23. VIPSANA

62 6 8
                                    

29 a.C.

I suoi genitori avevano organizzato una bella festa. Non fastosa quanto quella dedicata alla nascita di Vistilia, la primogenita. Né quanto quella dedicata alla nascita di Vitellio, il primo figlio maschio ed erede della gens.

Sicuramente più pomposa di quella che avevano dato per lei.

Ovviamente non poteva ricordarsene, dato che era appena nata. Ma ricordava bene che anche suo fratello Druso era stato negletto dalla famiglia. L'erede lo avevano già, lui era solo la ruota di ricambio nel caso il carro si fosse danneggiato lungo il percorso. E se pensavano questo di un maschio, chissà cosa pensavano di lei...

Però le gemelle erano state una sorpresa. Insomma, erano due. Non si aspettava una cosa del genere. Ed erano perfette, così belle e in salute e dolci e tranquille. Tutti gli ospiti si erano innamorati di loro al primo sguardo. Alcune matrone avevano già cercato di combinare un'unione tra le infanti e i loro figli maschi.

Settimia, sdraiata su un triclinio accanto alla grande culla, sorrideva e accettava gli omaggi di amici e clientes. Vitellio rideva e beveva e festeggiava e parlava a voce troppo alta. Dava pacche sulle spalle, stringeva mani, regalava abbracci. Ogni tanto si accostava alla moglie, premuroso, domandandole se desiderasse un altro cuscino o del vino o se fosse abbastanza calda e comoda. Settimia lo congedava con benevolenza, ninnando le gemelle.

Vipsana si avvicinò alla culla e le sbirciò di sottecchi. Graziose erano graziose, non c'erano dubbi. Ma non le piaceva l'idea di non essere più la femmina più giovane della famiglia. Quando era arrivato Vitellio era stata contenta, naturalmente. Sapeva quanto un erede maschio significasse per le famiglie importanti come la loro. Già Druso avrebbero potuto risparmiarselo. Ma le gemelle... che bisogno c'era di altre femmine? Mamma e papà ne avevano già due!

Anche Settimia era stata contrariata dalla venuta al mondo di quelle due. Dopo una giornata intera di travaglio, urla e sangue, aveva guardato le bambine e aveva sbuffato tra i denti: «Tutta questa fatica per due femmine!»

Vipsana aveva quasi sperato che le mandasse via, ma sua madre le aveva tenute. Vistilia le aveva prese subito in braccio, gorgogliando tenerezze e coccolandole come se fossero state sue. Vipsana non aveva nemmeno voluto toccarle, neanche dopo che erano state lavate e profumate.

Ancora adesso faticava ad accettare la loro presenza. E quella festa non aiutava a migliorare il suo umore.

«Mamma» miagolò, accostandosi alla madre, «avete fatto una festa così anche quando sono nata io?»

«Certo che sì.»

«Con tutti questi ospiti? E tutte queste portate?»

«Sì.»

«Anche a me hanno portato tutti quei doni?»

«Ora basta, Vipsana» si seccò Settimia. «Non darmi il tormento.»

Vipsana mise il muso e si allontanò impettita, scivolando tra le toghe degli uomini e le stole delle matrone fino alle colonne che dal triclinio davano sul corridoio principale della domus. Fu lì che si imbatté in un uomo che non aveva mai visto. Non era un cliente di suo padre né uno degli amici abituali della famiglia.

Era di bassa statura e massiccio, con la testa completamente rasata e occhi grigi stranamente familiari. L'uomo abbassò lo sguardo su di lei, poi la oltrepassò. Lo seguiva una figura curva e incappucciata, più alta di lui. Vipsana non riuscì a capire chi fosse ma, quando li vide avvicinarsi a suo padre, si allarmò. Potevano essere degli assassini? Rivali politici di papà?

GentesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora