12. VIPSANA

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28 a.C.

Era uno sbaglio, ne era perfettamente consapevole. Andava contro tutti i suoi principi, contro l'educazione che le era stata inculcata, contro la morale con cui era stata allevata.

Ma in quel momento non esistevano regole né convenzioni, non esistevano i suoi genitori, la gens Vitellia e la gens Romilia.

Esistevano solo lui e lei, i loro sguardi, i respiri che si fondevano in uno.

Non si era mai sentita così. Non era mai stata innamorata prima. L'amore l'aveva travolta come un uragano, spazzando via tutto ciò che prima era stato, tutto ciò che lei era. Era arrivato all'improvviso e quello era stato il mese più bello della sua vita.

Ricordava come tutto era iniziato. Il banchetto a casa dei Romili. Lo sfarzo, l'eleganza, la musica, le danze, le pietanze. Lei però non rammentava nulla di tutto quello. Ricordava solo lui, bello come un dio, col suo portamento elegante, il sorriso seducente, lo sguardo focoso che l'aveva trapassata e fatta sentire nuda. Non aveva alcuna esperienza in fatto di uomini, ma l'aveva avvertita - la sua eccitazione, il suo desiderio - e ne era stata travolta. Avrebbe voluto gettarsi tra le sue braccia e lasciargli fare ciò che voleva di lei. Creta nelle mani di un vasaio che la rivoltasse, che la frugasse, che la toccasse lì dove nessuno l'aveva mai toccata.

Quella sera non era accaduto nulla, eppure era cambiato tutto. Si erano rivolti solo poche frasi di circostanza, lui aveva ammirato il suo abito e i suoi gioielli e la sua acconciatura. Poi, quando si erano improvvisamente ritrovati soli e tutti erano distratti e impegnati in altre conversazioni, lui aveva ammirato i suoi occhi, le sue labbra, il suo corpo. Le lodi si erano fatte sempre più sfacciate e lei aveva iniziato a balbettare e ringraziare e ricambiare i complimenti. Si era sentita morire e rinascere sotto il suo attento esame, si era sentita bella come Venere, si era sentita la donna più fortunata del mondo.

Avrebbe voluto che quella notte non finisse mai, ma era finita. I Vitelli erano tornati a casa, lui l'aveva salutata con calore e le aveva sussurrato all'orecchio: "Prego gli dèi perché facciano giungere presto il giorno in cui potrò rivederti." Lei era rabbrividita sotto il suo respiro tiepido e fruttato e lo aveva guardato incantata, incapace di replicare.

Quello era stato il giorno in cui si era innamorata di Gneo Romilio Rabirio. Non lo aveva mai incontrato prima. Il contatto tra i Vitelli e i Romili era avvenuto prima tra i loro padri, poi tra le loro madri. E poi c'era stato quel banchetto. I Romili avevano fatto il primo passo, suscitando l'indignazione di Settimia e l'entusiasmo di Vitellio.

"Avremmo dovuto invitare loro da noi" aveva ribattuto Settimia.

"Si sono piegati per primi, dovresti esserne contenta" era stata la replica di Vitellio.

Il banchetto era stato un successo e per una volta Vipsana non si era sentita oscurata dalla presenza della sorella, più bella e snella di lei, che era rimasta a casa indisposta. Claudia le aveva detto che era una ragazza incantevole, Romilia le aveva sorriso con simpatia, persino Romilio aveva detto a Vitellio che era una ragazza florida e che avrebbe sicuramente generato molti figli. Ma erano state le lodi di Rabirio a rapirle la mente e ad avvolgerla in una nube di emozioni mai provati prima.

E dopo c'era stato il banchetto nella loro domus. Lussi ed eccessi si erano sprecati, tutto per fare colpo sulla gens più antica d'Italia. Vipsana si era vestita e agghindata con particolare cura e, quando si era contemplata allo specchio, si era vista più bella che mai. Persino sua sorella le aveva detto che era radiosa e Vipsana non aveva potuto reprimere un sorriso. Voleva bene a Vistilia, anche se la infastidiva il suo modo di fare da sorella maggiore, sempre così serio e protettivo. Solo due anni le separavano ed erano sempre state molto unite.

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