Capitolo 19 - Jenny

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Sto realizzando, durante una live tiktok, un trucco dai colori pastello, non è nella mia armocromia, ma ogni tanto mi piace sperimentare. D'altronde centinaia di migliaia di ragazze mi seguono per lo stile artistico dei miei trucchi, non posso certamente deluderle.

«Jenny! Sei pronta?» domanda Camille sbattendo il pugno contro la mia porta. Guardo l'orologio e mi rendo conto che dovevamo andare a cena circa mezz'ora fa.

«Scusate ragazzi devo proprio andare. Sperimentate e mandatemi le foto nei dm! Le aspetto!»

Chiudo la live e poi mi guardo allo specchio, non è bello come i miei soliti trucchi, il rossetto è sbavato e i colori sono spenti. Il problema è che non sono concentrata. Ogni volta che chiudo gli occhi ritorno in quel bagno con la sua bocca sulla mia. Il nostro incontro mi ha scombussolato più di quanto riesca a dire. Sono passati quattro giorni, quattro giorni in cui non ho incontrato Kegan da nessuna parte. Non era al pub, non era nel suo bar. Probabilmente sono stata solo fortunata e dovrei ringraziare il cielo per questa concessione, ma allora perché il mio stomaco continua a chiudersi per la preoccupazione?

«Arrivo!» urlo alla mia coinquilina, prendo un respiro profondo e poi lo faccio una seconda volta per esserne sicura.

Non devo preoccuparmi per lui, d'altronde è riuscito a cavarsela da solo per quasi dieci anni, non ha certo bisogno del mio sostegno. Nemmeno lo vuole il mio sostegno. L'ha messo in chiaro quando avevamo sedici anni.

Esco dalla camera e raggiungo Camille, i nostri outfit sono diversi come il giorno e la notte. Lei indossa un paio di jeans neri cargo, larghi e un top dello stesso colore senza maniche. Io ho uno dei miei vestitini floreali con tanto di fiori arancio e giallo. Ci squadriamo a vicenda prima di scoppiare a ridere.

«Sei proprio gay» la apostrofo in maniera scherzosa facendola ridere ancora più forte. Questo è il suo outfit da conquista, ormai lo conosco alla perfezione. Vuole portarsi a casa una ragazza stasera.

«Tu sei così etero che potresti profumare di rose» mi prende in giro a sua volta. Le faccio una linguaccia bambinesca e poi le afferro la mano dirigendomi fuori dalla porta.

Abbiamo deciso di andare a cenare in un localino appena fuori città, è uno dei nostri preferiti perché invitano sempre band che suonano dal vivo. È un modo per passare una serata diversa e per smettere di preoccuparmi per lui.

«Secondo te la band di stasera sarà più genere rock o jazz?» domanda Camille, mentre si lega i capelli in una coda. Io chiamo un Uber tramite l'app e mentre attendo alzo il viso per poterla guardare.

«Spero rock, l'ultima jazz, mi dispiace dirlo, ma era veramente pessima» borbotto contrariata, non che disprezzi il genere, semplicemente c'è chi lo sa suonare e chi dovrebbe dedicarsi a tutt'altro.

La macchina arriva nel nostro vialetto, ci infiliamo nei sedili posteriori, do l'indirizzo all'autista e poi poggio la testa contro il sedile.

«Ci hai mai pensato che ogni volta che saliamo su un Uber abbiamo una buona probabilità di trovare un guidatore serial killer che ci farà a pezzi?» domanda Camille a voce abbastanza alta da farsi sentire dal guidatore. Lui strabuzza gli occhi terrorizzato. La vedo nei suoi occhi l'indecisione se immischiarsi e dire la sua o no, alla fine decide di lasciar correre.

«Tu guardi troppi true crime, Cami» affermo scuotendo la testa, dispiaciuta per il poveretto ma anche un po' divertita. È un siparietto che fa spesso quando ci troviamo dentro una macchina che non conosce, forse ha avuto dei problemi in passato con i taxisti? Non la conosco abbastanza bene per escludere la cosa.

«Guarda che ho sentito un sacco di storie di ragazze finite dentro il portabagagli con un sacco in testa» risponde infastidita dal poco peso che do alla cosa. Sospiro e le do una pacca sulla spalla.

Abbandonando la mia stradaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora