1.Sofia

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Quella mattina mi svegliai di soprassalto a causa del suono incessante della sveglia che continuava a scandire il tempo con insistenza. In preda al panico, mi misi un cuscino sul viso, urlando disperata per cercare di ignorare il rumore.

"Dai Sofia, muoviti, dobbiamo andare a lezione," disse Amanda con tono deciso, mentre mi toglieva il cuscino e mi obbligava a uscire dal letto.

"Che palle!" Esclamai, mentre mi sollevavo, confusa e assonnata. Voltai lo sguardo verso la sveglia e vidi che era incredibilmente tardi. Era un orario imbarazzante per alzarsi. Mi alzai di scatto, ma nel mio stato di confusione, inciampai e caddi rovinosamente a terra.

"Dio, che dolore!" Esclamai, mentre tentavo di rialzarmi con le mani che mi tremavano per l'ansia e il dolore. Senza perdere tempo, mi trascinai frettolosamente verso il bagno, per fare una doccia veloce. Era cruciale non arrivare ulteriormente in ritardo, altrimenti avrei perso punti preziosi dai crediti. Uscii dal bagno, ancora gocciolante, e corsi verso la mia camera.

"Sofia, dai, però stai bagnando tutto!" Disse Amanda con un tono di frustrazione, vedendomi in quel disastro. Mi asciugai in fretta con un asciugamano e mi vestii rapidamente con una maglia bordeaux a maniche corte e un paio di jeans neri. Mi pettinai i capelli con movimenti bruschi e, dopo un ultimo sguardo al caos della stanza, uscimmo dalla nostra camera.

"Ci vediamo a pranzo?" Chiese Amanda con un tono che non ammetteva repliche, mentre si dirigeva verso l'uscita.

"Sì, buone lezioni," risposi, dandole un bacio veloce sulla guancia. Poi mi avviai di corsa verso l'aula. La mia corsa accelerata e l'urgenza che provavo portarono a una porta spalancata in modo piuttosto rumoroso.

"Alla buon'ora, signorina García," disse la professoressa di Arte con un tono severo, mentre mi rimproverava per il mio ritardo.

"Mi scusi, prof," risposi, cercando di mantenere la calma mentre mi sedevo al mio posto. Accanto a me c'era Emily, che mi guardava con una certa curiosità.

"Fatto serata?" chiese, ridendo leggermente.

"Diciamo di sì, ho un mal di testa atroce," mi lamentai, massaggiandomi le tempie per cercare di alleviare il dolore.

"Prendi ibuprofene," mi consigliò, porgendomi una stecca di pillole e una bottiglietta d'acqua.

Sorrisi debolmente per ringraziarla e presi la medicina con gratitudine. "Puoi tenerle se vuoi," aggiunse, riferendosi alle pillole che mi aveva dato.

In quel momento, sentimmo il rumore di passi decisi provenienti dal corridoio e, poco dopo, degli uomini in divisa con cani antidroga entrarono in aula.

"Scusateci, ma dobbiamo effettuare il nostro controllo, un ragazzo si è sentito male e fa parte di questa università." Spiegò un agente, mentre si muoveva tra i banchi con un'aria professionale. Improvvisamente, si fermarono davanti alla mia borsa.

"Signorina, la borsa," ordinò l'agente. Il mio cuore iniziò a battere freneticamente e l'ansia mi travolse. Gli allungai la borsa con mani tremanti, mentre lui metteva la mano all'interno. Estrasse una bustina con della polvere bianca.

"No, no, non è mia quella," dissi, il panico chiaramente udibile nella mia voce.

"Venga con noi, signorina," mi disse l'agente, prendendomi delicatamente dal braccio e conducendomi fuori dalla classe.

"Non è mia, lo giuro, non mi drogo nemmeno," protestai, mentre ci allontanavamo. Camminammo lungo i corridoi, e notai i volti preoccupati dei miei amici. Quando girai l'angolo, vidi Travor, il ragazzo che mi aveva tormentata dall'inizio dei miei studi. Il suo volto era segnato da un ghigno di soddisfazione maligna. Realizzai con angoscia che era stato lui a incastrarmi. Quella scoperta mi colpì come un pugno allo stomaco. Mi fecero salire sulla loro auto e mi portarono in centrale, mentre il mio mondo sembrava crollare intorno a me.

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