𝑅𝒾𝒸𝑜𝓇𝒹𝒾 𝒹𝒾 𝐸𝓁𝓁𝒾𝑜𝓉 - 𝐿𝒶 𝓃𝑜𝓉𝓉𝑒 𝓂𝒶𝑔𝒾𝒸𝒶

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I tuoi occhi cangiantiRivedo in ogni mia fragilità Dietro le mie spalle, a vegliarleLa tua presenza sento ancora Così chiara e rassicurante Ovunque tu sia, Anima mia

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I tuoi occhi cangianti
Rivedo in ogni mia fragilità
Dietro le mie spalle, a vegliarle
La tua presenza sento ancora
Così chiara e rassicurante
Ovunque tu sia,
Anima mia

— Lia

Quando ero bambino - e no, non vi dirò quanto tempo fa - il pomeriggio di ogni Ventitré Giugno, mia nonna era solita prendere un grande catino, di quelli in cui solitamente metteva in ammollo i panni, per posizionarlo sopra al pozzo

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Quando ero bambino - e no, non vi dirò quanto tempo fa - il pomeriggio di ogni Ventitré Giugno, mia nonna era solita prendere un grande catino, di quelli in cui solitamente metteva in ammollo i panni, per posizionarlo sopra al pozzo.
E quello era, per me e mia sorella, l'unico promemoria che ci serviva per prepararci al tramonto.

Alla notte più magica dell'anno.

Quello dell'acqua è un rito scaramantico e propiziatorio, nato dall'inflessibile speranza dei contadini di allontanare i violenti temporali e la siccità. Si affidavano alla luce della luna e alla rugiada degli Dei, che si pensava cadesse dal cielo durante quella notte, in cui i veli del mondo cedono spazio all'incanto, affinché il raccolto fosse rigoglioso e abbondante.

Iniziava tutto rigorosamente dopo il tramonto.

Attendevamo, impazienti, che il sole iniziasse la sua lenta discesa, per passeggiare lungo il giardino ed il bosco vicino, per cercare e rubarci tra di noi i fiori più belli e le erbe più profumate.

Ed era lì, alla luce flebile del crepuscolo, che iniziava la prima fase.
La raccolta.
La conoscenza e il rispetto per la natura.

Era questo, che ogni volta mia nonna teneva a ricordarci. Esistono precisi metodi per cogliere e, soprattutto, esistono i tempi giusti.

E mentre i rami scricchiolavano sotto i nostri piedi giovani ed impazienti, e l'aria della sera iniziava ad avvolgerci come un manto, noi si osservava attenti ogni angolo di verde, in cerca dei tesori di quella natura così magnifica e silente.

Mia nonna ci vegliava silenziosa, seguendo il nostro passo dispettoso con il suo, saggio e consapevole, accompagnato dal bastone che le serviva, diceva, solo per riposarsi un po'.
Quando la stanchezza pesava di più e gli anni l'abbracciavano più forte.

Solo quando il cestino era colmo, si ritornava soddisfatti e irrequieti verso la tenuta.

Timo.
Camomilla.
Menta.
Lavanda.
Petali di rosa.
Sambuco.
Salvia.
Passiflora.
Rosmarino.
Artemisia.

Un tripudio di profumi e colori.
Ed era in quel momento, allora, che quel grande catino messo lì, ad aspettare, veniva ripreso per essere trascinato verso la cannella, dove si riempiva fino all'orlo con l'acqua, tra gli schizzi scherzosi con cui ci si infastidiva io e mia sorella ed i rimproveri di nostra nonna.

Quando il raccolto galleggiava sinuoso sul pelo dell'acqua, minuziosamente curato, predisposto e litigato tra di noi, iniziava quella che era la seconda fase del rito.

La fase dell'esposizione alla notte e alla sua Luna, colei che bianca e saggia, governava dall'inizio dei tempi tutte le acque del mondo.

Il catino tornava lì, sopra quel pozzo che, per quella notte, sotto il cielo, diventava piedistallo della magia che incontra e bacia l'uomo.
Ed era in quell'attimo, che iniziava l'incanto.

Da sotto le coperte, con gli occhi chiusi, mi immaginavo le lucciole danzare sul pelo dell'acqua, illuminando le sfumature notturne di quei fiori galleggianti.

Le stelle sbirciavano, per una volta loro stesse spettatrici, l'energia che dal cielo e dalla terra danzava inquieta nell'aria, creando ghirigori di pulviscolo notturno e speranze sussurrate prima di coricarsi.

Gli steli d'erba ondeggiavano, tappeto morbido di quel palcoscenico insolito.
Le lumache si spostavano lente sopra ai rami, disegnando e decorando quel legno con la scia argentea del loro passaggio, per curiosare.
E anche gli alberi più lontani tentavano inquieti di piegare il proprio tronco, smaniosi di conoscere e vedere anche loro, quella magia.

Che resta un mistero di cui solo la luna conosce i segreti.

Il Ventiquattro Giugno, non prima dell'alba, mentre le coperte calde e il profondo sonno infantile avvolgevano ancora me e mia sorella, mia nonna portava quell'acqua profumata in casa, in attesa del nostro risveglio.

Il canto degli uccelli permeava nell'aria, insieme a quello del gallo e al sottile fruscio proveniente dai campi vicini. Quelle familiari melodie della vita, ancora un po' assonnata, che riprende il ritmo nelle più piccole azioni quotidiane.

Il pulviscolo notturno diveniva così raggio di sole, che illuminava i vetri in cui, lo stampo delle nostre mani, si mostrava dispettoso come un frammento di ricordo, destinato ad essere cucito addosso alla nostra pelle per sempre.
Colui che ti riporta all'impronta dell'infanzia ormai lavata via.

Esattamente come le sottili incisioni nel muro, coperte dal legno della porta, dove l'altezza fieramente raggiunta veniva segnata con orgoglio a ritmo regolare.
Tracce di bambini che desideravano solo crescere, inconsapevoli di ritrovarsi poi, una volta cresciuti, a rimpiangerne la prima, di incisione.

Ed iniziava così, la terza e ultima fase.
Quella del lavaggio del viso, delle mani, delle braccia.

Non ho mai visto mia nonna farlo, penso che fosse un momento solo suo, in cui il peso delle sue speranze fosse troppo intenso, per noi.
Ma ad oggi, con il peso degli anni, riesco ad immaginare chiaramente, il buon auspicio e l'energia che toccavano le sue mani tremanti e segnate dal tempo, insinuandole l'equilibrio per il futuro, la forza per l'anno a venire, mentre consegnava alla natura tutte le sue fragilità.

E quando io e mia sorella finalmente aprivamo gli occhi, iniziava la gara.
Subito a correre verso il bagno, lungo quel corridoio testimone di tutte le nostre cadute e pianti, capricci e sorrisi, per arrivare primi a quell'acqua magica, in cui non aspettavamo altro che immergere le mani.

Mia nonna ci guardava lavarci il viso, restava lì alle nostre spalle con il suo inconfondibile sorriso dolce sulle labbra.
Ammetto, con rammarico, di aver capito solo anni dopo, cosa stesse realmente osservando.

Tra quei sorrisi bagnati di quella rugiada notturna e profumata lei, attraverso lo specchio, vedeva il filo sottile dell'incanto, così simile ai suoi colorati gomitoli di lana per l'inverno, srotolarsi impercettibilmente e tramandarsi da lei a noi.

Come solo le parole di una nonna, possono fare.

La notte tra il Ventitré e il Ventiquattro Giugno è una notte magica. E non c'è stato anno in cui, anche senza di lei, specchiandomi in quell'acqua ricoperta di fiori, io non abbia rivisto i suoi occhi.

All'energia della terra.
Alle vostre fragilità.
Alla vostra forza.
Ai ricordi preziosi.
Alla luna che veglia e, in fine,
ai legami che sfidano gli anni.

𖥸

Elliot vi ha appena regalato un ricordo.

Che voi possiate farne tesoro,
custodirlo e farlo vostro,
tramandarlo,
come lui stesso ha fatto per tutto questo tempo.

Per non interrompere quel filo.
Per non smettere mai, di credere in quella magia.

Lia 𓆦

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