Capitolo 20 - Kegan

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In tanti anni non mi sono mai preso un vero e proprio giorno di ferie, ma la settimana scorsa ne ho chiesti quattro tutti insieme. Probabilmente andare a trovare mia sorella mi ha scosso più di quanto immaginassi o forse a mandare il mio cervello in malora è stato l'incontro con Kyle. Avevo la flebile speranza che le nostre strade non si sarebbero incontrate mai più. Chiaramente ero un illuso.

Kyle non è mai uscito dalla mia vita, continua a tessere le fila come un ragno con la sua ragnatela. Lentamente. Da lontano. Persino chiuso all'interno di un centro per malattie mentali.

Per giorni ho chiuso il mondo fuori, rimanendo in quella stanza d'hotel, senza tornare in città. D'altronde cosa mi aspettava? Una sfida continua con la mia ex ragazza e i rimproveri del mio migliore amico.

Ma alla fine sono tornato e ad accogliermi a casa c'era un silenzio logorante, un po' com'era diventata la mia vita negli ultimi anni.

Prendo un respiro profondo mentre rientro all'interno del locale, ogni battibecco con lei mi sfianca. Le poche ore che ho a disposizione non riescono a farmi dare il meglio di me neppure nelle discussioni. Ritorno al tavolo, di fronte a Violet e abbasso lo sguardo sul piatto di spaghetti mangiato a metà.

Lei allunga una mano e la poggia sulla mia spalla.

«Che cosa succede?» domanda in tono affettuoso, vorrei sputare fuori tutto: la sofferenza per la morte di mia sorella, la rissa con Kyle, i problemi con Jenny, ma non ci riesco. Quei problemi continuano ad arrovellarmi lo stomaco anche se so che Violet, dall'alto della sua saggezza, mi potrebbe dare qualche consiglio. Ma non voglio appesantire la nostra amicizia, così mi limito a tornare a sorridere.

«Credo che gli spaghetti siano scotti, vuoi assaggiarli?»

Cerco di alleggerire la tensione ma lei mi lancia uno sguardo di ammonimento.

«Ti sembra che non mi sia accorta delle occhiaie che copri con il correttore? Dei tuoi occhi spenti? Della scomparsa per quattro giorni dopo due anni di assiduo lavoro? E soprattutto di come sei corso dietro Jenny?» Apro la bocca ma poi la richiudo, messo davanti alla verità non so come tirarmi fuori. Ha ragione, non mi confido con nessuno, ma la pesantezza del bagaglio che porto mi sta schiacciando.

«Io... non sto passando proprio un bel periodo» ammetto, gli occhi chiari di lei mi scrutano e mi invitano a continuare.

«Violet ti ho mai detto perché mi sono trasferito qui?»

«Beh abiti in una città vicina, quasi tutti si trasferiscono qui per le maggiori opportunità rispetto alle cittadine di campagna» spiega, esattamente quello che ho sempre detto io a chiunque me lo chiedesse. Mi passo le mani sul tessuto dei jeans sfregandolo.

«Per me non è stato solo questo. Mi sono trasferito quando la mia famiglia si è sgretolata.»

La mia voce è a malapena un sussurro e il sudore inizia ad imperlarmi la fronte. Solo il pensiero di quel periodo mi riporta a ricordi terribili.

Ricordi che non sono ancora riuscito a metabolizzare del tutto. Mi ritrovo a deglutire a vuoto.

«Sgretolata?»

«Era... era un'estate, sono passati tantissimi anni. I miei genitori viaggiavano spesso per lavoro e non erano mai a casa. Mia mamma era un po' più presente. Però ci volevano molto bene.» Faccio una pausa e noto le rughe di espressione di Violet.

«Voi, chi?» chiede e quella domanda mi spiazza. Lancio un'occhiata in direzione del tavolo dov'è seduta Jenny con la sua amica. Ha lo sguardo rivolto verso il suo piatto, il suo umore è tetro quanto il mio. Alza il viso, come se fosse stata richiamata e i nostri occhi si incontrano, sostiene lo sguardo per qualche secondo, poi mi fa il dito medio e torna a parlare con Camille. Un sorriso sincero sboccia sulle mie labbra e allontana un po' del panico che sto provando.

Abbandonando la mia stradaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora