Passato - Kegan

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Erano passate settimane da quando Daisy ci aveva lasciato e ancora non riuscivo a pronunciare ad alta voce il suo nome senza scoppiare a piangere o avere uno scatto d'ira.

La persona che aveva preso peggio il lutto era stata mia madre, si era messa ad urlare, piangere e distruggere casa. Avevamo dovuto darle diversi calmanti e chiamare il 911 per intervenire. La mamma era stata pesantemente sedata e per i primi giorni era rimasta a dormire. Adesso si muoveva per casa come un fantasma e aveva costante bisogno di supervisione perché continuava a parlare di raggiungere Daisy.

«Quale pensi sia il modo più veloce per morire?»

La sua voce mi dà i brividi, è seduta sul nostro bancone della cucina, gli occhi sono vacui e non sono sicuro neppure che stia parlando con me. È probabile che quella domanda sia rivolta soltanto a sé stessa. Non è la prima volta che la mamma mi chiede una cosa simile, io sto cercando di affrontare il lutto, anche se mi sento uno zombie, ma lei non ci sta nemmeno provando. Vuole andare da Daisy.

Sbatto le palpebre e provo a concentrarmi sullo zaino, devo andare a scuola, devo ricominciare, mio padre non ha voluto sentire ragioni. Mi sono assentato per troppo tempo, quasi un mese, è il momento di riprendere in mano la mia vita. Anche se non voglio, anche se desidero soltanto starmene rintanato nel letto di Daisy a stringere i suoi vestiti dove c'è ancora una traccia del suo profumo.

Quando mi hanno detto che era morta davvero il mio cuore si è fermato per un attimo, credevo che non sarei riuscito a sopravvivere e ancora adesso la sua assenza è pressante, come se mi avessero amputato un braccio o una gamba.

«Credo che farebbero male le lamette, magari una dose massiccia di pillole? Dei sonniferi?» domanda mia madre e poi si mette a ridere, una risata stridula.

«No, non credo che un colpo di pistola farebbe meno male, cosa dici» continua, mi giro sgranando gli occhi perché non c'è nessuno in cucina, mi guardo attorno, cerco il suo telefono, ma niente.

«Non ci ho mai pensato a buttarmi da un palazzo, suppongo che si potrebbe sperimentare. Ma come ti vengono in mente?»

Il suo discorso mi sta togliendo il fiato dai polmoni, sta parlando da sola, lascio lo zaino e mi avvicino a lei. Poso delicatamente una mano sul suo braccio.

«Mamma? Con chi stai parlando?» chiedo cauto, lei si gira verso di me e mi sorride, poi indica l'altro lato del bancone, mi giro lentamente e vedo il vuoto.

«Con tua sorella, caro. Con chi dovrei parlare?»

Si mette a ridere, come se avessi io qualche rotella fuori posto. Prendo un respiro profondo e appoggio entrambe le mani sulle spalle di mia mamma. La costringo a guardarmi negli occhi.

«Mamma, perché non vai a riposare?»

«Non posso lasciare da sola tua sorella, caro. Che madre sarei?» Sbatte le palpebre e io vorrei urlarle che Daisy è morta, ma non lo faccio, perché mia madre sta perdendo la testa.

«Rimango io con lei, però tu hai bisogno di dormire, per favore, fallo per me, anche Daisy concorda.»

Dire il suo nome a voce alta apre una voragine nel mio stomaco, un pugno dato con ferocia farebbe molto meno male.

La mamma annuisce, sorride verso il nulla e poi si alza, si allontana andando verso la camera da letto e mi lascia da solo in cucina.

Mi accascio contro il bancone coprendomi la faccia con un braccio e singhiozzo silenziosamente. Quel giorno non ho perso soltanto mia sorella ma anche mia madre. La mia famiglia è completamente sfasciata, una figlia morta, una madre impazzita e un padre che per farci restare a galla deve lavorare il doppio del tempo. Ecco cos'è diventata la mia vita.

Abbandonando la mia stradaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora