Cap.30: Ossessione

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Le settimane scorrevano rapide, e con esse anche il cambiamento di Flaminia diventava sempre più evidente. Sembrava che quella giovane donna, un tempo spezzata, stesse tornando a essere l'artista implacabile che Philipp aveva conosciuto anni prima. O forse, pensava il maestro osservandola in silenzio dalla soglia della sala prove, era tornata ancora più determinata, più ostinata, quasi ferocemente impegnata a dimostrare qualcosa a se stessa e al mondo.

Ogni mattina Flaminia arrivava alla scuola prima di chiunque altro. Indossava il body e il tutore al ginocchio con la stessa attenzione con cui un cavaliere indossa la sua armatura. Le punte erano sempre pronte, lucide, curate nei minimi dettagli. Era meticolosa, ossessiva. Sistemava la sua postazione accanto alla sbarra, accendeva la musica e cominciava a lavorare, come se il mondo fuori dalla sala non esistesse più. E per lei, forse, era davvero così.

Philipp osservava i suoi movimenti: lenti, precisi, impeccabili. Il suo corpo, ancora segnato dalle ferite passate, rispondeva sorprendentemente bene ai comandi che Flaminia gli dava. Era come se la sua volontà inflessibile avesse preso il controllo, ordinando al ginocchio di piegarsi e di estendersi, ai muscoli di rispondere con forza e precisione. Non c'era esitazione, nessun tentennamento. Eppure, il maestro sentiva una crescente inquietudine ogni volta che la vedeva all'opera.

Non era solo la dedizione che lo preoccupava, ma l'ossessione. Flaminia si stava ricostruendo, sì, ma a quale prezzo? Philipp lo vedeva: il telefono spento e abbandonato nell'angolo, le amicizie trascurate, i messaggi ignorati. Lei si stava richiudendo in una bolla di perfezione e disciplina, come se il resto del mondo fosse diventato irrilevante. Non parlava mai di altro, non si concedeva pause. Ogni giorno era la prima ad arrivare e l'ultima ad andarsene, spesso ignorando il maestro quando le suggeriva di fermarsi e riposare.

La cosa più assurda, però, era che il suo corpo, nonostante tutto, rispondeva. Sembrava quasi una macchina ben oliata, pronta a obbedire a qualsiasi ordine lei gli desse. Philipp la guardava mentre eseguiva piccole coreografie: ogni salto, ogni pirouette, ogni plié era carico di una perfezione quasi innaturale. Ma dietro quella perfezione, il maestro vedeva qualcosa di inquietante. Non era passione a muoverla, non era più l'amore per la danza. Era qualcos'altro: forse rabbia, forse il bisogno di dimostrare qualcosa a se stessa. O forse, pensava con un nodo in gola, paura.

Una sera, mentre Flaminia era ancora in sala, Philipp entrò silenziosamente. Si appoggiò al muro, osservandola. La ragazza stava provando una serie di arabesques, il tutore al ginocchio che scricchiolava leggermente ad ogni movimento. Non sbagliava nulla. Ogni posizione era perfetta, ogni passo eseguito con una precisione maniacale. Ma il maestro non riusciva a fare a meno di notare la tensione nei suoi muscoli, il respiro affannoso, la rigidità nel suo sguardo concentrato.

«Flaminia,» la chiamò dolcemente, interrompendo la musica. Lei si voltò, sorpresa, con il viso sudato e i capelli che le scivolavano fuori dallo chignon.

«Maestro, cosa c'è?» chiese, con un tono che cercava di nascondere l'affanno.

Philipp si avvicinò lentamente, incrociando le braccia. «Sei instancabile, lo so. Ma sai cosa penso? Che stai cercando qualcosa che non troverai qui.»

Flaminia lo guardò, confusa. «Non capisco cosa intenda.»

Lui scosse la testa, sospirando. «Tu stai ricostruendo il tuo corpo, sì, ma a che prezzo? Stai inseguendo la perfezione, Flaminia. E la perfezione non esiste. Non devi dimostrare nulla a nessuno, tantomeno a te stessa. Devi imparare a perdonarti. Altrimenti, ti distruggerai.»

Lei abbassò lo sguardo, stringendo le mani attorno alla sbarra. Per un attimo sembrò voler rispondere, ma rimase in silenzio. Philipp la guardò, sperando che le sue parole potessero far breccia in quella corazza che si era costruita.

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