7. RABIRIO

54 8 20
                                    

27 a.C.

Arrivò con le prime ombre della sera, un paio d'ore dopo il loro arrivo. Rabirio aveva appena richiuso la porta del cubiculum di sua moglie, quando l'ostiarius lo informò della visita di una giovane kyria.

«Di chi si tratta?»

«Non ha voluto dirlo, domine, ma afferma di dovervi parlare con urgenza.»

Rabirio immaginò che fosse la moglie di qualche cliente dei Romili, venuta a rendergli omaggio e a scucirgli qualche sesterzio. Sbuffò. Non aveva proprio testa per una questuante. Aveva ancora i sensi intorpiditi dall'ultimo amplesso con sua moglie.

Moglie.

Una parola così gustosa, che gli riempiva la bocca di acquolina. E Vistilia era proprio un bel bocconcino. Così minuta, così perfetta, con quegli occhi da cielo tempestoso e i denti bianchissimi che trafiggevano le morbide labbra rosa, il collo candido che lei storceva per portarlo il più lontano possibile dai suoi baci. Fallendo, ogni volta. Aveva fallito la notte di nozze, aveva fallito le notti che avevano trascorso nelle locande lungo la strada per Baia e aveva fallito in quella villa, poco prima. La sua sarebbe stata una vita costellata di fallimenti, se non si fosse arresa a lui. Era ostinata, testarda e capricciosa. E Rabirio trovava tutto ciò estremamente eccitante.

Seguì lo schiavo all'ingresso della villa, dove stazionava una figura infagottata in una pelliccia di leone. La riconobbe ancor prima che il cappuccio venisse abbassato da due mani affusolate.

«Cosa ci fai qui?» Non poté impedire alla propria voce di suonare infastidita, malgrado cercasse sempre di celare i veri sentimenti che lo animavano.

Lei gli si aggrappò immediatamente alla toga. «Sei in pericolo!» Non urlava, ma la sua voce stridula gli trafiggeva i timpani. «Mia madre ha mandato un uomo a ucciderti! Devi andartene subito

Rabirio trattenne uno sbuffo di impazienza. Era una sceneggiata patetica, lei era patetica. Per l'ennesima volta si rimproverò l'errore di giudizio commesso quando l'aveva sedotta. Era davvero convinto che fosse Vistilia, la maggiore, quando i Vitelli si erano presentati al banchetto. Aveva visto la fanciulla dai lunghi capelli biondi e i gioielli sfavillanti ai lobi delle orecchie e sulla scollatura dell'abito, e aveva pensato: poteva andarmi peggio. Le aveva parlato, l'aveva trovata ridacchiante e compiacente e aveva pensato che sarebbe stato fin troppo facile.

Quando erano stati i Vitelli a organizzare il banchetto, non aveva nemmeno badato alla sorella, credendo si trattasse della minore. E davvero sembrava che Vipsana fosse la più grande. Erano molto simili, ma la tranquillità mansueta negli occhi di Vistilia la rendeva più ingenua di un agnellino, mentre la sorella vibrava di eccitazione repressa e aveva uno sguardo adulto e pronto a qualsiasi cosa lui volesse offrirle. O prenderle.

Era andato fino in fondo ed era stato davvero troppo facile. Neanche il fatto che Vistilia li avesse sorpresi lo aveva disturbato. Doveva andare così. Era perfetto.

Ma poi, quando le tre donne si erano presentate alla loro porta, Rabirio aveva compreso l'errore. Non aveva sedotto la primogenita dei Vitelli, bensì la seconda figlia. Non aveva sedotto la donna che meditava di sposare, ma una mocciosa che non gli era di alcuna utilità e che si era presto tramutata in un pericoloso fastidio.

Ed ecco il risultato del suo errore.

Rabirio sentiva le occhiate della servitù su di loro. Perciò, senza alcuna delicatezza, afferrò la ragazza per un braccio e la trascinò in uno sgabuzzino. Chiusa la porta, rimasero al buio. Meglio così, non ci teneva a vedere i suoi pietosi occhi riempirsi di lacrime quando le avesse detto che doveva smetterla, che non c'era futuro per loro, che raccontare bugie sul conto della sua famiglia non lo avrebbe portato ad amarla. Era sposato con sua sorella e lei doveva farsene una ragione.

GentesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora