6. VIPSANA

62 8 12
                                    

29 a.C.

La fissava incantata, con la bocca spalancata. Non era l'atteggiamento adatto a una fanciulla romana. In fondo aveva tredici anni, non era più una bambina che si strabilia davanti a uno spettacolo inconsueto.

E quella donna era davvero uno spettacolo inconsueto.

Per prima cosa, era altissima. Molto più di lei, molto più di chiunque avesse mai incontrato. E aveva il fisico di una statua, di un'amazzone. Gambe lunghissime e toniche, vita sottile, addominali scolpiti, braccia magre e muscolose, spalle ampie, collo ritto e un volto che pareva scolpito nella pietra. Labbra carnose, naso piatto, coda dell'occhio all'insù che le dava l'aspetto di una pantera, fronte spaziosa e capelli talmente corti che parevano disegnati sul cranio.

Si ergeva ritta e fiera sulla pedana, fissando davanti a sé qualcosa che solo lei poteva vedere, incurante del tumulto che si andava scatenando intorno alla sua persona. Tutti la volevano, quell'altissima donna con la pelle dello stesso colore degli alberi di noce. E la voleva anche Vipsana.

Si aggrappò al braccio del padre, scrollandolo. «Tata, la voglio io! Ti prego, tata. Voglio lei!»

«Ma, tesoro... Stavamo cercando una guardia del corpo.»

Vipsana non capiva proprio perché suo padre ritenesse che lei avesse bisogno di una guardia personale. A Vistilia non l'aveva presa. Forse era per via dei loro caratteri, così diversi. Vistilia era disciplinata e tranquilla, mentre Vipsana era turbolenta e bravissima a cacciarsi nei guai.

E va bene, forse capiva il perché.

L'aveva spaventata un po' l'idea di avere un grosso omaccione che la seguiva tutto il giorno, dormiva ai piedi del suo letto e l'accompagnava persino alla latrina. Ma ora osservava quella schiava nera e pensava che non si sarebbe sentita a disagio, con lei. Anzi, avrebbero potuto anche diventare grandi amiche, sebbene quella donna sembrasse così seria e dura.

«Guardala, tata» insisté, con quella vocina pigolante cui, lo sapeva, suo padre non riusciva a resistere. «È così muscolosa! Diventerà un'ottima guardia del corpo, saprà proteggermi meglio di un uomo.»

Suo padre sospirò. «Sentiamo cos'ha da dire il mercante.»

Superarono la calca e salirono i gradini della pedana. Suo padre si rivolse al mercante. «Siamo interessati a questa schiava, ma vorremmo saperne di più. Mia figlia ha bisogno di una persona che sappia proteggerla da ogni pericolo, che stia sempre al suo fianco e non le volti mai le spalle.»

Il mercante, intuendo dalla ricca toga del padre e dai gioielli della figlia che poteva trarre un ottimo affare, fece un ampio gesto con le mani, esclamando: «Allora questa schiava fa per voi! È l'unica superstite di una tribù di guerriere, scampata per un soffio alla repressione armata del prefetto d'Egitto. È una mercenaria nubiana di rara abilità bellica, sa maneggiare una lancia come altre donne il pettine. È perfetta per vostra figlia!»

Suo padre era scettico, non credeva a quella fortuna insperata. Invece Vipsana aveva gli occhi brillanti di stupore.

«Quanto volete?» domandò dubbioso tata.

Mentre il mercante rispondeva, Vipsana si avvicinò alla schiava. Era talmente alta che la ragazzina non le arrivava al petto. Era impressionante. «Come ti chiami?»

La schiava non la guardò nemmeno, continuò a fissare l'orizzonte. Vipsana si irritò e la pungolò sul fianco, ripetendo la domanda.

A quel punto il mercante si sentì in dovere di intervenire. «Lei... ecco, non può rispondervi, giovane kyria. La tribù di cui faceva parte era nota per tagliare la lingua ai suoi membri, in modo che, qualora catturati, non potessero denunciare le loro compagne.»

GentesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora