46.Sofia

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Erano ormai giorni che Alex non si faceva vivo: niente messaggi, nessuna chiamata, nessuna minaccia.Zero assoluto. Era strano, troppo strano, ma non potevo fermare la mia vita per lui. Dovevo andare avanti, soprattutto perché oggi era un giorno importante. Il gender reveal si sarebbe tenuto nel giardino di casa nostra , e tutto doveva essere impeccabile.
Con l'ansia che mi divorava, mi guardai per l'ultima volta allo specchio. Accarezzai la mia pancia ormai tonda. Non riuscivo a credere che fossi già al quinto mese. Era come se il tempo fosse volato, anche se ogni giorno era stato una montagna russa di emozioni.
Mentre ero immersa nei miei pensieri, sentii le braccia di Gabriel avvolgermi da dietro. Il suo tocco era caldo e rassicurante. Posai le mani sulle sue, un sorriso debole dipinto sul viso.
"È cresciuto davvero tanto." Mormorò, lasciando un bacio leggero sul mio collo.
Mi girai verso di lui, cercando conforto nei suoi occhi. "Ti amo." Dissi con sincerità.
"Ti amo anche io, amore." Mi scrutò con uno sguardo dolce e attento, poi sorrise. "Questo vestito bianco ti sta proprio bene." Scrollai la testa con un sospiro. "Non è vero, sembro una balena."
Gabriel si irrigidì leggermente, poi mi prese il viso tra le mani. "Sofia, non dire mai più una cosa del genere. Sei bellissima, e lo sei ancora di più adesso." Il suo tono era fermo, ma pieno d'amore. "Stai portando in grembo il nostro bambino. Non c'è niente di più straordinario."
Abbassai lo sguardo, mordendomi il labbro. "E se non sarai più attratto da me , quando arriverò al nono mese? Sarò enorme." Gabriel scosse la testa, la sua espressione diventò più intensa. "Non dire sciocchezze, per me sarai sempre bellissima, sarò sempre attratto da te. Non sono attratto solo dal tuo corpo ma sono attratto dalle tue lentiggini, dai tuoi occhi verdi e dalle tue labbra." I miei occhi si riempirono di lacrime per quanto era dolce.
Mi baciò, e per un attimo dimenticai le mie insicurezze.
Un lieve bussare alla porta ci interruppe. Era Amanda, già pronta e sorridente. "Ragazzi, gli ospiti stanno arrivando. È quasi ora."
Presi un respiro profondo, preparandomi per il momento. "Siamo pronti." Dissi, guardando Gabriel. Lui mi strinse la mano, e insieme ci dirigemmo verso il giardino, pronti a scoprire se la nostra vita sarebbe stata colorata di rosa o di azzurro.

Il nostro giardino era perfetto. Le decorazioni color pastello erano distribuite con cura: palloncini, fiori e un grande arco al centro, sotto il quale troneggiava una scatola sigillata con dentro la risposta che tutti stavamo aspettando. Gli invitati erano già presenti, chiacchieravano e sorridevano, ma io riuscivo a malapena a concentrarmi. Il cuore mi batteva a mille.
Gabriel non mi lasciava mai la mano, come se sapesse che avessi bisogno di quel contatto per non cedere all'ansia. Amanda si avvicinò con un sorriso complice. "Tutto pronto?" Chiese, tenendo in mano un piccolo telecomando che avrebbe aperto la scatola.
"Prontissimi," rispose Gabriel con entusiasmo. Io annuii, seppur nervosa.
Amanda ci guidò verso l'arco, prendendo posizione accanto a noi. Gli invitati si radunarono intorno, creando un semicerchio. Le risate e le chiacchiere si spensero gradualmente, lasciando spazio a un'attesa elettrizzante.
Gabriel mi guardò, stringendo leggermente la mia mano. "Tutto bene?" sussurrò.
"Sì, credo di sì." Cercai di sorridere, anche se il respiro mi tremava.
Amanda sollevò il telecomando, pronta a premere il pulsante. "Bene, signore e signori, è il momento!" annunciò con un entusiasmo contagioso. "Siete pronti?"
Un coro di "Sì!" e applausi si alzò tra gli invitati.
Il conto alla rovescia iniziò. "Tre... due... uno!"
Amanda premette il pulsante, e la scatola si aprì. Un'esplosione di polvere colorata e palloncini si librò in aria. Rosa. Era una femmina.
Gli ospiti esplosero in urla di gioia e applausi. Gabriel mi strinse forte, sollevandomi leggermente da terra mentre rideva di felicità. "Una femminuccia, Sofia! Una femminuccia!"
Non potei fare a meno di ridere e piangere allo stesso tempo. Le lacrime scorrevano sul mio viso mentre abbracciavo Gabriel. "Non ci credo." Mormorai, guardando il cielo che si era tinto di rosa sopra di noi.
Amanda si avvicinò e ci abbracciò entrambi. "Congratulazioni, ragazzi! Sarà una principessina, ve lo dico io."
La festa continuò in un'atmosfera di pura felicità. Persino le mie ansie sembravano lontane, soffocate dalla gioia del momento. Quella bambina non era ancora nata, ma già sapevo che sarebbe stata circondata da tanto amore.
La musica si alzò di nuovo, e gli invitati si riversarono sulla pista da ballo improvvisata nel giardino. Io e Gabriel restammo ancora qualche istante fermi sotto l'arco, osservando i palloncini rosa che si allontanavano nel cielo.
"Ti rendi conto?" mi disse Gabriel, con un sorriso dolce. "Sarà nostra figlia. Una piccola te."
"Beh, speriamo abbia qualcosa di tuo, altrimenti poverina," scherzai, cercando di nascondere l'emozione dietro una battuta. Lui rise e mi baciò sulla fronte.
Amanda tornò poco dopo con due bicchieri—uno di champagne per Gabriel e uno di succo per me. "Brindiamo a voi e alla piccola," disse, sollevando il bicchiere. "Sofia, sei stata incredibile finora. Non vedo l'ora di conoscere questa bambina."
"Grazie, Amanda," dissi, commossa. "E grazie per aver organizzato tutto questo. È stato perfetto."
Lei scrollò le spalle, con un sorriso radioso. "Per la mia migliore amica farei di tutto."
Gabriel si unì al brindisi, e i tre bicchieri tintinnarono insieme. Poi, mentre la festa proseguiva, sentii un'ondata di stanchezza travolgermi. Mi accasciai leggermente su Gabriel, che immediatamente si accorse del mio stato.
"Amore, vuoi sederti un po'?" mi chiese, con quella dolcezza che amavo tanto.
"Solo cinque minuti," risposi. "Non voglio perdermi nulla."
Mi accompagnò a un tavolino decorato con un elegante centrotavola di fiori rosa e bianchi. Mi sedetti, osservando la scena davanti a me: risate, abbracci, e la gioia pura di amici e familiari che festeggiavano insieme. Gabriel non si allontanò, restò accanto a me con una mano sulla mia spalla.
Mentre riposavo, sentii il telefono vibrare. Lo presi dalla borsa e notai un messaggio inaspettato. Alex.
"Auguri per la femminuccia."
Il cuore mi si strinse. Gabriel notò il mio sguardo cambiato e si chinò verso di me. "Tutto bene?" chiese, preoccupato.
"È Alex." risposi sottovoce, mostrandogli il messaggio. Vidi il suo viso irrigidirsi per un momento, ma subito dopo mi sorrise dolcemente.
"Ci sono degli agenti non può avvicinarsi a noi." disse semplicemente.

L'ansia iniziò a crescere dentro di me mentre la festa proseguiva. Gli ospiti ridevano e chiacchieravano, ignari del vortice di pensieri che mi tormentava. Ero immersa in una bolla di inquietudine, quando il telefono vibrò improvvisamente tra le mie mani.

Aprii il messaggio e sentii il cuore fermarsi per un istante.

"Hai infranto il nostro patto... ci sentiremo presto. Godetevi la festa."

Deglutii a fatica, sentendo il peso di quelle parole. Le mani iniziarono a sudare, e il telefono sembrava più pesante del solito. Istintivamente alzai lo sguardo, cercando un volto familiare tra la folla, qualcuno che potesse offrirmi conforto.

Mi voltai verso Gabriel, che parlava tranquillamente con Amanda e alcuni amici. Cercai di mantenere la calma mentre mi avvicinavo a lui.

"Possiamo parlare un momento?" sussurrai, cercando di non attirare l'attenzione degli altri.

Gabriel colse immediatamente il tono della mia voce e si scusò con gli altri, seguendomi in un angolo più appartato del giardino.
"Che succede?" Mi chiese, scrutandomi con preoccupazione.
Gli passai il telefono senza dire una parola. Guardò il messaggio e subito il suo sguardo si indurì.
"Ancora lui!" Disse con una calma che sembrava innaturale.
Annuii, incapace di trovare le parole. "Che cosa facciamo?" chiesi infine, la mia voce tremante.
Gabriel sospirò e si aprì leggermente la giacca, rivelando un giubbotto antiproiettile sotto. "Non succederà nulla," disse, con una fermezza che cercava di rassicurarmi.
Ma non potevo ignorare il senso di minaccia che incombeva su di noi. La festa continuava intorno a noi, ma tutto mi sembrava ovattato, lontano. Sapevo che quella notte non sarebbe stata come le altre.

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