"Dicono che bere assenzio col tempo fa brillare la tua ombra. È un problema se devi giocare a nascondino."
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Un temporale scuote il cielo, Sonata al chiaro di luna di Bethoveen scivola tra le pareti di casa, in una giornata cristallizzata come una...
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"Ogni notte sul mio capo, fai guardia alle mie tempie, e se ti aggiri nellastanza sulle esili gambe sai ripetermi i sogni, i miei sospiri"
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L'effetto farfalla.
Una locuzione della teoria del caos, che racchiude in sé, lo studio della dipendenza sensibile alle condizioni iniziali.
L'idea che l'impercettibile battito d'ali di quel minuscolo quanto incantevole insetto sia in grado, dall'altra parte del mondo, di scatenare un tornado. La perfetta metafora di come, il semplice movimento di molecole d'aria generato dal suo volo, possa causare una catena di eventi, a chilometri di distanza, da scombussolare un'intera esistenza.
Ed io lo sapevo fin troppo bene.
Il mio personale effetto farfalla, pensai, era iniziato nell'esatto momento in cui avevo deciso, quel giorno che sembrava appartenere ormai ad un'altra vita, di toccare con mano la maniglia e andare ad aprire la porta di quella che ormai non sentivo più come casa mia. O che, a dirla tutta, mai avevo realmente sentito come tale.
E se mi voltavo e mi soffermavo a guardarmi indietro riuscivo a scorgere, conficcati nel terreno, taglienti schegge e pezzi di me abbandonati e sparsi lungo il cammino che mi aveva portato a quella tenuta. Frammenti e gusci di caleidoscopiche matriosche che ero stata e che non ero più.
A guardarmi da lontano c'era la mia vecchia stanza, le cui pareti mi avevano vista sorridere imbarazzata per i primi messaggi di Ray e poi piangere, disperata e un po' melodrammatica, per la stessa persona.
C'era lo sguardo dolce di Tea che mi scrutava, attento e comprensivo, soprattutto le mattine che seguivano alle notti tormentate da incubi, che mi scombussolavano la mente e irrigidivano il corpo.
C'erano le strane e attentamente ricercate parole di Lloyd, che sembravano racchiudere, come antiche e polverose scatole da cucito, ricolme di eleganti bottoni e spille da balia, i fili che smuovevano le mie giornate.
E, infine, c'era mio padre. Il mio porto sicuro.
Il faro che aveva illuminato quella distesa d'acqua immatura e sensibile che ero stata da bambina, che aveva guidato silente, attraverso il vento, le onde prorompenti e testarde della mia adolescenza e che vegliava sull'uscio, appena scostato, dell'ingresso nella mia vita adulta. In punta dei piedi a coprirmi le spalle. La coperta che ti scaldava d'inverno quando fuori piccoli cristalli di ghiaccio ti si conficcavano nella carne come aghi. E il primo raggio di sole primaverile che, discreto e caldo, ti accarezzava timido la pelle. La mia unica famiglia.