43.Gabriel

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Come aveva potuto farmi questo? La domanda mi rimbombava nella testa, implacabile, scavando un solco sempre più profondo. Aveva permesso a quello stronzo di baciarla.
Ma c'era qualcosa che non quadrava. Era tutto troppo improvviso. Aveva detto quella cosa subito dopo quella chiamata. La sua voce tremava, i suoi occhi erano pieni di paura. Forse Travor l'aveva minacciata. Magari le aveva detto che se non fosse stata lei a confessarlo, l'avrebbe fatto lui.
Eppure, quella consapevolezza non bastava a placare la rabbia. Mi tormentava l'idea che Sofia sarebbe stata capace di nasconderlo per sempre, se non fosse stata costretta. Come facevo a fidarmi di lei, ora? Come potevo guardarla senza vedere quel bacio che non avrei mai dovuto sapere?

Mentre la barca si avvicinava alla terraferma, il mio sguardo era fisso sull'orizzonte. Il cielo si stava tingendo di un blu scuro, le prime stelle facevano capolino tra le nuvole. L'aria era fredda, carica dell'odore del mare e di una promessa di tempesta.
Non dissi una parola per tutto il viaggio. Sofia era seduta poco distante da me, silenziosa. Sentivo la sua presenza, percepivo i suoi occhi che ogni tanto si posavano su di me, ma non ricambiavo lo sguardo. Non ce la facevo.
Ormai era sera quando finalmente toccammo terra. Il capitano ci aiutò a scendere, ma io non feci caso alle sue parole. Avevo la mente altrove, intrappolato in una spirale di pensieri. Entrai in auto e aspettai che Sofia si sedesse accanto a me prima di avviare il motore.
La strada verso casa sembrava più lunga del solito. Ogni curva, ogni semaforo rosso sembrava rallentare il tempo, costringendomi a restare bloccato in quella macchina con lei. Le mie mani stringevano il volante con troppa forza, come se fosse l'unica cosa che poteva impedirmi di perdere il controllo.
Non c'era musica, nessuna distrazione. Solo il rumore del motore e il respiro spezzato di Sofia accanto a me. Mi chiedevo se stesse piangendo, ma non osavo voltarmi. Non volevo cedere. Non questa volta.

Parcheggiai l'auto nel vialetto, il rumore dei sassi sotto le ruote spezzò il silenzio teso che ci accompagnava da quando avevamo lasciato il porto. Spensi il motore e rimasi immobile per un istante, le mani ancora sul volante. Sofia non disse nulla, ma sentivo il suo respiro irregolare. Non mi voltai. Non potevo.
Scesi dall'auto con un movimento deciso e mi avviai verso la porta di casa. Le chiavi tintinnarono tra le mie dita mentre cercavo di non far caso ai passi lenti di Sofia che mi seguiva. Aprii la porta senza una parola, spingendola appena quel tanto che bastava per entrare.
Mi fermai nel corridoio, le spalle rigide, la testa pesante. Sentivo il cuore battere furiosamente nel petto, ma il mio tono rimase freddo e distaccato quando finalmente parlai.
"Dormirò nella stanza accanto," dichiarai senza voltarmi. "Domani prendo le mie cose e me ne vado."
Sofia si fermò alle mie spalle. "Gab... ti prego..." La sua voce era un sussurro, carica di supplica e disperazione.
Mi girai appena, giusto per incrociare il suo sguardo per un istante. "Ti prego niente," risposi, tagliente. "Vai a dormire, Sofia."
Non aspettai una sua risposta. Mi voltai e salii le scale con passi pesanti, ignorando il nodo che mi stringeva la gola. Arrivato in cima, spinsi la porta della camera degli ospiti e la chiusi con forza dietro di me, il rumore risuonò nella casa silenziosa.
Mi appoggiai alla porta, lasciando che tutto il peso della giornata mi crollasse addosso. La rabbia, la delusione, la paura. Tutto si mescolava in un vortice che non riuscivo a fermare. Chiusi gli occhi, cercando di calmare il respiro, ma la sua voce continuava a risuonarmi nella testa. Gab, ti prego...
Era troppo tardi. Non potevo permettermi di cedere. Non dopo tutto quello che era successo.
Mi spogliai lentamente, come se ogni capo di abbigliamento pesasse una tonnellata. Rimasi con addosso solo i pantaloni della tuta, il petto nudo esposto all'aria fredda della stanza. Il silenzio era assordante, rotto solo dal suono del mio respiro irregolare e dal fruscio delle coperte mentre mi infilavo nel letto.
Il materasso era scomodo, o forse lo ero io, incapace di trovare pace. Mi voltai su un fianco, fissando il vuoto davanti a me. Sentii il calore di una lacrima scivolarmi lungo la guancia, poi un'altra. Le asciugai in fretta con il dorso della mano, come se ignorarle potesse cancellare anche il dolore che le aveva provocate.
Aveva baciato un altro.
Le parole rimbombavano nella mia mente come un martello. Quei pensieri erano insopportabili, quasi fisici. Le sue labbra... quelle labbra che una volta erano state solo mie, che avevano sussurrato il mio nome, ora appartenevano a qualcun altro. Travor. Il solo pensiero del suo nome mi faceva ribollire il sangue.
Chiusi gli occhi con forza, ma l'immagine di loro due insieme mi perseguitava. Sentivo il sapore amaro del tradimento, un peso opprimente sul petto che non riuscivo a scrollarmi di dosso. Mi passai una mano sul viso, cercando di fermare il flusso inarrestabile di emozioni.
Mi ripetei che non doveva importarmi, che ormai era tutto finito. Eppure, dentro di me, non riuscivo a spegnere quel briciolo di speranza, quel desiderio che lei fosse diversa. Ma Sofia aveva distrutto tutto, e io non sapevo se sarei mai stato capace di ricostruire qualcosa, neanche per me stesso.
Chiusi lentamente gli occhi, cercando di scacciare i pensieri che mi tormentavano. Sentivo il mio corpo ancora teso, ma con un respiro profondo provai a rilassarmi, ad abbandonarmi al sonno. Finalmente, dopo quello che sembrò un tempo interminabile, il mio corpo cedette e il mondo attorno a me svanì.
La mattina seguente, il suono dolce del silenzio fu interrotto dai raggi del sole che filtravano attraverso le tende, illuminando la stanza con una luce calda e invadente. Sospirai, ancora mezzo addormentato, mentre il mio corpo si stirava lentamente sotto le coperte. L'intensità del sole mi fece aprire gli occhi, ma non mi alzai subito. La stanchezza era ancora presente, e mi restò addosso come una coperta troppo pesante.
Mi girai sul fianco, cercando di non pensare a nulla, ma ogni pensiero riguardo a Sofia tornava a tormentarmi. Mi passai una mano sul viso, cercando di scacciare il ricordo di quella notte, del dolore che avevo sentito. Ma era inutile. Non riuscivo a fare a meno di pensare a lei, alla sua voce, al suo sguardo pieno di rimorso.
Alla fine, mi alzai, ma il peso che sentivo nel cuore non era sparito. Non c'era niente che potesse togliermelo, niente che potesse cambiare ciò che era successo.

Uscìi dalla stanza senza fare rumore, come se ogni passo fosse un peso insostenibile. Andai nella nostra camera, dove Sofia dormiva ancora, rannicchiata nel letto. La luce del mattino era fioca, ma abbastanza da far risaltare il suo viso, pallido e sereno in apparenza, mentre il cuscino accanto a lei era umido, macchiato dalle sue lacrime. Il mio cuore si strinse un'altra volta nel vederla così, ma cercai di ignorarlo. Non potevo permettermi di sentirmi debole ora.

Mi vestii lentamente, ogni movimento un atto meccanico. Il rumore dei vestiti che frusciavano sembrava troppo forte in quel silenzio carico di tensione. Guardai un'ultima volta Sofia, ma non c'era nulla che potessi fare. In fondo, sapevo che non avremmo più potuto tornare indietro.

Presi  il mio borsone e cominciai a riempirlo con i miei vestiti, le mani che tremavano un po' mentre infilavo gli indumenti dentro. Poi, con un sospiro, mandai un messaggio ad Amanda: "Puoi venire a vivere a casa nostra? Non voglio che Sofia stia sola. Io non posso stare qui. Ci siamo lasciati.." Non c'era altra soluzione. Se c'era qualcuno che avrebbe potuto proteggerla, quella era Amanda. Almeno lei avrebbe avuto qualcuno al suo fianco, qualcuno che l'avrebbe tenuta al sicuro.
Presi le mie ultime cose e, senza guardare indietro, uscii dalla stanza, chiudendo la porta dietro di me. Non avevo intenzione di fermarmi, né di voltarmi. Cosa sarebbe stato di noi, di Sofia e di me, non lo sapevo. Ma quello che era chiaro era che, per ora, avevo bisogno di allontanarmi da tutto.

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