19. VALERIO

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Settimo giorno prima delle Idi di febbraio (7 febbraio)

Valerio osservava Novia, illuminata dai raggi del sole che entravano dalla porta aperta. Vinto da un moto di tenerezza, le carezzò lievemente la tempia, facendo poi scivolare il dito sulla guancia e il nasino. Sorrise. Non era stato affatto un sacrificio per lui passare la notte con la bella liberta. Novia era stata preavvertita sul suo conto e non aveva mostrato né esitazione né orrore quando lui l'aveva presa tra le braccia e baciata. Anzi, gli si era concessa con infantile dolcezza e dopo, abbracciati sotto le coperte, gli aveva confessato che non era mai stata tanto bene con qualcuno.

"Neanche col padre di tuo figlio?" non aveva potuto fare a meno di chiederle lui.

Lei si era rabbuiata. "Non voglio parlare di lui."

A Valerio non interessava particolarmente la triste storia del suo primo amore, perciò non lo aveva infastidito quel rifiuto. Si era limitato a carezzarle il fianco, accontentandosi di sentirla miagolare come una gattina.

Si alzò dal letto, nudo come quando ci era entrato, e indossò vari strati di tuniche. Dalla porta, che si affacciava sul peristilio, entrava un soffio gelido che dissipava immediatamente il calore accumulato durante quella notte di passione. Uscì dalla stanza e si stiracchiò, guardandosi intorno. Era strano tutto quel silenzio, ma decisamente divino. Nessun viavai di schiavi, nessuna madre avvilita con una faccia da funerale, nessun padre scorbutico e nevrotico.

Decise di uscire sul retro, per dare un'occhiata alla famosa croce. Il giro della villa che Novia gli aveva fatto fare la sera prima si era concluso ben presto nel cubiculum padronale e Valerio non aveva potuto soddisfare la propria morbosa curiosità in merito al luogo del supplizio del cugino.

Aveva voluto bene a Rabirio. Erano cresciuti insieme, complice anche il solo anno che li separava. Rabirio si era abituato fin da piccolo a vederlo così com'era, grazie a tutti i bagni che facevano insieme e ai giochi in totale nudità nella fontana che divideva le loro abitazioni. Non lo aveva mai giudicato, non lo aveva mai guardato in modo strano, non gli aveva mai dato del "diverso" o del "mostro". C'era stata una volta - avranno avuto all'incirca dodici, tredici anni - in cui Rabirio gli aveva chiesto se provasse più piacere come uomo o come donna. E nel dirlo lo aveva toccato in entrambi i punti. A Valerio era andata a fuoco la faccia e gli aveva ordinato di non farlo mai più. Rabirio aveva riso, ma senza cattiveria.

"Sei fortunato" gli aveva detto poi. "Io avrò sempre bisogno di una ragazza, mentre a te va bene qualsiasi cosa ti capiti a tiro!"

Valerio gli aveva spiegato che non era proprio così, che anche lui aveva gusti e preferenze, ma Rabirio non era più interessato a quella conversazione. Avevano parlato poco di sesso, nonostante fossero due ragazzi nell'età dell'amore. Rabirio aveva già la sua cerchia di amici, figli di consoli e senatori, mentre Valerio... Valerio iniziava il suo triste cammino di solitudine, che si era concluso solo quando, in occasione del suo passaggio all'età adulta, era stato portato dal padre in un lupanare. Era tornato a prenderlo poco all'alba, aveva parlato col lenone e poi aveva detto al figlio: "Almeno ora so che sei in grado di comportarti da uomo". Non l'aveva neanche guardato in faccia.

Suo padre non lo guardava mai, sua madre nemmeno. La zia Claudia era gentile con lui, lo aveva sempre colmato di carezze e affetto, ma non era la stessa cosa. Lei era gentile con tutti, sarebbe stato contro la sua natura non esserlo col mostro della porta accanto. Valerio non ricordava nemmeno il colore degli occhi dei suoi genitori. Supponeva che uno dei due li avesse blu, come i suoi. Non era l'azzurro cristallino degli occhi di Rabirio e Romilia, ma una tonalità più intensa, come quella del mare che vedeva dal retro della villa di Baia d'estate.

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