Cap.43: Per quanta strada ancora c'è da fare...

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In sei mesi, Flaminia aveva riscritto le regole del Bolshoi. Come un ciclone, era arrivata e aveva stravolto ogni gerarchia, ogni equilibrio, ogni aspettativa. Il suo talento non era solo una promessa, era una realtà che nessuno poteva ignorare. Senza ancora calcare il palco principale, aveva già conquistato il ruolo di Odette ne Il Lago dei Cigni, una delle parti più ambite e difficili del repertorio classico.

La notizia della sua assegnazione al ruolo principale aveva scatenato una tempesta di polemiche. Le altre étoile, alcune delle quali avevano dedicato decenni al Bolshoi, si erano indignate, accusando il coreografo di favoritismi e di aver infranto il rigido sistema meritocratico che aveva sempre regolato le assegnazioni. C'era chi si lamentava apertamente nei corridoi del teatro, chi scriveva lettere di protesta al direttore, e chi, più subdolamente, cercava di sabotare la reputazione della nuova arrivata.

Ma nulla sembrava scalfirla.

In sala prove, era una forza della natura. Ogni volta che si muoveva, catturava l'attenzione di tutti, dal coreografo ai ballerini più giovani, ai tecnici che, senza accorgersene, smettevano di lavorare per guardarla. Era leggera come l'aria, ogni suo passo era perfettamente calibrato, eppure sembrava naturale, come se fosse nata per danzare quella coreografia. I movimenti che altri ballerini avevano passato anni a perfezionare, lei li eseguiva con una grazia disarmante, quasi fosse un gioco.

«Guardatela,» sussurravano spesso le ballerine durante le prove, con un misto di ammirazione e invidia. «Sembra che danzare sia facile per lei.»

Ma chiunque avesse provato a imitarla si rendeva conto della verità: ciò che Flaminia faceva era impossibile da replicare. Non era solo questione di tecnica, anche se la sua era impeccabile. Era qualcosa di più profondo, quasi mistico. Era la sua presenza, il suo magnetismo, quel fuoco interiore che trasformava ogni passo in un'opera d'arte.

Il coreografo, un uomo che raramente si lasciava andare a elogi, si trovava spesso a osservarla con un'espressione di incredulità. «Flaminia,» disse un giorno durante una pausa, «non sei solo una ballerina. Sei un fenomeno. È come se il tuo corpo fosse stato progettato per danzare, e la tua anima fosse nata per essere qui.»

Le sue parole non erano solo un complimento. Erano una verità che tutti al Bolshoi, volenti o nolenti, dovevano accettare.

Ma quel talento straordinario aveva un prezzo. Flaminia era sempre più isolata. La sua ossessione per la perfezione l'aveva portata a fare terra bruciata intorno a sé. Le amicizie tra i ballerini, già fragili per natura in un ambiente competitivo come quello, si erano trasformate in una distanza gelida. Nessuno osava avvicinarsi a lei, non per timore ma per il rispetto che la sua presenza incuteva.

Persino il direttore, che pure aveva creduto in lei fin dall'inizio, a volte si chiedeva se avesse fatto bene a farla entrare nel cuore del Bolshoi così rapidamente. Flaminia era come una lama affilata: brillante, ma pericolosa. Ogni suo passo, ogni suo movimento, era un'affermazione della sua supremazia, una dichiarazione che non lasciava spazio a compromessi.

Eppure, nel profondo, Flaminia era consapevole del prezzo che stava pagando. Ogni sera, quando tornava nel suo appartamento vuoto, si ritrovava a fissare il soffitto, chiedendosi quanto a lungo avrebbe potuto sostenere quel ritmo. Non c'era spazio per il riposo, per il dubbio, per l'errore. Ma non c'era nemmeno spazio per i rimpianti.

Il palco del Bolshoi l'aspettava, e lei sapeva che solo quando avrebbe danzato come Odette avrebbe scoperto se i suoi sacrifici erano valsi la pena. Fino ad allora, ogni passo, ogni arabesque, ogni pirouette erano un allenamento, una preparazione per il momento in cui avrebbe finalmente affrontato il pubblico e si sarebbe messa alla prova davanti al mondo.

La relazione tra i due procedeva a ritmo alternato, ma con una determinazione che testimoniava il loro impegno reciproco. La distanza tra Mosca e Milano non era solo geografica; rappresentava anche due vite profondamente diverse, scandite da ritmi opposti. Lei, immersa nella rigorosa routine del Bolshoi, dove ogni minuto era dedicato alla perfezione. Lui, nella sua vita da musicista, divisa tra concerti, sessioni di registrazione e la costante ricerca di ispirazione. Eppure, nonostante le difficoltà, entrambi facevano del loro meglio per tenere viva la connessione.

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