Un mese. Era passato un mese da quella caduta che aveva frantumato non solo il suo ginocchio, ma l'intero mondo di Flaminia. Da allora, ogni giorno era stato un lento trascinarsi tra la speranza e la disperazione, tra il tentativo di andare avanti e la voglia di lasciarsi tutto alle spalle. Si sforzava di guardare il programma, di supportare i suoi amici e Pietro, ma ogni volta che accendeva la televisione e li vedeva sul palco, sorridenti, impegnati nelle prove o esaltati da un'esibizione, sentiva un peso enorme sul petto. Si ricordava che quel palco sarebbe dovuto essere anche il suo, che quei momenti di gioia erano stati strappati via da un destino crudele. Ogni puntata era una lama che la colpiva, e ogni volta, quando spegneva il televisore, si sentiva svuotata e distrutta.
La fisioterapia era un tormento. Flaminia sapeva che il recupero sarebbe stato lento, ma mai avrebbe immaginato quanto difficile sarebbe stato vedere il suo corpo, un tempo forte e disciplinato, rifiutarsi di collaborare. Gli esercizi sembravano inutili; ogni movimento le costava uno sforzo enorme, e spesso il dolore era così intenso da farla crollare in lacrime. Il suo fisioterapista cercava di incoraggiarla, ma lei non riusciva a vedere alcun progresso. Ogni volta che metteva il piede a terra, ogni volta che cercava di piegare il ginocchio, sentiva che il suo corpo non era più suo. Era come se fosse stata tradita dalla cosa che amava di più: la danza.
Non era solo il dolore fisico a tormentarla, ma anche quello mentale. Ogni giorno che passava si sentiva più distante dalla Flaminia che era stata. La ragazza ambiziosa, determinata, piena di sogni e di speranze sembrava ormai un ricordo lontano. Ora si vedeva come un guscio vuoto, un'ombra di quella che era stata. Si trascinava per la villa dei nonni con la testa bassa, evitava gli specchi perché non riusciva a guardarsi, e ogni volta che qualcuno cercava di parlarle o di tirarle su il morale, rispondeva con un sorriso forzato, privo di qualsiasi convinzione.
Anche Pietro le mancava terribilmente. Il loro rapporto si nutriva di una complicità profonda, eppure la distanza e il suo stato mentale stavano erodendo quel legame. Lui continuava a scriverle messaggi pieni di affetto, le raccontava delle sue giornate, delle prove, dei momenti difficili e di quelli belli. Flaminia rispondeva, cercando di sembrare forte per lui, ma ogni parola che digitava le sembrava un peso. Si chiedeva continuamente se fosse giusto tenerlo legato a lei, se non sarebbe stato meglio lasciarlo andare, permettergli di vivere il suo sogno senza il peso della sua sofferenza.
Le notti erano le peggiori. Sdraiata nel letto della sua vecchia cameretta, si rigirava per ore, incapace di dormire. Pensieri cupi la invadevano, domande che non avevano risposte: E se non tornerò mai più a ballare? Se non sarò mai più felice? Spesso, per calmarsi, si alzava e si sedeva sul balcone, fumando una sigaretta e guardando le luci di Roma, cercando disperatamente un conforto che non arrivava mai. Ogni tanto, immaginava di sparire, di andarsene senza lasciare traccia, convinta che il mondo sarebbe stato meglio senza di lei.
Anche i nonni erano preoccupati. La nonna Carla cercava di starle accanto il più possibile, ma spesso trovava Flaminia chiusa in camera, persa nei suoi pensieri. Ascanio, il nonno, faceva di tutto per distrarla, proponendole viaggi, regalandole fiori o oggetti preziosi, ma niente sembrava funzionare. Entrambi sapevano che la loro nipote stava crollando, ma non sapevano come aiutarla. La loro preoccupazione cresceva giorno dopo giorno, così come la consapevolezza che, se Flaminia non trovava da sola una via d'uscita, sarebbe affondata del tutto.
Era un mese che la vita di Flaminia si era spezzata, e ogni giorno che passava sembrava peggiorare. La sua luce si stava spegnendo, e lei non riusciva a trovare il modo di riaccenderla.
Quella mattina, Flaminia decise di non alzarsi dal letto. Saltò la fisioterapia senza avvisare, ignorando i messaggi della nonna che bussava delicatamente alla porta per sapere se stesse bene. Si raggomitolò tra le coperte, sentendo il peso del mondo intero schiacciarla. La stanza era in penombra, con le tende tirate a oscurare quel poco di luce che poteva entrare. Sul comodino c'era il pacchetto di sigarette che aveva comprato di recente: era già il terzo della settimana. Le mani tremavano leggermente mentre ne accendeva un'altra, aspirando profondamente come se quel gesto potesse in qualche modo anestetizzare il vuoto dentro di lei.
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OBSESSION
FanfictionFlaminia: " l'ambizione batte il talento" TrigNo: " sei bella anche quando t'incazzi Ti giuro che vorrei, ma non riesco ad odiarti"