"Dicono che bere assenzio col tempo fa brillare la tua ombra. È un problema se devi giocare a nascondino."
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Un temporale scuote il cielo, Sonata al chiaro di luna di Bethoveen scivola tra le pareti di casa, in una giornata cristallizzata come una...
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Dal fondo delle pupille nere e burrascose guardava il mondo con aria oscura e bellicosa.
Veniva da un paese innocente senz'ombre per scoprire presto fieri misteri e giochi segreti.
Con sorriso rapido e selvatico, come quello divino di un gatto, al mondo il suo segreto nascose.
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Quelle fottutissime variabili.
Tutto ciò che riusciva a mandare a puttane un piano perfettamente calibrato, ragionato e deciso.
Le odiavo.
Rappresentavano tutto ciò che poteva sfuggirti dalle mani, ti ricordavano continuamente la tua triste e limitata umanità e ti sbattevano in faccia l'imprevedibilità del fato bastardo.
E, in quel preciso momento, Eleonore impersonificava esattamente la variabile non calcolata, quel minuscolo e odioso dettaglio capace di mandare al diavolo tutto.
La mia rabbia nei suoi confronti rappresentava un punto cieco, ma il senso di protezione che se solo avessi potuto avrei sputato fuori dal mio corpo, esattamente come il sangue di ore prima, continuava a sibilarmi che oltre quella rabbia e quell'odio restava pur sempre la madre di Julian. E dovevo salvaguardarla.
Di Julian, non la mia. Io figlio non lo ero mai stato.
E non ne avevo di certo bisogno adesso, dei suoi maledetti occhi impregnati di una premura che galleggiava all'interno e che non aveva alcun diritto di provare, attenti alle ferite secche sulla mia pelle, al sangue rimasto lì a ricordarmi i pugni e l'inebriante sensazione di adrenalina mischiata al dolore di ore prima.
Che cazzo mi guardi a fare così?
Io quegli occhi li ho immaginati talmente tante volte, quando le ferite scottavano davvero e i pianti di Julian non mi davano tregua.. che adesso non li voglio vedere, non li voglio vedere.
Guarda da un'altra parte, guarda altrove.
E quello che riusciva a farmi girare ancora di più i coglioni, era che mentre del mio corpo ero perfettamente consapevole, dei singoli punti di rottura e dei limiti di cui ero conscio ne sapevo controllare il dolore, non potevo di certo dire la stessa cosa di quella donna legata e seduta di fronte a me, dentro quella macchina con cui solo un coglione come Heron poteva girare.