33. PACUVIO

28 5 4
                                    

Calende di marzo (1 marzo)

Si schiarì la voce e cercò di impostare il volto in un'espressione di calma assoluta e totale padronanza di sé. Poi uscì dalla domus e si diresse dal pater familias, che stava uscendo in quel momento dall'abitazione degli altri padroni, il dominus Fabio e la domina Valeria.

Si incontrarono a metà del cortile di mezzo, accanto al complesso statuario della ninfa e del satiro. Pacuvio si sentiva sempre intimidito in presenza del Vecchio. Giravano così tante storie eroiche su di lui. Aveva salvato la vita a tantissimi cittadini romani, si era sempre schierato dalla parte giusta durante le guerre civili ed era ancora vivo per poter ricevere gli omaggi veneranti di patrizi e plebei.

Era una leggenda. E lui era il suo umile servitore. Il dominus Romilio ormai non usciva più dal suo cubiculum. Il dolore che lo affliggeva era troppo intenso per permettergli anche solo il breve viaggio fino al triclinio. Mangiava, faceva i suoi bisogni e veniva lavato direttamente nella sua stanza dagli schiavi. La padrona non fingeva nemmeno più di provare a concepire con lui un figlio. Negli ultimi giorni era tornata a dormire nel suo cubiculum, e nemmeno il Vecchio aveva detto nulla. Sapeva che ormai Romilio non aveva più energie per svolgere il compito più naturale per un uomo.

L'espressione del Vecchio era austera e indecifrabile, come sempre. Pacuvio si era preparato il discorso per tutto il tragitto dalla Biblioteca fino a casa, ma non sapeva come l'anziano pater familias avrebbe reagito alle sue dichiarazioni.

Si schiarì di nuovo la voce ed esordì: «L'ho seguita, come avete ordinato, domine. Si è recata con due ancelle alla Biblioteca Palatina. Ha letto per tutto il tempo. Ma una delle ancelle si è avvicinata a un giovane, dal quale ha ricevuto un codicillum, e l'ha consegnato alla padrona. Lei l'ha letto e nascosto sotto alla palla. Poi si è diretta a uno scrittoio e ha scritto anche lei un biglietto. L'ancella l'ha consegnato al giovane. Sono andati avanti così per un po'. Poi il giovane se ne è andato. L'ho seguito e sono riuscito a prendergli questo.»

Era stato davvero semplice. Ancora gli scorreva nelle vene il sangue del ladruncolo di strada che era stato. Gli era bastato calarsi bene in testa il cappuccio e fingersi un ubriacone. Quando si era scontrato col giovane, gli aveva infilato una mano nella tasca in cui l'aveva visto riporre i bigliettini. Il ragazzo aveva alzato le mani per sorreggerlo e aveva accettato benevolmente le sue scuse farfugliate. Gli aveva persino suggerito di attendere un po' prima di iniziare a bere, la prossima volta. Pacuvio aveva annuito vigorosamente, sempre tenendogli nascosto il volto, ed era barcollato via.

Solo quando si era ritrovato solo e senza spettatori, aveva dato un'occhiata al codicillum. Le sue sopracciglia erano schizzate verso l'alto e un ghigno gli aveva distorto le labbra. Quel pazzo non gli aveva dato ascolto, dunque. Si era cacciato in un buco senza via d'uscita e presto i lupi avrebbero dato inizio alla caccia.

Consegnò il foglietto di papiro al Vecchio, che lo prese tra le lunghe dita pallide. Lo lesse senza mutare espressione.

«Sapresti riconoscere il giovane?»

«Lo conoscete anche voi, domine. È il poeta che la domina Romilia ha invitato a esibirsi in questa casa.»

«Un plebeo.» Lo aveva detto senza alcun disprezzo, come una mera constatazione.

«Come preferite che agisca, domine

Il Vecchio ci pensò su, poi rispose: «Tu non farai nulla. Un plebeo non rappresenta un problema per noi. E, da quello che leggo, si tratta di una storiella tra bambini, innamorati dell'idea dell'amore, più che l'uno dell'altra. Non è ancora accaduto nulla.» Il suo sguardo si offuscò leggermente, quando aggiunse sottovoce, come parlando tra sé e sé: «Ma ciò non significa che non possa accadere...»

GentesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora