e non gli darò la soddisfazione di vedermi crollare e chiudere in me stessa. Non ha più quel potere.

Alzo la testa ed entro all'interno della libreria.

«Ma quando torna Eleonor?» domanda Dylan a metà mattinata. Faccio uno sbuffo esasperato, perché me lo chiede ogni giorno nonostante sappia perfettamente la risposta.

«Esattamente tra quattro mesi e venti giorni, giorno in più giorno in meno» rispondo mentre infilo due libri negli scaffali e mi preparo a prenderne altri dal carrellino di fianco.

Il medico ha obbligato Eleonor a prendersi un periodo di maternità, essendo un soggetto fragile e diabetico per non avere problemi con la nascita del bambino era necessario che facesse pochi sforzi, quindi gli ultimi mesi di gravidanza dovrà rimanere per lo più a casa. Motivo per cui mi sono offerta di sostituirla. Ma Dylan ha sempre avuto un debole per lei e quindi si lamenta ogni giorno perché vuole riaverla.

Non gliel'ho detto, ma non sono nemmeno sicura che Eleonor tornerà qui. C'è ancora il suo progetto in cantiere e negli ultimi mesi ne parla molto più spesso. Io passo molto tempo insieme a lei, lavoro part-time in libreria la mattina, poi il pomeriggio vado dritta a casa di Hunter, che ormai è anche la sua.

Io sono stata costretta a cercarmi un'altra coinquilina, è uscito fuori che Camille, la receptionist dell'ambulatorio veterinario, cercava casa. Quindi adesso viviamo insieme. Fin dalle aule scolastiche andavamo molto d'accordo, per adesso è una convivenza positiva e pacifica. Certo, non è Eleonor, lei mi manca ogni giorno. Ma mi posso accontentare fino a che non mi potrò permettere un posto tutto mio.

«Perché sembra che i giorni aumentino invece di diminuire?» domanda Dylan affranto, mi metto a ridere, mi spazientisce ma alla fine so che non è l'orco che finge di essere.

«Probabilmente perché reputi tutti noi una sfilza di scansafatiche messi a confronto con Eleonor» rispondo avvicinandomi a lui, gli do una pacca sulla spalla. Mi guarda come se l'avessi appena colpito in volto. «Ma tu cosa ci fai qui? Non ti è mai piaciuto fare la commessa, me li ricordo i primi mesi che hai passato qui! Lo odiavi!» esclama sbattendo le ciglia più volte, come se si fosse appena svegliato da un brutto sogno. Non ha tutti i torti, non mi piace fare la commessa, però questo vecchio brontolone aveva bisogno di aiuto e io mi sono offerta volontaria per non fargli fare altri colloqui e perdere tempo.

«Non è poi così male, resterò qui solo un paio di mesi, poi tornerà Eleonor e saremo tutti felici e contenti» dico cercando di dare man forte sia a lui che a me. Alla fine un piccolo sorriso incurva le sue labbra, ma un istante dopo è sparito.

«Per un paio di mesi posso pure sopportarti, ora vai di la a servire i clienti!» Cerca di avere un tono duro, ma non ci riesce, sa bene perché mi trovo qui ed è ammorbidito dalla cosa. Sorrido a mia volta mentre faccio ciò che mi dice.

Abbandonando la mia stradaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora