42.Sofia

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Ci mancava solo Travor a rovinarmi la giornata. Pensavo che fosse finalmente dove meritava, dietro le sbarre, lontano da ogni possibilità di farmi soffrire. E invece eccolo lì, a intromettersi nella mia vita come se niente fosse cambiato, come se tutto fosse ancora normale. Vederlo mi fece ribollire il sangue. La sua sola presenza, quel sorriso di sfida sul volto, mi faceva sentire di nuovo intrappolata.

"Perché è libero?" chiesi, cercando di mantenere il controllo, ma la mia voce tradiva tutta la rabbia che sentivo. Mi alzai di scatto dalla sedia, incrociando le braccia, mentre lo sguardo fisso nel vuoto cercava di ignorare il nodo che mi si formava in gola. Il nervosismo mi stringeva forte, come una morsa invisibile che non riuscivo a scacciare.

Gabriel, come sempre, si avvicinò lentamente. La sua calma sembrava un contrappunto alla tempesta che mi stava travolgendo. Mi prese la mano, con una delicatezza che non riuscivo a ignorare. "Ehi, vieni con me," disse, la sua voce morbida, come una promessa di tranquillità. Non ci fu bisogno di dire altro. Mi lasciò condurre, passo dopo passo, fino alla cabina, dove, una volta dentro, chiuse la porta dietro di noi, isolandoci dal mondo esterno.

Il suono della chiave che girava nella serratura mi fece sentire come se fossimo intrappolati in una bolla, lontani da tutto ciò che stava succedendo fuori. Gabriel si sedette sul divanetto di pelle nera e mi fissò con un'espressione seria, ma rassicurante. Mi invitò a sedermi a cavalcioni su di lui con un semplice movimento della testa. Il gesto era delicato, ma ricco di un significato che non potevo ignorare. Esitai per un momento, ma poi mi lasciai andare, la testa che si svuotava di pensieri mentre cercavo conforto nella sua vicinanza.

"Stai bene?" chiese, la sua voce gentile, mentre le sue mani scivolavano lungo le mie braccia con una carezza leggera, come se volesse sciogliere tutta la tensione che si era accumulata. Non risposi subito. Il peso di tutto ciò che era appena successo mi appesantiva, e il mio cuore sembrava non volermi dare pace.

"Non riesco a smettere di pensare a quello che ha detto," mormorai infine, abbassando lo sguardo, cercando di evitare i suoi occhi. "E se fosse davvero in grado di fare del male ai miei?" Il pensiero mi paralizzava, e l'incertezza mi consumava lentamente.

Gabriel mi sollevò delicatamente il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi. "Non permetterò mai che succeda," disse con una fermezza che mi colpì, come se le sue parole fossero una barriera contro ogni paura. "Non sei sola in questa battaglia, Sofia. Qualunque cosa accada, affronteremo tutto insieme."

Le sue parole, quelle di protezione e di promessa, mi fecero sentire un po' meglio, ma la preoccupazione per ciò che Travor avrebbe potuto fare mi divorava ancora. Sentii il bisogno di avvicinarmi a lui, e lo baciavo, senza pensare. Le sue mani scivolarono lungo la mia schiena, accarezzandomi, e io risposi al bacio con un'intensità che non riuscivo a trattenere. Poi, proprio mentre il mondo sembrava fermarsi, il suono di una suoneria squillò nell'aria, spezzando il momento. Un numero sconosciuto. Il cuore mi balzò in gola.

"Pronto?" risposi, alzandomi lentamente dalle sue gambe, sentendo il mio respiro farsi più pesante.

"Dobbiamo agire in fretta," disse una voce maschile, dura e minacciosa. "Il primo compito è far fuori quell'impiccione del tuo ragazzo. Devi lasciarlo, se non vuoi che gli succeda qualcosa." Quelle parole mi gelarono il sangue. Un puntino rosso brillava sul cuore di Gabriel, come un segno di pericolo imminente. Con le mani tremanti, chiusi la chiamata senza pensarci due volte.

"Devo dirti una cosa," mormorai, la voce che tremava, le lacrime che mi bruciavano gli occhi. Non avevo scelta. Dovevo allontanarlo da me, o sarebbe stato troppo tardi.

Gabriel mi guardò, i suoi occhi pieni di preoccupazione, mentre mi accarezzava le braccia. "Cosa c'è?" chiese, cercando di capire, ma la sua espressione non faceva che farmi sentire più fragile.

Le parole uscirono senza che potessi fermarle, come se fossero l'unico modo per giustificare quello che stavo facendo, per proteggere lui da qualcosa che non riuscivo a controllare. "Ti ho tradito," dissi, voltandomi, incapace di guardarlo negli occhi mentre il peso della mia colpa mi schiacciava.

"Cosa?" La sua voce era incredula, come se non riuscisse a comprendere ciò che gli stavo dicendo.

"Travor mi ha baciata... ed io ci sono stata," risposi, sentendo la voce rompersi in un singhiozzo. Le lacrime finalmente scivolarono sulle guance, e ogni parola sembrava pesare come un macigno.

Gabriel si alzò di scatto, l'espressione trasformata dalla rabbia. "Mi hai fatto sentire una merda per una scommessa del cazzo, e tu mi fai questo?" urlò, la sua voce piena di dolore e rabbia, e io sentii una fitta al cuore.

"Mi dispiace, non volevo che succedesse," balbettai, incapace di fermarmi.

"Non volevi che succedesse? Ma è successo, cazzo!" La sua voce esplose, e per un momento mi sentii come se stessi per sprofondare nel nulla. "Questo era l'amore che provavi per me? Non con uno qualsiasi, ma con Travor, cazzo!" Poi, senza dire altro, si girò, sbattendo la porta con violenza, e la cabina divenne silenziosa, vuota, come un eco del dolore che avevo appena causato.
Rimasi lì, da sola, singhiozzando. Ogni parte di me urlava per il dolore che avevo provocato. Travor aveva rovinato tutto, ma io... io dovevo trovare una scusa, qualcosa per allontanarlo, o sarebbe stato troppo tardi.
Con la mano tremante, aprii la cabina e lo vidi parlare con il capitano. La sua figura, ferma e distante, mi colpì come un pugno allo stomaco. La sua espressione era impenetrabile, e il suo sguardo non si incrociò mai con il mio.

"Stiamo tornando sulla terra ferma," disse, la sua voce glaciale come il ghiaccio, senza nemmeno un accenno di emozione. Si manteneva lontano da me, come se cercasse di allontanarsi non solo fisicamente, ma anche emotivamente. E io non sapevo più cosa fare, se non fissarlo, senza riuscire a dire una parola. Era davvero finita così? Lo avevo perso per sempre, tutto per colpa di quel bastardo?

Mi sedetti sul bordo della nave, le braccia appoggiate a terra mentre il vento mi sferzava il viso, cercando di scacciare il groppo che mi si era formato in gola. Sentivo la nausea salire. Gli avevo spezzato il cuore dicendo quella falsità, ma non riuscivo a trovare un altro modo per proteggerlo. Non riuscivo a trovare una scusa che non suonasse ridicola. Eppure, non c'era altro che potessi fare.

"Appena torniamo, prendo le mie cose e vado a stare da Marcus," disse improvvisamente, con una calma inquietante che mi fece gelare il sangue. Mi sgranai gli occhi, come se avesse appena lanciato un coltello nel mio petto.

"Te ne vai da casa?" mormorai, incredula. Il suo sguardo rimase fisso, impassibile. Non sembrava nemmeno aver sentito il peso della mia domanda.

"Io mi prenderò cura di questo bambino, ma non ti aspettare il mio perdono," continuò, con un tono di voce così freddo che mi fece singhiozzare. Ogni parola che usciva dalla sua bocca mi feriva come una lama. "È finita, e questa volta per sempre."

La sua voce era carica di una rabbia contenuta, ma anche di una tristezza che non riuscivo a sopportare. Sentivo il suo dolore, ma non potevo fare nulla per alleviarlo. La verità era che l'avevo perso, e lo sapevo. Cazzo, odiavo Alex con tutto il mio cuore, per quello che aveva fatto, per aver rovinato la mia vita, la nostra vita. Per colpa sua avevo perso l'unico amore che mi facesse sentire viva dopo tanto tempo.

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