4. PACUVIO

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61 a.C.

Aveva sei anni il giorno in cui tradì per la prima volta qualcuno.

Come ogni giorno era sgusciato in mezzo alla folla riunita nel foro. Stavano assistendo a un numero di giocoleria, tutti gli occhi erano puntati sul nano che lanciava verso l'alto degli oggetti di forma sferica e li faceva roteare con destrezza. Lui sgusciava tra le stole colorate delle matrone, le tuniche degli schiavi e le toghe dei senatori. La piccola mano, munita di una corta lama affilata, tagliava il fondo delle bisacce e una cascata di assi e sesterzi gli cadeva nel sacco che trascinava con sempre maggior fatica.

Lo aveva fatto centinaia di volte. Non ricordava di aver mai fatto altro. I suoi ricordi si perdevano in un sogno nebuloso, quando tentava di spingerli più lontano. Oltre i furti, oltre quella vita. Ma c'era il mercante a ricordargli le sue origini. Era nato da una lupa che non aveva avuto il coraggio di sbarazzarsi della pancia gonfia e che lo aveva abbandonato quando non aveva nemmeno un'ora di vita. Il mercante lo aveva trovato dove finiscono tutti i bimbi esposti e lo aveva raccolto insieme ad altri tre. Erano stati nutriti da una capra, che il mercante allevava a tal proposito nella sua dimora. Erano stati cresciuti da lui e da sua moglie e addestrati a diventare svelti e invisibili. Alcuni erano stati sfortunati. Il mercante aveva spezzato loro braccia e gambe, cavato un occhio e tagliato un orecchio, mozzato un piede o una mano. Quei bambini erano stati gettati in strada a mendicare, per fare pietà alla gente.

Altri, tra cui Pacuvio, avevano avuto più fortuna. I ladruncoli venivano sguinzagliati nelle strade, nei vicoli e nelle piazze, dall'alba al tramonto. I furti non erano mai abbastanza, per il mercante e sua moglie. Le punizioni e le violenze erano all'ordine del giorno. Ma qualche volta i padroni sorridevano e facevano una carezza sulle teste spettinate e piene di pidocchi di quei piccoli cenciosi.

Erano una famiglia, in fondo.

Quel giorno, Pacuvio aveva raccolto già una discreta somma e si apprestava a tagliare l'ennesima sacca, quando una mano calò sul suo braccino pelle e ossa e lo strinse con forza. Lui iniziò subito a tirare per fuggire nella calca, ma la presa era ferrea e Pacuvio fu strattonato via. Un uomo gli si inginocchiò accanto, gli prese il sacco e scrutò al suo interno. Quindi fissò Pacuvio, che cercava di mostrarsi coraggioso malgrado fosse spaventato a morte.

«Sei bravo.» L'uomo aveva il mento glabro, piccoli tagli sulle guance e capelli scurissimi. «Scommetto che sei il più bravo della cucciolata.»

Pacuvio non capiva e non rispose.

L'uomo perse l'espressione leggera e lo inchiodò con lo sguardo. «Stammi a sentire. Non ti farò nulla, se tu mi porterai dal tuo padrone.»

Pacuvio sentiva la gola secca e la voce gli uscì in un pigolio quando chiese: «Cosa gli farete?»

Non voleva proteggere il mercante. Gli andava bene che venisse punito. Ma se non l'avessero punito abbastanza lo avrebbe picchiato per averlo denunciato.

«Rubare è contro la legge. Il tuo padrone subirà un processo e verrà giudicato.»

«Ma lui non ruba.»

«È vero. I suoi cuccioli sì, però.»

Pacuvio capì che stava parlando di lui e dei suoi fratellini di latte. Pensò a Servio, che stava derubando i fedeli riuniti nel tempio di Vesta; a Spurio, che mendicava col suo moncherino nel Vicus Unguentarius; a Servilia, che tentava di impietosire le matrone coi suoi grandi occhi scuri e il sorriso sdentato.

«Farete del male anche a loro?»

«Non sarà necessario. Togli la lupa ai lupacchiotti e loro moriranno di fame.»

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