28. RABIRIO

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Sesto giorno prima delle Calende di marzo (25 febbraio)

Rabirio si passò una mano sulla testa e una smorfia gli contrasse le labbra.

«In realtà non stai troppo male» cinguettò sua zia, posandogli il mento sulla spalla e fissando insieme a lui il suo riflesso nel grande specchio a parete, forgiato nell'argento.

«Sembro un criminale.»

«Sembri quello che devi sembrare: uno schiavo. E questo sarà il tocco finale.»

Claudilla fece comparire un collare da dietro la schiena e, prima ancora che Rabirio potesse provare a protestare, glielo agganciò al collo, inserì la piccola chiave nella serratura, le diede un giro e la sfilò. La chiave di ottone, agganciata a una catenella d'oro, scomparve nel solco dei suoi seni. Rabirio la seguì con lo sguardo nel riflesso, poi diede le spalle allo specchio e si voltò verso la zia.

Gli occhi verdi di lei rilucevano maliziosi, mentre si attorcigliava la catenella intorno all'indice. «Mi fa uno strano effetto vederti così. Mi induce a pensare che tu sia alla mia completa mercé.»

«E non è così da quando sono arrivato?» sollevò un sopracciglio Rabirio, non del tutto contrario all'idea che le vedeva balenare negli occhi.

Claudilla sorrise, facendoglisi più vicina, ma in quell'istante arrivò correndo uno schiavo. «Domina, il dominus sta arrivando!»

Claudilla si ritrasse di colpo e tornò seria e compita. «Raduna tutti gli schiavi. Li voglio tutti all'entrata, come stabilito.»

Lo schiavo annuì e corse via, trafelato, mentre Rabirio sentiva aumentare le pulsazioni.

Claudilla aveva piazzato degli schiavi a intervalli regolari dalla sua casa alla città più vicina dalla quale il marito sarebbe tornato via terra, per essere informata per tempo del suo arrivo. Non era ancora iniziata la stagione della navigazione e il porto di Miseno, ormai ultimato, attendeva di essere inaugurato per la festa del Navigium Isidis, di lì a pochi giorni. Decio Emilio, però, nella sua ultima lettera aveva dichiarato la sua volontà di tornare a casa prima. Non era insolito per lui mettere la moglie di fronte al fatto compiuto e ignorarne i consigli di prudenza. Nel tempo che la impensierita risposta di Claudilla - "attendi la primavera, mio caro, prima di metterti per mare, lo sai che durante la brutta stagione tutto può accadere" - era giunta ad Alessandria, il marito era già partito. Il suo arrivo era previsto a giorni. E quel giorno pareva arrivato.

Claudilla si girò in fretta verso il nipote. Tutta la malizia e la tenerezza di poco prima erano sparite, sostituite dalla sua aria più autoritaria. «Tu resta nelle retrovie. Decio Emilio non ti vede da anni, e indossi un gran bel travestimento, ma se dovesse vederti in faccia potrebbe intuire chi sei.»

«E non è un'eventualità alla quale io tenga particolarmente» soggiunse Rabirio, passandosi per l'ennesima volta una mano sulla testa rasata.

Fin da quando Rabirio era arrivato a Miseno, avevano concordato insieme le loro mosse successive. Il giovane sarebbe rimasto lì fino a quando il porto non fosse stato inaugurato e le prime navi non fossero salpate. Allora avrebbe presto un'imbarcazione per la Grecia e lì avrebbe fatto perdere le sue tracce, mantenendo una corrispondenza con la sola Claudilla. Nell'eventualità in cui Decio Emilio fosse rincasato prima, per evitare che potesse riconoscerlo, Rabirio avrebbe dovuto travestirsi da schiavo. Claudilla gli aveva personalmente tagliato tutti i suoi lucidi riccioli neri, gli aveva ordinato di farsi crescere la barba e gli aveva procurato una tunichetta usata, ma pulita, oltre alla sua personalissima bulla di ferro.

Rabirio ci infilò sotto un dito, scoprendo che ci passava comodamente. Non era troppo stretto, ma sarebbe diventato scomodo e fastidioso nel tempo.

Devo resistere solo per qualche giorno, pensò rassegnato. Il terzo giorno prima delle None di marzo il porto aprirà e io potrò andarmene da qui.

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