14. VALERIO

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Terzo giorno prima delle None di febbraio (3 febbraio)

Non avrebbe mai creduto che il corpo umano potesse arrivare a simili contorcimenti prima di conoscere Philotes.

Era a quattro zampe sul pavimento di legno, la pancia magra inarcata all'inverosimile verso il soffitto, la schiena contratta e accartocciata e la testa infilata tra le gambe. Sorrise trionfante e iniziò a camminare in cerchio, lasciandosi ammirare dagli spettatori riuniti nella stanzina. Quindi le gambe si sollevarono verso l'alto, dritte come fusi, e si divaricarono proprio davanti agli occhi di Valerio, che si trovò così ad ammirare la sfacciata peluria tra le sue cosce.

La ragazza girò su se stessa e abbassò il sedere, fino ad avere le gambe puntate come frecce verso l'alto, ben salda sulle mani. Quindi si lasciò cadere all'indietro, fece una capriola e guizzò in piedi, esibendosi in un inchino. Mentre gli applausi scrosciarono, raggiunse Anteros e gli prese dalle mani il calice di vino, dissetando la gola riarsa. Si passò il dorso della mano sulle labbra e ammiccò a Valerio, che non le aveva tolto gli occhi di dosso.

«Eccezionale, come sempre» si complimentò lui e si protese verso di lei per baciarle una mano.

Lei arrossì graziosamente, ma poi l'attenzione di tutti fu calamitata da Peito, che aveva dichiarato: «Ora tocca a me!»

Si posizionò al centro della stanza che Valerio aveva affittato per tutto il pomeriggio. Era piccola e accogliente, intima e calda, grazie ai bracieri che ardevano ai quattro angoli. Il "Tempio del piacere" era il lupanare più costoso del Celio, e anche il più raffinato. Valerio era stato in numerosi bordelli - si poteva anche dire che avesse familiarizzato con tutti i lenoni della città - ma quello aveva un posto speciale nel suo cuore. Lì vivevano i suoi migliori amici, gente eccezionale che lo adorava non "anche se" era nato diverso, ma "proprio perché" era nato diverso. Frequentava il "Tempio del piacere" da nove mesi ed era stato il periodo più felice della sua vita. Lì aveva conosciuto le persone migliori che potesse sperare di incontrare e aveva imparato a sentirsi libero di essere ciò che era, senza aspettarsi espressioni di disgusto o scherno dietro ogni angolo.

Peito iniziò a dimenare i fianchi. Era completamente nuda a parte una tunica aderente di velo che non lasciava nulla all'immaginazione. Era la lupa più attraente del postribolo, con quel fisico scultoreo e formoso, i seni grossi ma non pesanti, i fianchi morbidi e il sedere alto. Il triangolo di peli scuri che aveva in mezzo alle gambe tradiva il vero colore dei suoi capelli, nascosti da una parrucca rossa come le sue labbra, rivestite dal fucus. Gli occhi neri ardevano come i bracieri mentre fissava Valerio nella sua sensuale danza improvvisata. In fondo, era l'unico cliente all'interno della stanza.

Alle spalle di Peito, Afrodite roteò gli occhi e fece un verso di gola. Valerio sapeva che tra le due non correva buon sangue, ma per il bene dell'attività in cui entrambe lavoravano cercavano di mantenere dei rapporti quantomeno civili. Valerio sapeva che Afrodite invidiava a Peito la sua bellezza e per questo la trattava con cattiveria, mentre Peito era vanesia e arrogante e non mandava giù le continue frecciatine della collega più anziana.

Senza farsi sorprendere da Peito - non avrebbe mai voluto scatenarne la gelosia ignorando la sua danza provocante - esaminò i suoi compagni di avventura.

La più anziana del gruppo era Afrodite. Si era data quel nome come gesto di ribellione e sfida al mondo che l'aveva voluta così atrocemente brutta. Era nata orrenda e lo era diventata ancora di più dopo che un cliente le aveva distrutto la faccia a suon di pugni. Setto nasale bruscamente deviato, bocca priva di alcuni denti, orecchio a cavolfiore, due occhietti piccoli e maligni, che brillavano di astuzia e avidità, capelli neri radi e sempre spettinati che si gonfiavano intorno alla testa bitorzoluta. Magra al punto da potersi dire scheletrica, era però una lupa in gamba: aveva saputo sfruttare al meglio le proprie deformità diventando la prostituta più richiesta del lupanare, poiché rispondeva ai bisogni più disgustosi, perversi e sadici dei suoi clienti. Era però anche imprevedibile e capace di interrompere una sessione per rivoltarsi contro il suo cliente e strappargli a morsi un orecchio, se quello osava trattarla diversamente da ciò per cui aveva pagato.

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