12.Sofia

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Era ormai sera, e Amanda non mi aveva lasciata sola nemmeno per un istante. Era rimasta con me tutto il pomeriggio , cercando di distrarmi in ogni modo possibile: aveva proposto di guardare qualche film, di chiacchierare su cose futili, e persino di ordinare la mia pizza preferita. Qualsiasi cosa pur di non lasciarmi sola con i miei pensieri. E, in qualche modo, ci era anche riuscita. C'erano stati momenti in cui mi ero dimenticata di tutto, ma poi la realtà tornava a travolgermi come un'onda gelida.

Quando sentimmo la porta d'ingresso aprirsi, ci voltammo di scatto. Era Gabriel. Aveva il viso stanco e gli occhi un po' arrossati, segno di una giornata lunga e stressante. Ma quando i nostri sguardi si incontrarono, il suo volto si distese in un'espressione di sollievo.

"Bene, io vado," disse Amanda, alzandosi dal divano e chinandosi verso di me per darmi un bacio sulla guancia. Le sorrisi dolcemente, grata per la sua presenza.
"Grazie per oggi," mormorai piano. Lei mi rispose con un sorriso affettuoso, poi si voltò verso Gabriel.
"È tutta tua," scherzò, lanciandogli uno sguardo complice. Lui annuì, lasciando cadere le chiavi e la giacca sul tavolino prima di venire a sedersi accanto a me.
"Come ti senti?" mi chiese a bassa voce, mentre si chinava per darmi un bacio lieve sulle labbra. Mi scaldò come una carezza. Sembrava attento, quasi timoroso di infrangere un equilibrio fragile.
"Molto meglio," sussurrai, lasciandomi andare tra le sue braccia. Mi accoccolai contro di lui, con la testa appoggiata al suo petto, ascoltando il ritmo regolare del suo cuore. Quel suono familiare mi calmava sempre. Sentii il suo corpo rilassarsi mentre le sue braccia si stringevano attorno a me con forza e tenerezza insieme.
"Ne sono davvero felice," mormorò, accarezzandomi i capelli con movimenti lenti e delicati. Chiusi gli occhi, lasciandomi cullare da quella sensazione di pace, di protezione. Eravamo rimasti così per un po', senza dire nulla, semplicemente respirando insieme.

Poi, con un sospiro, sollevai il viso verso di lui. I nostri sguardi si incontrarono, e un'emozione forte mi strinse il petto.

"Sono pronta," dissi piano, le parole quasi un sussurro. Prima che potesse rispondere, mi misi a riempirgli il viso di piccoli baci: sulle guance, sul naso, persino sulla fronte, come se volessi imprimere su di lui la mia gratitudine, il mio affetto.
"A fare cosa?" mi chiese, confuso, stringendomi di più contro di sé.
"A perdonarti," risposi infine, il sorriso che mi tremava sulle labbra. "Sono pronta a perdonarti."

Per un istante, sembrò non capire. Poi vidi la consapevolezza e la speranza illuminargli gli occhi. Mi passò una mano tra i capelli, i suoi occhi fissi nei miei, quasi a cercare conferma.
Era corso da me senza esitare, aveva lasciato tutto per proteggermi. Se non era amore quello, allora davvero non sapevo cosa fosse.

Lo vidi alzarsi di scatto dal divano, con un'espressione tesa sul volto. Non capivo cosa fosse cambiato così all'improvviso, ma lo seguii senza esitazione.

"Che c'è? Ho solo detto che ti perdono," mormorai, confusa. I miei occhi cercavano i suoi, ma lui continuava a evitare il mio sguardo, quasi come se stesse combattendo con sé stesso. "Perché ti comporti così?"

Scosse la testa, un sorriso amaro che gli piegò le labbra. "No, Sofia, non sei davvero pronta," sibilò, con una nota di frustrazione nella voce. "Vuoi perdonarmi solo perché ti ho salvata da quello schifo... Se non fosse successo, non mi avresti mai perdonato. Non mentire."

Rimasi senza parole. Sentii il cuore accelerare dolorosamente nel petto. "Non è vero," protestai piano, stringendo i pugni per contenere l'agitazione. "Io voglio perdonarti perché ti amo! Davvero pensi che non sia così?"

Mi fissò, il suo sguardo era gelido, come se stesse cercando di vedere attraverso di me, di scovare ogni minima bugia nascosta nelle mie parole. "Allora dimmi perché," ribatté, con una voce tanto fredda quanto decisa. "Perché sei pronta a perdonarmi proprio adesso? Qual è il vero motivo?"

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