1. VISTILIA

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32 a.C.

Dal triclinio provenivano ancora grida, schiamazzi e grasse risate, musica e battiti di mani. Era molto tardi ma il banchetto era in pieno svolgimento. I loro genitori erano ancora lì, a bere vino, spettegolare e parlare di politica. Ottaviano, Marco Antonio e Cleopatra erano sulla bocca di tutti. E mentre gli uomini parlavano della guerra proclamata dal senato a luglio e delle clamorose donazioni di Alessandria aggiunte da Antonio nel testamento che Ottaviano aveva reso pubblico, le donne spettegolavano su Ottavia, tradita e ripudiata dal triumviro Antonio in favore della regina dell'Egitto.

Sopra tutte si levava la voce del padre di Statilia, Tito Statilio Tauro: era appena tornato dalla campagna militare in Illirico al fianco di Ottaviano e l'esperienza sul campo lo aveva imbaldanzito. Era latore di notizie fresche e si crogiolava in questo privilegio, cercando di far pendere dalle proprie labbra tutti i presenti.

L'unico a non cadere nei suoi trucchetti era il padre di Sulpicia, Servio Sulpicio Rufo: oratore di spicco, riusciva sempre a far valere le proprie ragioni, anche quando non ne aveva, grazie alla sua fiorita parlantina. La gente malignava che avrebbe saputo convincere una madre a vendere il proprio primogenito.

E poi c'era il padre di Vistilia, Aulo Vitellio Vistilio, che sembrava non prendere mai niente troppo sul serio, che gozzovigliava e beveva e ruttava e sghignazzava ed era sempre pronto a lodare un amico, a consolarne un altro, ed evitava sempre lo scontro diretto, cercando piuttosto di fare da paciere. In quel momento tentava di impedire a Tito Statilio Tauro e Servio Sulpicio Rufo di venire alle mani, stemperando il potenziale conflitto con una battuta scherzosa.

Le ragazzine avevano smesso da un pezzo di origliare le discussioni dei loro genitori dal corridoio e, all'ennesima occhiataccia della madre di Sulpicia, che le vedeva sporgersi nel triclinio, si erano rintanate nel cubiculum della padroncina di casa. Si erano sedute sul letto e avevano iniziato a divorare ciliegie sottratte al banchetto, scambiandosi pettegolezzi e risatine e lanci di noccioli.

Dal momento che il banchetto indetto nella domus Statilia sarebbe durato fino all'alba, le due coppie di invitati avevano accettato l'invito di portare le loro primogenite e di farle dormire insieme a Statilia. Ma le tre dodicenni non avevano alcuna intenzione di dormire, malgrado fosse appena iniziata la terza vigilia. Si sentivano allegre ed emozionate per quella speciale concessione e non avrebbero perso neanche un istante pisolando. Non quando potevano fare tante cose divertenti insieme.

In quel momento, Statilia eresse con fierezza il collo, peraltro molto corto e grosso - forse era quello il motivo per cui i suoi antenati avevano ottenuto il soprannome Tauro, perché erano robusti e tozzi come tori - e aveva annunciato: «È sbocciato il mio fiore rosso.»

Vistilia sgranò gli occhi, stupita. «Di già!»

«E com'è?» chiese Sulpicia, più pragmatica.

«Facci vedere!» la punzecchiò Vistilia sul braccio.

Statilia scese dal letto, sollevò la tunica e mostrò il panno di lino cosparso di macchie scure. Vistilia si sentì girare un po' la testa, mentre Sulpicia indagava: «Fa male?»

«Fa un po' male alla pancia, ma la mamma ha detto che non devo avere paura e che sono finalmente pronta alle nozze.»

«Ti sposerai presto?»

«Mamma deve parlarne con papà, prima. Ma non vedo perché dovrei attendere. Sono una donna, ormai» si pavoneggiò Statilia.

Vistilia si era ripresa quel tanto che bastava da cogliere lo sguardo divertito di Sulpicia, che considerò: «Sarai la prima di noi a sposarti.»

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