Erano passate due settimane da quando eravamo tornati a casa, e fortunatamente non c'era stata più nessuna traccia di quelle persone pericolose. Per evitare di essere rintracciati, eravamo stati costretti a cambiare casa e a sostituire i nostri telefoni. Non potevamo rischiare che ci trovassero di nuovo, e io non avrei permesso a nessuno di portarmi via Sofia, non per niente al mondo.
Quella mattina mi svegliai presto e decisi di svegliare delicatamente Sofia. Ma appena mi avvicinai, la vidi alzarsi di scatto dal letto e correre verso il bagno. Preoccupato, la seguii e, quando la trovai inginocchiata vicino al water, mi chinai accanto a lei per sorreggerle i capelli.
"Amore, stai bene?" chiesi, osservandola con preoccupazione mentre si sedeva a terra, con i capelli scompigliati e appoggiata alle ginocchia. Il suo viso era pallido, e respirava profondamente cercando di riprendersi.
"Sì, sto bene. Non voglio che mi vedi così," rispose con voce bassa, cercando di evitare il mio sguardo.
"Non mi interessa. Io rimango qui, e mi prendo cura di te," dissi con dolcezza, accarezzandole il viso e cercando di rassicurarla con un sorriso. "Sei comunque bellissima."
Sofia si alzò lentamente, e lo feci anche io. "Rimango a casa oggi," disse, passandosi una mano tra i capelli.
"Anche io. Tanto devo lavorare al computer," risposi, baciandole la fronte. Ma mentre la osservavo, notai un'ombra di preoccupazione passare sul suo viso. "Cosa c'è che ti preoccupa?"
"Nulla, amore. Ho solo lo stomaco sottosopra. Forse mi ha fatto male il sushi di ieri sera."
"È strano, mangiamo sempre dallo stesso ristorante e non ti sei mai sentita male," commentai, cercando di capire se ci fosse altro.
"Gabriel, ho detto che sto bene!" sbottò all'improvviso, con un tono irritato che mi colse alla sprovvista. Si allontanò scendendo di sotto senza darmi modo di replicare. Rimasi per un attimo immobile, spiazzato dalla sua reazione, poi la seguii in cucina.
"Non ti capisco, giuro. Sono giorni che mi rispondi male, ma cosa ti prende?" domandai, cercando di mantenere la calma mentre mi appoggiavo al bancone, frustrato dal suo comportamento.
"Nulla, ho le mie cose e mi sento di merda. Poi ti ci metti anche tu che non mi credi!" rispose alzando la voce, evidentemente esasperata.
"Ma di cosa stai parlando? Sto solo cercando di capire cosa ti ha fatto male," ribattei, sentendo la tensione salire. "Forse è meglio che vada in ufficio. Così magari ti calmi," dissi, ormai innervosito, afferrando la mia valigetta prima di uscire di casa.
Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Quell'inquietudine che sentivo dentro di me non era normale, e per la prima volta da tanto tempo, mi sentii impotente di fronte alla distanza che sembrava crescere tra noi.Arrivai in ufficio ancora scosso e innervosito. Odiavo litigare con Sofia, specialmente per motivi che non riuscivo a comprendere. Mentre mi dirigevo verso la mia scrivania, con i pensieri che mi ronzavano in testa, notai Marcus, uno dei miei colleghi, seguirmi a distanza.
"Gabriel, tutto bene?" chiese lui, raggiungendomi appena mi sedetti alla mia postazione.
"Sì, tutto a posto," mentii, cercando di scrollarmi di dosso quella fastidiosa sensazione che mi perseguitava da stamattina. Ma la mia risposta non sembrava convincerlo.
"Non mi sembri affatto in forma. Qualcosa ti preoccupa?" insistette Marcus, posando una tazza di caffè sulla mia scrivania. Era uno di quei colleghi che, nonostante la riservatezza tipica dell'ambiente di lavoro, riusciva sempre a cogliere le emozioni degli altri.
Sospirai profondamente. "Litigi di coppia," ammisi infine, passandomi una mano tra i capelli. "Non so nemmeno bene cosa sia successo, ma stamattina Sofia era... diversa."
Marcus annuì, come se capisse perfettamente. "A volte succede. Forse ha solo bisogno di un po' di spazio."
"Lo spero," risposi. "Ma non riesco a togliermi dalla testa che ci sia qualcosa di più."
Marcus si sedette sulla sedia di fronte alla mia scrivania, incrociando le braccia. "Magari è solo stress o stanchezza. Non è facile per nessuno quello che avete passato."
Sapevo che aveva ragione, ma la sensazione che ci fosse dell'altro non mi abbandonava. Era più di una semplice discussione. C'era qualcosa nel suo sguardo stamattina, quella preoccupazione nascosta dietro la sua irritazione, che mi faceva pensare che mi stesse nascondendo qualcosa.
"Lo so, è stata dura," risposi, cercando di concentrarmi sul lavoro. "Ma non è solo questo. C'è stato qualcosa di strano oggi. Non è da lei rispondermi in quel modo, e poi... quel malessere improvviso."
Marcus si appoggiò allo schienale della sedia, guardandomi con uno sguardo pensieroso. "Hai pensato di parlarne con qualcuno? Non so, un medico? Magari è solo un piccolo problema di salute."
Annuii lentamente. "Forse. Ma l'unica cosa che posso fare adesso è darle un po' di spazio. Continuare a insistere non farà altro che peggiorare le cose."
Marcus si alzò, lasciando il suo caffè sulla mia scrivania. "Hai ragione. Dagli tempo. Se c'è qualcosa di serio, verrà fuori. Tu, però, cerca di non logorarti troppo." Mi diede una pacca sulla spalla e uscì dall'ufficio, lasciandomi solo con i miei pensieri.
Presi un lungo respiro, cercando di concentrarmi sulle scartoffie che avevo di fronte. Ma anche mentre il rumore delle tastiere e delle telefonate riempiva l'ufficio, la mia mente non riusciva a staccarsi da Sofia.
Il resto della giornata si trascinò con una lentezza insopportabile. Ogni documento che provavo a leggere diventava una serie di parole senza senso. Le cifre sembravano confondersi sotto i miei occhi, come se il foglio di carta fosse stato annebbiato. La mia mente non riusciva a concentrarsi su nulla, perché l'unico pensiero che mi tormentava era Sofia. La sua espressione stanca e il tono freddo con cui mi aveva parlato quella mattina continuavano a rimbalzare nella mia testa. Cosa stava succedendo? Qualcosa non andava, lo sapevo. Il problema non poteva essere solo un'indigestione o lo stress, doveva esserci di più.
Marcus mi aveva detto di lasciar perdere, che forse era solo una fase, ma dentro di me qualcosa si agitava. Sentivo che c'era qualcosa di più profondo, qualcosa che Sofia non voleva dirmi. E quella sensazione di impotenza, di non poterla aiutare perché lei mi stava tenendo a distanza, mi faceva impazzire.
Il mio telefono rimase silenzioso per tutto il giorno. Non ricevetti neanche uno di quei messaggi che solitamente arrivavano anche dopo una lite, un piccolo "scusa" o una battuta per rompere il ghiaccio. Questa volta, niente. Era un vuoto che mi preoccupava.
Verso la fine della giornata, decisi di mollare tutto e tornare a casa. Dovevamo parlare. Dovevo capire cosa le stesse succedendo, anche se significava affrontare una discussione difficile. Non potevo sopportare il pensiero di tornare a casa con questa distanza tra noi.
Arrivai a casa con la sensazione di un nodo allo stomaco. La casa era silenziosa, troppo silenziosa. La luce del soggiorno era accesa, ma non c'era traccia di Sofia. Lasciai la valigetta vicino alla porta, facendo attenzione a non fare rumore, e salii lentamente le scale. Il corridoio era buio, tranne per la luce fioca che filtrava dalla porta socchiusa della nostra camera da letto.
Quando entrai, la vidi. Sofia era distesa sul letto, avvolta nelle coperte, le spalle sollevate leggermente come se stesse respirando a fatica. Mi avvicinai lentamente, preoccupato che fosse già addormentata, ma non era così. Il suo respiro era irregolare, come se stesse cercando di trattenere qualcosa.
Mi sedetti accanto a lei, cercando di non disturbarla. "Sofia?" sussurrai, sfiorandole la spalla con delicatezza.
Non rispose subito, rimanendo immobile per qualche secondo. Poi, senza aprire gli occhi, la sua voce arrivò come un sussurro sottile, quasi impercettibile. "Scusami, Gabriel... non volevo comportarmi così oggi. Non volevo."
Il suo tono era spezzato, fragile, e mi spezzò il cuore. Mi avvicinai di più, scivolando sotto le coperte per tirarla a me, accarezzandole i capelli. "Non importa, amore," mormorai, cercando di tranquillizzarla. "Non voglio litigare. Parliamo domani, se ti va. Voglio solo che tu stia bene, ok?"
Sofia annuì debolmente, stringendosi a me con un gesto che sembrava voler dire tutto e niente allo stesso tempo. "Gabriel..." mormorò, la sua voce tremante. "C'è una cosa che non ti ho detto..."
Il mio cuore iniziò a battere più forte. Ogni parola che usciva dalle sue labbra mi metteva in allerta, come se stessi per ascoltare una verità che avrebbe cambiato tutto. Mi preparai a qualsiasi cosa, ma nulla avrebbe potuto prepararmi a quello che disse subito dopo.
"Sono incinta."
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Endless 2
RomanceDa quando Gabriel era uscito dalla sua vita, il vuoto era stato riempito da un'angoscia crescente. Non era solo il suo amore a tormentarla, ma una presenza oscura che sembrava seguirla ovunque. Qualcuno voleva farle del male, e ogni giorno il perico...