3. BRUTO

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42 a.C.

Non aveva mai avuto tanta paura in vita sua.

Nemmeno quando quegli uomini erano entrati armati nella sua casupola. Nemmeno quando il sangue aveva iniziato a scorrere. Allora era stato guidato da una furia cieca, non aveva lasciato tempo alla testa di riflettere. Aveva colpito e trafitto e ucciso.

Ma ora... Ora era terrorizzato.

Attendeva che i cancelli si aprissero, che le grate in ferro battuto si sollevassero e la fiumana di uomini intorno a lui allagasse l'arena.

Non era l'unico spaventato. Il ragazzo accanto a lui tremava in modo convulso e un rivolo di urina gli scorreva lungo la gamba, formando una pozza nella sabbia ai suoi piedi. Bruto deglutì, stringendo la mano sull'arma. Si chiamava gladio, gli aveva detto il lanista. Era l'arma dei legionari, i soldati di Roma. Bruto non possedeva molto altro: un grande scudo rettangolare ricurvo che si chiamava scutum, un parabraccio che si chiamava lorica manica e uno schiniere che gli riparava il polpaccio sinistro fin sotto al ginocchio. La testa era protetta da un elmo dotato di visiera mobile, decorato da una cresta dritta formata da penne multicolori. Sembrava un dannato gallo che si appresta a farsi mozzare il collo dal macellaio.

"Sai perché ci chiamiamo mirmilloni?" gli aveva detto Fausto, quando era giunto alla scuola gladiatoria. "Viene da murena. È un pesce che si nasconde negli anfratti rocciosi del fondo marino e poi attacca le prede: il mirmillone fa lo stesso, riparandosi dietro lo scudo prima di attaccare l'avversario."

Fausto era stato un grammaticus. Era colto, intelligente e raffinato. Era stato venduto al mercato quando il padrone lo aveva scoperto a letto con sua moglie. O i ludi, o la morte. Fausto aveva scelto i ludi. Lo aveva sempre affascinato il mondo della gladiatura, il modo in cui il suo popolo aveva fatto della morte uno spettacolo. Sarebbe morto, lo sapeva bene. Non aveva mai combattuto in vita sua e nelle risse infantili aveva sempre avuto la peggio. Ma sarebbe morto osannato dalla folla, col suono degli applausi ad accompagnarlo nei Campi Elisi.

Anche Fausto era un mirmillone. Era stato acquistato poco prima di Bruto. Aniceto li aveva condotti alla scuola gladiatoria, li aveva categorizzati come mirmilloni e dotati di armi. Quindi aveva assegnato loro degli avversari e aveva detto: "Vediamo che sapete fare".

Fausto aveva cercato di difendersi dagli attacchi del suo avversario, finendo a terra dopo pochi secondi. Bruto invece si era impegnato. Sapeva che la sua unica speranza di sopravvivenza risiedeva nelle sue abilità fisiche. Aveva solo diciotto anni ma aveva sviluppato un fisico atletico nella fattoria, anche se non muscoloso quanto quello del trace che stava affrontando. Era forzuto e resistente e pesante.

Era stato un combattimento impegnativo e, anche se alla fine aveva perso, Aniceto gli aveva rivolto un'occhiata di apprezzamento.

Dopo tre mesi di allenamenti e diete e punizioni e lividi e ferite, Aniceto aveva detto che erano pronti. Bruto, Fausto, altri tre mirmilloni e cinque traci erano stati affittati da un editor che stava organizzando dei ludi in onore di Cesare. Era aprile, il quinto anniversariodella battaglia sul Nilo che il compianto dittatore aveva vinto, sconfiggendoil faraone d'Egitto e lasciandolo annegare nel fiume. L'editor voleva ricreare quella battaglia, perciò aveva affittato cento gladiatori da vari lanisti e aveva fatto travestire i traci da Egiziani, mentre i mirmilloni, con il loro gladio e lo scudo e il pennacchio, rappresentavano i Romani.

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