13. CLAUDIA

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30 a.C.

La solennità di quel momento era densa come miele. Claudia la sentiva appiccicata alla pelle, le chiudeva la gola, impedendole di respirare correttamente. O forse era solamente l'emozione.

Davanti a lei e ai parenti riuniti per l'occasione, suo figlio stava terminando la cerimonia dinanzi ai Lari. Non lo disturbava il fatto di avere gli occhi di tutti puntati addosso, anzi ne era orgoglioso. Come lo era lei. Come lo era Romilio, accanto al ragazzo, intento a osservarlo porre dinanzi agli spiriti protettori degli antenati la bulla che aveva appena tolto dal collo. Quell'amuleto lo aveva protetto dalle forze del male da quando aveva emesso il suo primo vagito, gli aveva permesso di sopravvivere all'infanzia e di trascorrere un'adolescenza felice e sana. Claudia non poté trattenere un brivido, quando vide la collana appoggiarsi accanto alle statuette in terracotta dei Lari familiari. Cercò di non pensare che ora suo figlio, il suo bellissimo ragazzo, era esposto alla volubilità del Fato. Vulnerabile, indifeso, solo.

Romilio fece un cenno e due schiavi aiutarono Rabirio a rimuovere la toga praetexta. Anche quella venne consacrata agli antenati, con le formule di rito, che nessuno degli astanti poteva udire. Claudia fissava la bocca del figlio muoversi e sperò che pronunciasse correttamente tutte le parole. Niente doveva andare storto. Niente doveva rovinare quel giorno.

Quindi gli schiavi aiutarono il ragazzo a indossare la toga virile di lana bruna, drappeggiandola ordinatamente sulle spalle e facendola cadere in pieghe perfette sulle ginocchia ossute. Il suo Rabirio era sempre stato magro, ma da qualche mese aveva preso ad allenarsi in palestra insieme ai suoi amici e Claudia poteva notare i risultati sui muscoli delle spalle e delle braccia.

Le si serrò nuovamente la gola e si asciugò discretamente una lacrima. Il suo bambino... No, non più bambino. Aveva compiuto sedici anni, secondo la legge era un uomo. Avrebbe dovuto sposarsi, intraprendere il cursus honorum, partire per i dieci anni di servizio militare... E chissà cosa sarebbe accaduto, in quelle tetre lande barbariche... Lei non sarebbe più stata al suo fianco per proteggerlo, non aveva nemmeno più la bulla al collo...

Quando la vestizione fu completata, Rabirio si voltò verso gli ospiti, raggiante in volto. Claudia sorrise e fece partire gli applausi, seguita a ruota da tutti gli ospiti. Era il sedicesimo giorno prima delle Calende di aprile (17 marzo), il giorno della festa del dio Libero. Il giorno in cui in tutta la città si stavano svolgendo cerimonie come quella. In cui tanti altri giovani patrizi si preparavano a fare il loro ingresso nell'età adulta. Ma Rabirio non era uno dei tanti. Claudia poteva sentire la folla premere contro le pareti della sua domus. Tutta Roma era lì per lui, per onorarlo e ammirarlo e invocare per lui salute e prosperità.

Capitanato da Rabirio e Romilio, il gruppo di familiari uscì dalla domus e subito vennero investiti dalle esclamazioni e dalle grida del popolo. In mezzo a loro, moltissimi clientes di Romilio, suoi colleghi senatori e altri patrizi venuti a dare un'occhiata al rampollo della più antica gens dell'Urbe.

Claudia rimase indietro, insieme alla figlia e alla cognata. Cercò di non distanziarsi dal figlio, tenendo gli occhi incollati sulla sua nuca, sulla quale si arricciavano i capelli neri. Era talmente bello, e non era l'orgoglio di madre a parlare. Sapeva di aver generato un ragazzo fuori dal comune, per grazia e nobiltà e intelligenza. Sapeva di aver fatto un buon lavoro.

Il corteo raggiunse il Campidoglio. Ogni tanti alcuni schiavi lanciavano in mezzo alla folla monete tintinnanti, che i plebei si affrettavano a raccogliere prima di lanciare benedizioni ai loro benefattori. Le schiave spargevano fiori al loro passaggio, alcune danzatrici allietavano gli sguardi del popolo, i musicisti riempivano l'aria con le loro note solenni.

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