13.Gabriel

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Dopo quella discussione, presi la decisione più difficile della mia vita: mettere distanza tra me e Sofia. Almeno per un po'. Dovevo darle lo spazio necessario per capire cosa volesse davvero, senza l'influenza costante della mia presenza. Ogni giorno lontano da lei era come vivere senza aria, come annegare lentamente in un silenzio insopportabile. Ma sapevo che se avessimo continuato così, avremmo finito per distruggere tutto ciò che ancora ci legava, ogni ricordo, ogni emozione. E questo non potevo permetterlo.

Passarono due mesi. Due interminabili mesi in cui il freddo dell'inverno sembrava riflettere quello che sentivo dentro. Era quasi Natale e le città erano già piene di addobbi: luci colorate che illuminavano le strade, alberi decorati, vetrine scintillanti. L'aria era piena di un'atmosfera festosa e leggera che, però, a me sembrava irrimediabilmente distante.
Avevo preso un piccolo appartamento solo per me, un rifugio temporaneo lontano dai ricordi di noi due. Ogni angolo del vecchio appartamento mi parlava di lei, di noi. Volevo che Sofia avesse il tempo di riflettere davvero su ciò che provava. Perdonarmi o lasciarmi andare: doveva essere una scelta sua, fatta con il cuore e non spinta dalla solitudine o dalla paura. E io, per quanto mi facesse male, avrei rispettato quella scelta.

Poi, pochi giorni prima di Natale, mia madre ci invitò a stare da lei per le feste. Un invito che non potevo ignorare. Aveva adottato una bambina di sette anni, una piccola creatura che aveva portato un raggio di luce nella sua vita, riempiendo un vuoto che era rimasto aperto da anni. All'inizio, non avevo accettato questa decisione. Ero stato combattuto, quasi arrabbiato. C'era ancora troppo dolore legato a Jasmine, troppo da elaborare. Ma vedere il sorriso di mia madre quando parlava della bambina mi fece capire che, forse, era l'unico modo per lei di andare avanti. Se la rendeva felice, allora io non avevo alcun diritto di ostacolarla.
Tuttavia, c'era un problema: mia madre non sapeva nulla della nostra situazione, né dei due mesi passati da estranei. Era convinta che Sofia mi avesse perdonato quel giorno, che fossimo ancora insieme. L'idea di rovinare le sue feste con la verità mi era insopportabile. E poi, che senso avrebbe avuto farla preoccupare proprio ora, proprio durante il Natale? Per cinque giorni, potevamo fingere. Cinque giorni di sorrisi forzati, di gesti affettuosi che non sarebbero stati altro che menzogne. Potevo farcela. Almeno così speravo.

In un certo senso, forse, era anche un'occasione per me. Un'ultima chance per farmi perdonare davvero da Sofia, per dimostrarle che ero cambiato, che non avrei mai più messo a rischio quello che avevamo. Non avrei rinunciato a lei per nulla al mondo. Forse era stupido, forse era egoistico, ma se avessi avuto anche solo un'opportunità, una minima speranza di ricostruire ciò che avevamo perduto, non avrei esitato a sfruttarla.

Quando arrivò la mattina della partenza, mi ritrovai a fissare la valigia chiusa ai piedi del letto. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quella situazione. Io e Sofia, che una volta non riuscivamo a stare lontani l'uno dall'altra, eravamo diventati due estranei costretti a fingere un amore che non sapevo più se esistesse davvero. Tuttavia, il pensiero di rinunciare mi era ancora più insopportabile.
Presi un respiro profondo e mi costrinsi a scacciare quei pensieri. Erano solo cinque giorni. Potevo farcela.
Quando finalmente arrivai sotto casa sua, la vidi uscire con passo incerto. Anche da lontano, potevo percepire la tensione nelle sue spalle, il modo in cui si mordeva leggermente il labbro, come faceva sempre quando era nervosa. Aveva un cappotto scuro che le avvolgeva il corpo snello e i capelli raccolti in un'acconciatura semplice. Era bellissima, ma quel pensiero mi fece male. Mi avvicinai, cercando di mantenere un'espressione neutra.
"Ciao," mormorai, quasi esitante.
"Ciao," rispose lei, la voce appena un sussurro. I suoi occhi mi scrutarono per un lungo istante, come se stesse cercando di leggermi dentro, di trovare qualcosa che forse nemmeno io riuscivo più a vedere. "Sei pronto?"
Annuii, anche se dentro di me sapevo che non lo ero affatto. Come si può essere pronti a fingere di stare ancora insieme alla persona che ami, quando tutto quello che desideri è stringerla forte e non lasciarla mai più andare?
"Lo facciamo per tua madre," mormorò lei, con un piccolo sorriso che non raggiunse mai gli occhi.
"Già, per mia madre," ripetei. Ma, in fondo, sapevamo entrambi che non era solo per quello. Forse, era anche un tentativo disperato di non lasciarci sfuggire l'ultima occasione che ci rimaneva.E mentre salivamo in macchina e iniziavamo il viaggio verso casa, sentii un misto di speranza e paura stringermi il cuore. Quei cinque giorni avrebbero potuto cambiare tutto. In un modo o nell'altro.

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