35. CLAUDIA

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Sesto giorno prima delle None di marzo (2 marzo)

«Dunque ci aiuterà?»

Claudia si stava torcendo le mani per l'ansia, mentre fissava il suocero come se potesse leggergli nel pensiero e risparmiarsi la fatica di quella conversazione. Perché le conversazioni col Vecchio erano sempre estenuanti. Mentalmente e fisicamente. Forse perché Claudia sapeva che una sua sola parola avrebbe potuto dare una svolta inaspettata alla sua vita. Il pater familias aveva potere di vita e di morte su tutti loro. Letteralmente e meno letteralmente. Costringere Fabio a ripudiare Valeria per sposare una donna più giovane e fertile non avrebbe veramente ucciso la sua sfortunata cognata, ma le avrebbe inferto un colpo dal quale non si sarebbe mai più ripresa.

Ma già in passato aveva usato il suo potere per decidere davvero sulla vita delle persone.

Claudia scacciò il ricordo del figlio che non aveva mai conosciuto e si concentrò sulla risposta del suocero.

«I Romili si sono indebitati per sostenere la sua guerra. È il minimo che possa fare.»

Claudia si morse il labbro. «Spero che tu sia stato un po' più... diplomatico davanti a lui.»

Il Vecchio la guardò con qualcosa di simile al divertimento. Non che stesse sorridendo o avesse una luce ilare negli occhi. Ma la sua espressione austera si era fatta all'improvviso più leggera. «Ho vissuto una vita di diplomazia, Claudia.»

«Lo so, è che...»

«Puoi dormire sonni tranquilli: il princeps non è a Roma, al momento, bensì a Miseno, per l'inaugurazione del porto. I suoi ministri hanno acconsentito di tenere prigionieri quegli uomini fino al suo ritorno, dopodiché trasmetteranno la mia richiesta ad Augusto. E lui acconsentirà di buona grazia a interrogarli.»

Claudia si riempì i polmoni di aria. Quando il suocero le aveva detto che i suoi milites avevano trovato i creditori di Rabirio e li avevano portati a palazzo, Claudia aveva temuto che il princeps reagisse male a quell'imposizione. Perché quando il Vecchio chiedeva qualcosa, non importava a chi, tutti dovevano obbedire. Ma questo non poteva valere per l'imperatore. Il Vecchio poteva ben ricordare le benemerenze della sua gens, gli aiuti che aveva procurato a Cesare prima e Ottaviano poi, ma il princeps poteva comunque liquidarlo.

Invece li avrebbe aiutati. Era un uomo d'onore, in fondo. O almeno, il suocero era convinto di questo.

«Quando confidi avremo una risposta alle nostre domande?»

«Conoscendo la persuasione degli interrogatori imperiali, presto. Sapremo se sono stati loro.»

Claudia si portò una mano alla tempia. Era il momento, dunque. Avrebbero saputo la verità, finalmente. «Tu cosa pensi?»

Il Vecchio distese la schiena sulla cathedra, tamburellando le dita sulla scrivania. «Sarebbe logico. Rabirio aveva accumulato ingenti debiti di gioco, i creditori lo hanno inseguito per un po' ma poi, realizzato che non avrebbero mai riavuto indietro i loro soldi, hanno deciso di vendicarsi.»

«Ma perché uccidere i servi? E perché non uccidere sua moglie?»

«Non volevano inimicarsi un'altra gens. Quanto agli schiavi, volevano fare un po' di scena. Colpendo loro, hanno sottratto dei beni preziosi ai Romili. Forse, sommando il valore di tutti gli schiavi, arriviamo alla cifra che Rabirio doveva loro.»

Era sensato. Così sensato che Claudia credeva che nessun'altra spiegazione sarebbe stata altrettanto convincente. Doveva essere andata così. Dovevano essere stati loro.

Si congedò dal suocero e trascorse la giornata a filare la lana, a cercare di tirare su il morale dell'infelice cognata e a governare gli schiavi.

Alla sera, una di loro le si appressò, le spalle curve e l'espressione impaurita. «Domina...»

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