31 a.C.
Il grammaticus si chiamava Agapio: era molto alto e molto distinto, con ricci color ferro, barba bianca da filosofo, corpo magro ed eretto, mani sottili e bianchissime sulle quali si poteva seguire il percorso delle vene azzurrine. Le ragazzine non avevano idea di quanti anni avesse. Probabilmente era vecchio quanto i loro genitori, anno più, anno meno.
E questo era tutto ciò che sapevano sul suo conto. Oltra al fatto che era greco.
Era il loro quinto precettore. Da piccole, per imparare a leggere e scrivere erano state seguite dal litterator, un uomo buono e paziente che le faceva ridere e divertire. Erano stati anni molto belli.
Poi era subentrato il librarius, e con lui i sorrisi erano scomparsi. Era severo, brutale, violento. Pretendeva che non facessero errori, o erano bacchettate sulle dita. Loro non osavano lamentarsi con i genitori, perché era un librarius molto apprezzato a Roma e tante famiglie patrizie se lo contendevano.
Le lezioni sulle parole e i testi erano alternate da quelle sui numeri, con il calculator. Lui era un giovane ansioso e inesperto, che temeva sempre di alzare troppo la voce o di indispettire le sue allieve. E ovviamente loro ne approfittavano, lo distraevano o facevano i capricci e si mettevano a giocare con l'abaco, a ridere e scherzare. E lui le lasciava fare, avvilito e impotente. L'unica condizione era che non facessero troppo chiasso, o avrebbero attirato l'attenzione dei loro genitori e sarebbe finito il tempo del gioco.
Quindi era arrivato il tempo del notarius, ma non si era fermato molto, perché la stenografia non era una materia che interessasse molto alle fanciulle. Ben presto era stato sostituito da Agapio e finalmente le ragazzine avevano un precettore degno di tal nome. Riservato, serio, saggio, sapeva farsi rispettare ma anche ammirare per la sua lucida intelligenza e la passione con cui spiegava i grandi classici della sua patria.
Quel giorno stavano leggendo un passo dell'Iliade quando Agapio domandò loro cosa pensassero del comportamento di Elena.
«Io credo che non abbia agito con saggezza.» Statilia fu la prima a rispondere. Cercava di sembrare un'allieva diligente e volenterosa. Le amiche insinuavano che avesse una piccola cotta per il loro grammaticus, ma Statilia si indignava e ricordava loro che l'anno successivo, il giorno del suo quattordicesimo compleanno, si sarebbe sposata, quindi non era bene che volassero certi pettegolezzi. Le voci potevano distruggere l'onore di una fanciulla quanto le autentiche colpe. «Scappare in quel modo col primo venuto, abbandonare il marito e la figlia, tradire il suo popolo e la sua patria! Non è affatto un comportamento degno di una regina.» Statilia guardò Agapio in trepidante attesa di un cenno di apprezzamento, che arrivò puntuale.
Lei sorrise soddisfatta, mentre Sulpicia prendeva la parola. «In realtà non ha avuto scelta. Afrodite ha decretato che Elena e Paride si innamorassero ed è impossibile opporsi al volere degli dèi.»
«In molti si sono opposti agli dèi, prima» obiettò Statilia, irritata alla sola idea che la risposta logica dell'amica potesse lasciare la sua nell'ombra.
«E hanno fatto tutti una brutta fine» le ricordò Sulpicia.
«Meglio la morte del disonore!»
«Come sei tragica!»
Le ragazze si squadrarono con vivacità, ma Agapio ignorò il battibecco e voltò il capo verso l'ultima allieva, che era rimasta in silenzio. «Tu cosa ne pensi, Vistilia?»
Lei arrossì profondamente. «Oh, io...» Non riuscì a continuare. I pensieri le si affastellavano in testa e lei non riusciva a tradurli in parole sensate. Sapeva cosa voleva dire, ma il grammaticus avrebbe compreso il suo punto di vista? Le amiche l'avrebbero derisa o rimbrottata?
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Gentes
Historical Fiction16 gennaio 27 a.C. Nello stesso giorno in cui Ottaviano viene acclamato dal senato imperatore di Roma e assume il titolo di Augusto, due giovani convolano a nozze. Lei è Vistilia, primogenita della gens Vitellia, arricchitasi grazie alle guerre civ...