Sesto giorno prima delle None di marzo (2 marzo)
Avevano stabilito una loro rassicurante quotidianità. Ogni mattina si incontravano alla Biblioteca Palatina. Non si parlavano, non incrociavano mai lo sguardo. Lasciavano che fossero i bigliettini a parlare per loro. Piccoli codicilla che passavano dalle mani di lui a quelle dell'ancella di lei e infine alla fremente destinataria.
Il momento migliore era forse l'attesa soddisfatta. Flacco arrivava sempre per primo alla biblioteca, si sedeva su uno scranno, fingendo di leggere il volumen di qualche illustre poeta, e attendeva. Dava la schiena alla porta, in modo che nessuno potesse notare la gioia nei suoi occhi quando infine lei appariva, affiancata dalle sue ancelle come Venere dalle ninfe.
Aveva anche imparato i loro nomi. Doride e Rodope. Doride era la più timida, quella che svolgeva il segreto incarico con più preoccupazione e ansia. Rodope era la più intraprendente, e si vedeva che quella missione la eccitava parecchio. Doride gli consegnava il biglietto con gli occhi bassi e le guance in fiamme, Rodope sorridendo maliziosa e quasi saltellando per la fretta di tornare dalla sua padrona.
Erano le sue più fedeli alleate, oltre a sua sorella. Vistilia, che era calata come un deus ex machina dall'Olimpo recandogli il responso di Romilia. E mentre lo colmava di avvertimenti pessimisti, lui riusciva solo a pensare alle poche parole che lei gli aveva scritto.
Tramontata è la luna
E le Pleiadi a mezzo della notte
Anche giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.
Scuote l'anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.
Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero.
Aveva scelto di rispondergli con la voce della poetessa Saffo. Come lui, non aveva scelto la via più diretta. Flacco non le aveva semplicemente scritto: "Sei bellissima. Mi sto innamorando di te" e lei non aveva semplicemente risposto: "Il sentimento è reciproco". Ma quei versi bastavano a raccontare tutto ciò che i loro cuori non osavano confidarsi a voce alta.
Da allora, Flacco e Romilia si erano incontrati nella biblioteca. Ogni mattina, quando lei arrivava, le faceva arrivare una poesia scritta di suo pugno che esprimeva il suo stato d'animo in quei momenti. Lei la leggeva e poi rispondeva con una poesia di Saffo o Catullo o Orazio. Non era una poetessa, malgrado amasse follemente elegie ed epigrammi. E Flacco si abbeverava dei suoi codicilla come un assetato farebbe con un calice di vino schietto. E, proprio come quell'assetato, anche lui ne era inebriato.
Cinque giorni erano trascorsi dal loro primo incontro nella biblioteca. Quattro da quando Vistilia gli aveva recapitato la sua risposta. Tre da quando si erano incontrati di nuovo in quella vasta sala marmorea, tra armaria straripanti di volumina e senatori che disquisivano dei problemi all'ordine del giorno in curia.
Flacco conservava nella memoria ogni loro incontro. Al banchetto, quando lei l'aveva accompagnato alle fauces. A teatro, quando lei lo aveva riempito di lodi che l'avevano paralizzato per lo stupore. E ancora prima, quando si era scontrato con la sua portantina e lei, con dolce candore, gli aveva chiesto perdono.
Si era ricordato alfine perché il suo volto gli sembrasse tanto familiare. Era perché l'aveva già vista: quegli splendidi occhi di fiordaliso, quelle lunghe ciglia, quei folti capelli d'ebano, la pelle candida priva di imperfezioni...
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Gentes
Historical Fiction16 gennaio 27 a.C. Nello stesso giorno in cui Ottaviano viene acclamato dal senato imperatore di Roma e assume il titolo di Augusto, due giovani convolano a nozze. Lei è Vistilia, primogenita della gens Vitellia, arricchitasi grazie alle guerre civ...