Capitolo 15

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La porta si aprì e i miei genitori entrarono nella stanza, seguiti a ruota dai miei fratelli.
Mamma: "Oh mio Dio, Michael!" Disse correndo vicino al mio letto.
Mi prese la mano e iniziò a singhiozzare, reprimendo a stento i tremori dovuti al pianto.
Michael: "Tranquilla mamma, sto bene..." iniziai.
Mamma: "Bene? Bene? Sei steso in un letto d'ospedale, hai appena finito di fare una tac, ed hai il coraggio di dire che stai bene?!?" Urlò.
Poi fece un respiro profondo, calmandosi.
Le posai una mano sulla spalla, facendola sedere sul letto, di fianco a me.
Michael: "Mamma... Non era mia intenzione farvi preoccupare..." dissi.
Lei mi guardò, gli occhi ancora pieni di lacrime.
Poi mi sorrise. Era un sorriso tirato, di quelli che sa fare la gente che è troppo triste anche per piangere.
Michael: "Mamma, tranquilla" dissi.
Mamma: "Mi calmerò solo dopo che mi avrai detto chi ti ha ridotto in questo stato" disse seria.
Michael: "Ma mamma..." provai a ribellarmi.
Mamma: "Niente ma, Michael! Possibile che anche adesso, che sei finito in ospedale, tu non voglia confessare chi ti riduce sempre in questo stato?" Chiese stizzita.
Ebbi un attimo di esitazione. Perché difendevo Dominik, dopo tutto quello che mi aveva fatto?
Michael: "Dominik Clifford" mi arresi alla fine.
Mamma: "Chi è, un tuo compagno di classe?" Chiese calmandosi un po'.
Io annuii, rassegnato.
Papà: "Oggi stesso andremo a sporgere denuncia, tranquilla cara" disse a mia madre.
Lei annuì, convinta.
Michael: "Papà... lascia perdere..." iniziai.
Papà: "Lascia perdere?" Ripeté in tono pacato "Non esiste" disse poi scuotendo il capo.
Michael: "Papà, è inutile, capisci? Questo li motiverà solo a picchiarmi di nuovo!" Sbottai.
Mamma: "Di nuovo? Che significa di nuovo?!?" Chiese.
Michael: "Significa che, tutte le volte che sono tornato con dei lividi, era opera sua" dissi tenendo lo sguardo basso.
Papà: "Perché non ce lo hai mai detto?" Chiese.
La sua voce aveva un tono imperioso e severo.
Michael: "Perché non volevo che voi pensavate che non sapessi cavarmela da solo!" Urlai mentre calde lacrime iniziarono a bagnarmi le guance, bruciando.
Mamma: "Tesoro... Non lo avremo mai pensato, puoi crederci, vero caro?" Chiese a mio padre, rivolgendogli un'occhiata di fuoco.
Lui annuì, senza dire una parola.
Poi scese il silenzio.
Era uno di quelli opprimenti, che ti fanno male alle orecchie e che ti fanno venir voglia di urlare solo per vedere se ricordi come si fa ad emettere un suono.
Papà: "E tu chi saresti?" Chiese indicando Andreas, come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza.
Andreas: "Salve, signor Penniman. Io sono Andreas Dermanis, ho conosciuto suo figlio all'Accademia della Royal Opera House. Sono stato io a portarlo qui in ospedale" disse il biondo.
Mamma: "Non troveremo mai modo di ringraziarti abbastanza, Andreas. Hai salvato la vita di nostro figlio" disse con le lacrime agli occhi.
Andreas: "Mi basta che Michael stia bene" disse spostando il peso da un piede all'altro, chiaramente a disagio.
Papà: "Non capita tutti i giorni di incontrare un ragazzo come te. Come ha detto mia moglie, non ti ringrazieremo mai abbastanza" aggiunse mio padre.
Poi, come se solo in quel momento si fossero resi conto della situazione, i miei fratelli si avvicinarono al letto, facendo a turno per abbracciarmi.
Notai che Yasmine aveva le lacrime agli occhi, ma cercava di non darlo a vedere.
Michael: "Yasmine? Sorellona, non piangere. Sono tutti intero" dissi indicandomi.
Le soffocò un risolino nervoso, poi mi diede un bacio sulla guancia.
Le strinsi la mano, quasi volessi darle coraggio, come a dirle che, presto, tutto quello sarebbe finito. O almeno, così speravo.
Yasmine si allontanò, permettendo così anche agli altri di abbracciarmi.
Quando finirono di farmi le coccole, Paloma tirò fuori un sacchetto dalla sua borsa azzurra e viola e me lo porse.
Io lo presi e lo aprii, togliendo lo scotch che lo chiudeva.
Guardai dentro e vidi una scatoletta bianca.
Tirandola fuori, capii cosa fosse: i miei antidepressivi.
Michael: "Grazie, Paloma" dissi con un sorriso.
Paloma: "Figurati" rispose.
Mia sorella ai allontanò, tornando vicino agli altri.
Ad un tratto, la porta della mia stanza si spalancò. Sulla soglia comparve l'infermiera che mi aveva detto della tac.
Infermiera: "Salve, signori Penniman. Mi dispiace interrompervi, ma l'orario di visita è finito" disse.
Mamma: "Sì, andiamo via subito, ci dia solo il tempo di salutare nostro figlio" disse.
Infermiera: "Ovviamente" disse con un sorriso.
Solo allora, notai che aveva i denti un po' storti. Solitamente, dei denti così avrebbero imbruttito una ragazza così delicata, ma non stavolta. A lei, davano un'aria infantile e dolce.
Mia madre si avvicinò al letto e, carezzandomi la guancia, mi disse che sarebbero tornati il giorno dopo.
Mamma: "Ciao, tesoro" disse.
Papà: "Ciao, Michael. Facci sapere se ti serve qualcosa" disse.
Io annuii.
Poi, la mia famiglia uscì dalla stanza.
Yasmine chiuse la porta dietro di sè.
Michael: "Andreas?" Chiesi quando fummo soli.
Andreas: "Si?" Chiese.
Michael: "Perchè non vai a casa anche tu? È tardi..." dissi.
Andreas: "Non se ne parla. Resto qui finché non ti addormenti" disse il biondo.
Michael: "Non devi preoccuparti, non ho paura del buio" scherzai.
Andreas: "È invece dovresti. Non sai mai cosa si cela negli recessi più nascosti dell'oscurità, non sai mai cosa ti attende nel buio della notte" spiegò.
"Alluderà alla mala vita" mi dissi.
Ma, in cuor mio, sapevo che non era così.
Andreas intendeva qualcosa di più oscuro... e potente, in un certo senso.
Michael: "Non dirmi che..." iniziai.
Ma non riuscii a finire la frase, perchè la porta si aprì.
L'infermiera entrò di nuovo nella mia stanza.
Portava con sè una borsa nera con una croce rossa sopra.
Infermiera: "Mi scusi se la disturbo ancora, ma mi è stato detto di farle un'altra iniezione di tranquillanti e di farle un massaggio sul torace" disse.
Michael: "Non si preoccupi" dissi.
La ragazza sorrise, poi si avvicinò a me.
Posò la borsa sul comodino, poi la aprì.
Ne estrasse una siringa e una fiala dal contenuto giallastro.
Riempì la siringa con quel liquido, poi mi prese il polso.
Infermiera: "Faccia la mano a pugno e resti fermo" disse.
Ubbidii.
Fu solo un istante. L'ago affondò nella mia pelle. Un attimo dopo, era tutto finito.
La ragazza posò la siringa sul comodino, poi estrasse un tubetto di crema dalla valigetta.
Infermiera: "Si tolga la maglietta, signor Penniman" disse svitando il tappo.
Ubbidii di nuovo, sfilandomi l'indumento.
Lo posai sul letto... e vidi quanto ero ridotto male.
Il mio torace era ricoperto di lividi neri e gonfi, che a ogni respiro si alzavano e abbassavano, provocandomi delle fitte di dolore acuto.
Mi stesi nuovamente sul letto, aspettando il peggio.
Ma quando le mani dell'infermiera si posarono sul mio corpo, non sentii nulla se non un tocco leggero ed esperto.
La ragazza massaggò con cura la crema sulla parte sinistra del mio petto, poi passò alla destra, vicino la clavicola. E arrivò il dolore.
Per quanto facesse piano, ogni volta che le sue dita mi sfioravano la clavicola una scossa di dolore mi percorreva da capo a piedi.
Cercai di non darlo a vedere, ma fallii miseramente.
Infermiera: "Si rilassi, ho quasi finito" disse cercando di calmarmi.
Feci come diceva, cercando di far rilassare i muscoli.
Per un po' ci riuscii.
Poi, fortunatamente, la ragazza finì di massaggiare.
Ripose anche la crema e mi guardò.
Infermiera: "Finito. Scusi se le ho fatto male" disse abbassando lo sguardo.
Michael: "Si figuri. Grazie a lei" dissi.
Lei mi sorrise, mettendo in mostra i denti storti.
Infermiera: "Tra poco le porterò le cena. Per adesso, stia a riposo" disse.
Io annuii.
Lei accennò un sorriso e, compiaciuta, uscì dalla stanza.
Rimasi di nuovo solo con Andreas.
Andreas: "Ti ha fatto male?" Chiese.
Michael: "Abbastanza... ma ha fatto del suo meglio" riposi, cercando di mascherare il dolore provavo ancora.
Andreas mi guardò con occhi indagatore, come per capire se stessi mentendo o se stessi dicendo la verità.
Poi spostò i suoi occhi color oceano sulla parete bianca.
Scese il silenzio.
La tensione nella stanza era papabile, tanto era pesante.
Poi sentimmo bussare alla porta.
Michael: "Avanti" dissi.
La porta si aprì e sulla soglia comparve di nuovo l'infermiera.
Infermiera: "Ecco la cena, signor Penniman. Ho portato qualcosa anche per lei, signor Dermanis" disse posando due vassoi sul piccolo tavolino in fondo alla stanza.
Poi sorrise e, uscendo, chiuse la porta dietro di sè.
Andreas: "Te lo porto a letto?" Chiese indicando il vassoio.
Michael: "Si, per favore" risposi.
Il biondo annuì, prendendo il vassoio dal tavolo e posandolo sulle mie ginocchia.
Poi tolse il coperchio.
Quella sera avrei mangiato pollo arrostito, riso in bianco e una mela rossa.
Presi la forchetta e il coltello e iniziai a tagliare il pollo.
Me ne portai una pezzetto alla bocca, masticai per bene e a lungo, poi ingoiai.
Continuai a mangiare finché la carne non finì.
Poi mi girai verdi Andreas. Non aveva ancora toccato cibo.
Michael: "Tu non mangi?" Chiesi indicando il vassoio intatto.
Andreas: "Si, tra cinque minuti" ripose squadrandomi.
Michael: "Allora ti aspetto, mi da fastidio mangiare mentre mi osservi" dissi.
Lui sospirò, poi si sedette al tavolo, togliendo il coperchio al vassoio.
Iniziò anche lui a mangiare il pollo.
Sorrisi compiaciuto.
Poi presi il cucchiaio e iniziai a mangiare il riso, che però era colloso e sciapito.
Alla fine, vinto dal disgusto, ci rinunciai.
Andreas: "Fa così schifo?" Chiese guardando il suo riso.
Michael: "No, è solo colloso e senza sale" dissi sarcastico.
Lui sorrise leggermente. Bhe, più che sorridere, incurvò le labbra verso l'alto quel tanto che bastava perché sembrasse felice o, almeno, compiaciuto.
Sorrisi anche io, poi presi la mela e diedi un morso. Era dolce e succosa, decisamente meglio del resto della cena.
La mangia fin quasi al torsolo, tanto era buona.
Poi posai quel che restava del frutto sul vassoio, ormai vuoto, tranne che per il piatti di riso, che era quasi intatto.
Andreas: "Vuoi anche la mia mela?" Chiese.
Michael: "No, mangiala tu" dissi.
Andreas: "Non mi piacciono le mele, quindi se la vuoi puoi prenderla" disse deciso.
Michael: "Allora la prendo" dissi.
Andreas mi lanciò il frutto, che io presi al volo. Diedi una grande morso e il succo mi ruscellò agli angoli della bocca.
Mi pulii con un tovagliolo e finii la mela. Posai il torsolo accanto all'altro, poi presi il vassoio e lo misi sul comodino.
Aprii il piccolo cassetto del mobile e presi la scatoletta di antidepressivi.
Presi una capsula e riposi le altre.
Michael: "Mi dai una bottiglietta d'acqua?" Chiesi ad Andreas.
Andreas: "Si" disse portandomi quello che chiedevo.
Quando me l'ebbe consegnata, svitai il tappo, infilai la capsula in bocca e bevvi un piccolo sorso.
Andreas: "Cos'è?" Chiese.
Michael: "Cos'è cosa?" Chiesi chiudendo la bottiglietta e posandolo sul comodino.
Andreas: "A cosa serve la pillola che hai preso?" Chiese senza mezzi termini.
Michael: "Ah, ti riferisci all'antidepressivo. Ho inziato a prenderli ieri su consiglio dello psicologo che mi ha visitato" risposi con su sorriso amaro.
Andreas: "Michael, quelle pillole sono inutili, te lo dice uno che le ha provate tutte" disse schietto.
Michael: "Tu? Prendevi antidepressivi? Non ci credo..." dissi soffocando una mezza risata.
Non potevo pensare che lui, Andreas Dermanis, barone di "Controllerbourough" prendesse psicofarmaci. Non mi sembrava neanche lontanamente possibile. Andreas era troppo... troppo Andreas per credergli quando diceva di essere caduto in depressione, tempo prima.
Andreas: "Non sono affari miei quello in cui credi e quello in cui non credi, io ti ho detto la verità" disse, sguardo penetrante e tono secco.
Rimasi zitto. Era una delle tante volte che ero rimasto a corto di parole.
"Normale amministrazione" Pensai amaramente.
Mi faceva arrabbiare il solo fatto di non riuscire a controbattere, neanche verbalmente. Era frustrante, perché significava subire, subire, subire e ancora subire. Senza potersi ribellare. Era una sensazione orrenda, di impotenza, inettitudine.
Ma, in quel momento, ciò che mi dava più fastidio era il fatto che Andreas, da ragazzo dolce, allegro e altruista, potesse trasformarsi in una persona totalmente diversa. Oscura. Fredda. Quasi insensibile. Quasi cattiva.
Sospirai.
Poi presi lo zainetto, che Andreas si era curato di portare con sé quando mi aveva condotto il ospedale, e aprii la tasca anteriore.
Dentro c'erano i miei effetti personali: cellulare, documento di identità, auricolari, la mia collana... e l'anello. Il mio prezioso anello.
Lo tirai fuori per un attimo, indeciso sul se metterlo o meno.
Alla fine, optai per la seconda soluzione. Se lo avessi messo, avrei rischiato di perderlo e comunque i medici me lo avrebbero fatto togliere per fare tutti gli esami. Tanto valeva che restasse al sicuro nella mia borsa.
Riposto l'anello, tirai fuori il cellulare.
Lo accesi e sullo schermo compravendita l'orario: 9:05 di sera.
Riposi anche quello nello zainetto e misi quest'ultimo sotto il letto.
Michael: "Andreas?" Chiesi rompendo quel momento si silenzio.
Andreas: "Mh?"
Michael: "È tardi... perché non vai a casa tua?" Chiesi, incerto su che reazione avrebbe avuto.
Andreas: "No, ho detto che avrei aspettato che tu dorma, poi andrò via" disse "Anzi, è tardi. Spegni la luce e vedi di dormire" ordinò.
Michael: "Ma..." feci per dire.
Andreas: Niente ma! Tu adesso dormi" disse in tono fermo... ma velato di dolcezza.
Sospirai di nuovo.
Quel ragazzo aveva un certo effetto su di me. Aveva il potere di farmi fare ciò che voleva senza nemmeno urlare. Gli bastava dire una parola, ed io cadevo ai suoi piedi.
Michael: "Agli ordini, Mr Dermanis" Sbuffai.
Andreas: "Non chiamarmi così, mi fai sentire vecchio" disse facendo una mezza smorfia che interpretai come l'accenno di un sorriso.
"È bipolare" Pensai.
Eppure, questa era una delle caratteristiche che lo rendeva irrimediabilmente, indissolubilmente, maledettamente attraente.
Non capivo perché abbedivo ad ogni suo ordine. Ma sapevo che era così.
Mi stesi leggermente, posando la testa sul morbido cuscino e tirandomi le coperte fino alle spalle, ancora tormentato da quei pensieri.
Vocetta: "Si chiama amore, stupido! Sei cotto di quel ragazzo!" Disse L'insopportabile vocetta che avrei dovuto considerare la mia "coscienza"
Michael: "Si, come no. Svegliati! Lo conosco da pochissimi giorni!" Ribattei.
Vocetta: "Per innamorarsi può volerci una vita, ma anche un secondo. È l'amore più vero è quello che nasce al primo sguardo, la prima volta che gli occhi dell'uno legano a gli occhi dell'altro, la prima volta che si ci stringe la mano, la prima volta che la voce di uno entra nelle orecchie dell'altro e viceversa. È così che nascono gli amori più puri, più profondi. Perché quando ci vuole una vita per in innamorarsi, vuol dire che non si è sicuri al cento per cento di volte l'altro nella propria vita e che, probabilmente, non si avrà mai questa certezza. Quindi, smetti di negare la realtà, finiscila di mentire a te stesso. Perché se continui così, il mondo ti cadrà addosso e ti spezzerà l'anima, piegandola al suo volere. Ti trafiggerà il cuore come una lama di ghiaccio, gelandolo. E alla fine, ti farà vedere tutto ciò che hai perso, mostrandoti quanto eri vicino ad ottenerlo, ma che non sei stato capace di fare i conti con te stesso, con quei recessi del tuo cuore e della tua mente che sono il tuo vero io. Che ti sei affidato alla razionalità, pensando a ciò che tutto l'universo tranne te desiderava e mettendo da parte i sentimenti, i sogni, quello che vuoi tu. E sai questa come si chiama? Stupidità. È da stupidi lasciarsi scappare ciò che più si desidera solo per sentirne la mancanza. E tu, mio caro, stai commettendo questo errore. Hai ancora tempo per rimediare. Guarda dentro di te, negli anfratti nascosti del tuo cuore. E cerca le soluzioni a tutti i tuoi problemi. Tu non lo sai, ma ogni singola domanda che ti sei posto dalla tua nascita ad oggi trova in te la risposta. Devi solo saperla cercare. Devi solo saper togliere la sabbia che la nasconde. E avrai ciò che vuoi. E sai cosa vuoi? Tu vuoi Andreas. Vuoi che lui ti baci, ti accarezzi i capelli, ti sussurri che è tutto apposto. Non lo negare. Io sono la tua coscienza, la parte più oscura e nascosta del tuo essere. Lascia che ti aiuti ad ottenere quello che vuoi. Per favore. Voglio solo che i tuoi sogni si realizzino. Perché se lo sogni, lo desideri, no? È come quando guardi una stella cadente ed il primo nome che ti viene in mente é quello della persona che vorresti fosse con te in quel momento. É come quando lanci in aria una moneta perché decida al posto tuo e ti scopri a desiderare che il fato scelga quello in cui speri. È così anche per l'amore. I sentimenti sono un complicato dedalo che vive dentro e fuori di noi. È parte del nostro essere, ma al contempo é un'entità distinta e mutevole. E al centro di questo labirinto c'è l'amore, il cuore pulsante degli essere umani. Perché se non si ama, non si é umani. Si è come automi, burattini nelle mani di qualcun altro. E tu non sei così. Lo credi, ma non lo sei affatto. Tu sei Michael Holbrook Penniman Jr, l'unico, il solo, l'irripetibile. Non sprecare la tua vita, affrontala a testa alta, guardandola negli occhi, sfidala prendendoti i tuoi rischi assumendoti le tue responsabilità. Se segui il cuore, avrai quello che vuoi. Ma per farlo devi lasciare la tua mente all'angolo. Segui le emozioni e non sbaglierai mai" disse.
Michael: "Io..." iniziai.
Ma non finii la frase.
Non sapevo cosa dire. Da un lato era tutto vero. Dall'altro, non volevo accettarlo.
Sbadigliai piano.
Poi chiusi gli occhi, lascindomi cullare da Morfeo.

Coming In A Dark World||MikandyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora