Flaminia, come ogni altro ballerino professionista, era soggetta a visite mediche periodiche. Il controllo della salute fisica era una prassi imprescindibile per chi, come lei, spingeva il proprio corpo al limite. Eppure, mentre misuravano la flessibilità delle sue articolazioni, il tono muscolare e persino il battito cardiaco sotto sforzo, a lei non importava nulla. Era una routine che affrontava con indifferenza, come un esercizio da completare per tornare il più rapidamente possibile alla sbarra.
Ma questa volta c'era una differenza: tra le visite programmate, era prevista anche una consulenza psicologica. Quando lesse la convocazione sul foglio, un brivido gelido le percorse la schiena. Cercò di nascondere l'irritazione, fingendo di non dare peso alla cosa. Si disse che era solo un controllo, una formalità. Eppure, il pensiero la tormentava.
Fin da bambina, Flaminia aveva sempre guardato con sospetto il mondo della psicologia. Aveva cresciuto la convinzione, inculcatale anche dai discorsi frammentari sentiti in casa, che andare dallo psicologo fosse riservato ai "pazzi". Crescendo, quella convinzione non era stata completamente superata, ma trasformata in qualcosa di più complesso. Man mano che la sua ossessione per la danza cresceva e si radicava, Flaminia aveva iniziato a temere davvero il confronto con un professionista. Non perché non riconoscesse il proprio problema, ma perché sapeva che uno psicologo sarebbe andato a toccare corde troppo profonde, fili che lei stessa preferiva non sfiorare.
Quella mattina, mentre infilava distrattamente le punte nella borsa, cercò di scacciare il pensiero. Avrebbe affrontato la giornata come sempre: lezioni, esercizi, allenamenti. Ma ogni volta che il suo sguardo incrociava il calendario, quella parola sembrava lampeggiare a caratteri cubitali: "Psicologo".
Arrivata in sala, William le lanciò uno sguardo interrogativo. "Hai l'appuntamento oggi, vero?" disse con la sua solita calma, ma con un tono che lasciava intendere che non avrebbe accettato scuse. Flaminia annuì senza rispondere, poi si rifugiò nello spogliatoio.
Mentre si cambiava, le mani le tremavano leggermente. Cercò di convincersi che non era nulla di importante, che avrebbe risposto alle domande e che tutto sarebbe finito in pochi minuti. Ma sapeva che mentiva a se stessa. L'idea di qualcuno che scavasse dentro di lei, che mettesse a nudo quella parte di sé che cercava disperatamente di controllare, la terrorizzava.
Quando arrivò l'ora dell'appuntamento, si avviò a passo lento verso la stanza designata. Il corridoio sembrava infinito, e ogni passo era più pesante del precedente. L'ambulatorio era luminoso, arredato con colori chiari e accoglienti, ma a lei sembrava un luogo freddo e sterile. Lì la aspettava un uomo dall'aspetto tranquillo, che si alzò per stringerle la mano con un sorriso gentile. "Flaminia, piacere di conoscerti. Accomodati."
Lei si sedette con le spalle rigide, mantenendo uno sguardo neutro. Il colloquio iniziò con domande generiche: sulla sua vita, sulla danza, sulle sue abitudini. Flaminia rispondeva in modo sintetico, calcolato, come se stesse eseguendo un esame teorico. Ma poi, inevitabilmente, il discorso iniziò a scivolare verso argomenti più profondi.
"Ti senti mai sotto pressione quando balli? Pensi mai che la danza richieda troppo da te?" le chiese lo psicologo con tono pacato.
Flaminia esitò. Un misto di rabbia e paura si agitò dentro di lei. "No," rispose con freddezza. "La danza è ciò che sono. Non c'è altro."
L'uomo la osservò per un momento, annotando qualcosa su un taccuino. "E se un giorno non potessi più ballare?"
La ragazza inclinò leggermente la testa, come se stesse valutando la domanda. Poi un sorriso sottile, quasi impercettibile, si disegnò sul suo volto. La sua risposta arrivò con una calma disarmante, come se stesse affermando una verità assoluta. "Allora morirei."
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OBSESSION
FanfictionFlaminia: " l'ambizione batte il talento" TrigNo: " sei bella anche quando t'incazzi Ti giuro che vorrei, ma non riesco ad odiarti"