Terzo giorno prima delle None di marzo (5 marzo)
Valerio era accovacciato sull'erba davanti alla casa di Claudilla, le ginocchia piegate e la mano sinistra poggiata a terra. Osservava il corteo di popolani e sacerdoti scorrere come un fiume ribollente verso il mare. I suoi occhi indugiarono su seni fin troppo scoperti e natiche velate da tessuti impalpabili, e sorrise. Ma era un sorriso amaro e carico di preoccupazioni.
Quando anche l'ultimo festante plebeo fu scomparso oltre la curva, le orecchie di Valerio ronzarono per i canti, gli inni, il suono acuto dei flauti e le grida di felicità, rimasti incastrati nella sua testa. L'eco si spese dopo lunghi istanti, lasciandolo immerso in un silenzio che era quasi più assordante della precedente cacofonia.
Avvertiva la presenza di Mazio alle proprie spalle. Non gli aveva nemmeno proposto di unirsi alla festa. Sapeva che gli avrebbe rifiutato anche quello, anche se Valerio gli avesse promesso e giurato che non sarebbe fuggito. Aveva davvero tutta l'intenzione di fare il bravo e comportarsi bene al Navigium Isidis.
Perché la fuga era organizzata per quella notte, non prima.
L'ultima festa italica. L'ultimo festeggiamento nella sua patria prima di partire verso l'ignoto.
Ma lo sguardo di Mazio era duro e risoluto. Non lo avrebbe lasciato andare, e Valerio voleva risparmiarsi l'umiliazione di sentirsi negare qualcosa da uno schiavo.
Serrando la mandibola per un attacco di rabbia improvvisa, scattò in piedi. «Andiamo alla spiaggia» ordinò e, aggirando la casa, scese il lieve pendio che portava al lungomare, in quel momento deserto. Erano tutti al porto a festeggiare la dea egizia. Nessuno lo avrebbe disturbato lì.
Valerio si tolse i sandali e poggiò le piante dei piedi sulla sabbia fresca, a poca distanza dal punto in cui le onde spumeggianti lambivano il terreno. Si tolse il mantello e, dopo averlo steso a terra, ci si sedette sopra.
Sentì lo sguardo di Mazio percorrerlo e Valerio strinse le labbra per trattenere un moto di compiacimento.
Ogni tanto gli piaceva vestirsi da donna. Mostrare l'altra metà della propria anima. Valorizzare i lunghi capelli ramati con dei nastri, gli occhioni blu con del fumidus, le labbra con del fucus leggero; indossare tuniche scollate ed enfatizzare i piccoli seni con un intreccio sapiente del cingulum in mezzo al petto, scegliere un babilonicum che si intonasse ai suoi colori e che gli avvolgesse i fianchi morbidi.
Da quando era partito per Baia, però, non lo aveva mai fatto. Non aveva nemmeno una tunica femminile, perché non era stato lui a preparare i bagagli, bensì gli schiavi. Lui era stato troppo occupato ad assorbire la sentenza di morte fissando il vuoto, del tutto inconsapevole di ciò che gli accadeva intorno. E gli schiavi erano abituati a considerarlo un uomo, perciò non poteva biasimarli.
Ma quella mattina, dopo che Claudilla e Rabirio erano usciti per la festa, era tornato nella stanza in cui il cugino gli aveva raccontato la sua folle storia, scoperto che si trattava di quella della padrona di casa e iniziato a frugare nelle arcae. Aveva trovato quella splendida tunica rossa, decorata con frange e perle, il cingulum di una tonalità più ramata e il babilonicum della stessa sfumatura dei suoi occhi e un ago crinale in madreperla intorno al quale aveva cercato di intrecciare i capelli, fallendo miseramente. Aveva trovato i cosmetici e le creme per il viso e si era divertito come quando da bambino frugava tra gli oggetti della madre e provava tutti i suoi abiti, i suoi sandali e i suoi pettinini.
Sopra tutto aveva indossato un pallium, nascondendo la sua trasformazione, era passato davanti a Mazio senza degnarlo di un'occhiata ed era uscito dalle fauces, per godere almeno da lontano e almeno per qualche istante della variopinta processione isiaca.
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Gentes
Historical Fiction16 gennaio 27 a.C. Nello stesso giorno in cui Ottaviano viene acclamato dal senato imperatore di Roma e assume il titolo di Augusto, due giovani convolano a nozze. Lei è Vistilia, primogenita della gens Vitellia, arricchitasi grazie alle guerre civ...