25. ROMILIA

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34 a.C.

Fu il dolore a svegliarla. Un dolore sordo e insistente alla parte bassa della pancia.

Romilia strinse i denti e posò le mani sul punto che le doleva, sperando che il calore fosse di qualche aiuto. Ma non fu così.

Si alzò per usare il vaso da notte. Non sembrava uno dei suoi soliti mal di pancia, ma forse liberandosi sarebbe stata meglio. Si chinò sul vaso e fu attraversata da un'altra fitta, che le fece venire le lacrime agli occhi. L'ancella che dormiva sul pavimento accanto al suo letto si svegliò e la raggiunse premurosa, chiedendole se stesse bene. Romilia le spiegò tutto e la schiava fece qualcosa di molto strano. Le passò una mano in mezzo alle gambe e poi si fissò le dita.

Romilia sgranò gli occhi quando vide il sangue.

L'ancella le sorrise, assicurandole che non c'era nulla di cui preoccuparsi. La lasciò sola qualche istante e, quando rientrò nel cubiculum, teneva in una mano un calice con qualche tipo di infuso e nell'altra delle pezzette di lino. Le diede da bere l'infuso e poi le sistemò il linteum nel subligaculum. Quindi uscì per svuotare il vaso da notte, dicendole di infilarsi sotto le coperte.

Romilia obbedì e dopo un po' sentì i crampi allentare la morsa, il dolore scomparire. Si rilassò e subito si addormentò.

Il mattino dopo trovò sua madre seduta accanto a lei, intenta ad accarezzarle la fronte. Sorrideva, ma era un sorriso triste. Le spiegò cos'era accaduto quella notte e quali ripercussioni quel sangue avrebbe avuto sul suo futuro. Le spiegò che ora aveva raggiunto l'età adatta per sposarsi e avere dei bambini, ma le assicurò anche che non sarebbe accaduto subito, era ancora presto, avrebbe aspettato e cercato il ragazzo giusto per lei.

«Lo voglio bello, più grande di me e simpatico» aveva detto Romilia, rassicurata dalle pacate parole della madre.

«Così sarà» le aveva promesso lei, carezzandole le guance che iniziavano a perdere la rotondità dell'infanzia.

Quindi le aveva chiesto di spogliarsi e aveva esaminato la pezzetta di lino. Romilia si era sentita mancare quando l'aveva vista intrisa di sangue, ma la madre l'aveva rassicurata. L'aveva lavata in una tinozza e le aveva dato una pezzetta nuova, dicendola di cambiarla ogni volta che usava la latrina o il vaso da notte. Romilia aveva annuito.

Nel corso di quella giornata il mal di pancia si ripresentò. Ogni volta che si faceva troppo forte beveva l'infuso di erbe che la schiava le aveva preparato e si sentiva meglio. Quei giorni pensò spesso alle parole della madre: pensò al matrimonio, ai figli e soprattutto al suo futuro marito. Avrebbe voluto qualcuno simile a suo fratello, che era così bello e gentile e simpatico e dolce con lei.

Non accetterò niente di meno, si ripromise, senza sapere quanto poco contasse la sua volontà in quel mondo di uomini. Inseguirò la mia felicità e troverò l'uomo dei miei sogni.


Decimo giorno prima delle Calende di marzo (20 febbraio)

Le serate si succedettero una uguale all'altra. L'unica differenza degna di nota fu la rumorosa assenza dei Vitelli, dopo la loro prima apparizione. Romilia ne parlò a sua madre e lei parve quasi contenta. Avrebbe voluto chiederle se fosse accaduto qualcosa, ma Marco Tizio corse a reclamarla, portandola ad assistere a un numero di giocoleria al centro del triclinio.

Ce lo aveva sempre addosso, non l'abbandonava un solo istante e, dal loro primo incontro, si era fatto ancora più pressante e insistente. Sembrava quasi temere che, se l'avesse lasciata da sola un attimo di troppo, sarebbe fuggita o l'avrebbe trovata corteggiata da un altro.

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