"Ero nella sala degli allenamenti. Indossavo solo una calzamaglia grigia e delle mezze punte.
Stavo danzando sulle note di una musica che non conoscevo, ma che mi sembrava stranamente familiare.
Iniziai a piroettare su me stesso, mettendo i piedi in quarta a ogni giravolta.
Continuai a danzare per quelle che mi sembrarono ore. Alla fine avevo i muscoli doloranti e i piedi indolenziti.
Ma tutto questo non contava.
Quando danzavo mi sentivo libero, leggero come una piuma. E poi, tutto sommato, una doccia calda mi avrebbe rimesso in forma.
Mi diressi verso lo spogliatoio maschile, e rimasi molto colpito dal fatto che fosse completamente vuoto.
Scrollai le spalle. Magari gli altri erano già andati a casa.
Una volta entrato, presi dal mio zainetto una maglietta a righe bianche e nere e un pantalone nero.
Mi diressi alle docce e mi infilai in una di esse. Chiusi la tenda e iniziai a lavarmi. Mi insaponai con un sapone alla camelia, poi mi sciacquai. Chiusi il rubinetto e iniziai ad asciugarmi con un asciugamano bianco.
Quando fui perfettamente asciutto, uscii dalla doccia.
Infilai boxer e pantaloni, frizionai i capelli bagnati con un altro asciugamano e andai verso i lavandini, dove c'erano gli asciugacapelli.
Ne presi uno a caso e iniziai ad asciugare i riccioli ribelli, aiutandomi con le mani.
Quando furono asciutti, posai l'asciugacapelli e infilai la maglietta. Presi lo zainetto e feci per uscire dallo spogliatoio... ma una figura vestita di nero si parlò dinnanzi a me, bloccandomi la strada.
Alzai lo sguardo. E lo riconobbi.
Andreas.
Michael: "Ciao Andreas. Scusa, mi avevi spaventato" dissi.
Andreas: "Dovrai essere coraggioso" disse lui.
Ma la voce non sembrava quella che avevo sentito il giorno prima...
La sua era dolce e suadente, quella che avevo appena sentito, invece, era dura e fredda.
Michael: "Cosa vuol dire?" Gli chiesi.
Andreas: "Dovrai essere coraggioso" ripetè.
Poi estrasse un coltello. Era lo stesso che aveva anche la volta precedente.
Per un istante temetti che volesse fare qualcosa di sconsiderato... ma si limitò a prendermi la mano e, con un gesto delicato, aprì un solco sul palmo.
Mi lasciò la mano.
Io la sollevai, portandola più vicino al mio viso.
Osservai il pigro fiotto rosso scuro che sgorgava dalla ferita. Rimasi ipnotizzato a guardarlo... poi tutto si fece confuso, ed ebbi la sensazione di precipitare nel vuoto.
Lasciai che il silenzio mi avvolgesse e chiusi gli occhi..."
Mi rizzai a sedere nello stesso momento in cui aprii gli occhi. Avevo il respiro irregolare e mi sentivo come se avessi battuto la testa contro un muro.
Nella mia mente, il sogno appena fatto era un ricordo confuso. Ricordavo vagamente di trovarmi alla "Royal Opera House". Poi ero andato a farmi la doccia. Stavo per uscire dallo spogliatoio, ma Andreas mi aveva bloccato la strada. Poi aveva preso quel pugnale e aveva inciso il palmo della mia mano.
Quasi inconsciamente, sollevai la mano destra, portandomela davanti agli occhi. Niente. La pelle era integra. Per fortuna, era solo un sogno.
Un sospiro di sollievo uscì dalle mie labbra, poi mi lasciai cadere di nuovo sul letto.
Girai la testa verso il comodino e guardai l'orologio. Le 3:18.
Decisi di provare ad addormentarmi di nuovo, ma ottenni scarsi risultati.
Sbuffai. Avrei voluto dormire. Ero stanchissimo. Ma qualcosa, non so cosa, mi impediva di chiudere occhio.
"Calma, Michael. È solo l'ennesima cosa strana che ti succede questa settimana. Ora fa un bel respiro, alzati, va in bagno e poi torna a letto" mi dissi.
Mi misi a sedere e feci scivolare i piedi oltre il bordo del letto. Quando le dita sfiorarono il pavimento freddo, un brivido mi percorse tutto il corpo.
Scrollai il capo e mi alzai.
Mi diressi verso il bagno, camminando in punta di piedi. Non avevo alcuna intenzione di svegliare i miei genitori.
Una volta arrivato, entrai e accesi la luce, chiudendo la porta alle mie spalle.
Andai al gabinetto, mi tirai giù boxer e pantaloni e feci ciò che dovevo. Scaricai e tirai su le mutande.
Mi lavai le mani, strofinandole con un sapone ai fiori d'arancio. Le sciacquai e le asciugai con un telo di spugna bianca.
Lentamente, aprii la porta del bagno, spegnendo la luce.
"Ho fame" Pensai.
Il che, oltretutto, era perfettamente plausibile. Avevo solo assaggiato la pasta e patate, mentre eravamo al ristorante. Non avevo fame, o meglio, avevo perso l'appetito.
Percorsi il lungo corridoio e, una volta di fronte alle scale, iniziai a scendere lentamente.
Una volta arrivato in fondo, mi diressi in cucina.
Andai verso il mobile dove mia madre teneva i biscotti.
La cosa che mi stupì fu che, nonostante fosse buio pesto, riuscissi a vedere in modo discreto.
Decisi di non farci caso, dopotutto poteva capitare a chiunque, dopo che gli occhi si erano abituati all'oscurità
Aprii la porta del mobile e presi un pacco di biscotti integrali. Lo aprii e me ne portai uno alla bocca.
Cercai di masticare il più silenziosamente possibile, anche perché ero convinto che, da un momento all'altro, il dolore ai denti si sarebbe ripresentato.
Fortunatamente, ciò non accadde, e riuscii a mangiare quattro biscotti.
Riposi il pacco nel mobile e feci per tornare di sopra... ma ci ripensai.
"Non ho sonno. Resterò qui, non ho nulla da fare" mi dissi.
Andai in salotto e mi sedetti sul divano. Iniziai a far vagare lo sguardo per tutta la stanza, soffermandomi sulla grande libreria contenente tutti i libri di mio padre.
Quanto avrei voluto poter leggere. Mi sarebbe bastato anche solo un giorno. Volevo scoprire cosa si provava ad immergersi completamente nella lettura e lasciarsi trascinare dalle parole. Quanto avrei voluto poter sapere come si ci sentiva... purtroppo non lo avrei mai scoperto. Era impensabile per me anche solo sperare di poter provare a leggere.
Sbuffai, contrariato da quel pensiero.
Decisi di concentrarmi su qualunque altra cosa e, come immaginavo, mi venne in mente l'immagine di Andreas che pronunciava quelle parole che tanto mi avevano innervosito.
Non ci volevo pensare, ma era come se il mio cervello si rifiutasse di obbedire.
Decisi di tornare in camera mia e provare a dormire nonostante la mancanza di sonno.
Mi alzai dal divano e mi diressi, in punta di piedi, verso le scale.
Iniziai a salire cercando di non fare rumore.
Quando arrivai al piano superiore, sempre in punta di piedi, mi diressi in camera mia.
Entrai e chiusi la porta dietro di me, poi mi stesi sul letto. Tirai su le coperte, mettendomi sul fianco destro.
Chiusi gli occhi e cercai di riprendere sonno.
Purtroppo, non ci riuscii. Il pensiero di Andreas che mi incideva il palmo con quel coltello mi stava tormentando.
Che cosa voleva dire? E, se significava qualcosa, perché non capivo? Cosa mi stava succedendo?
Sospirai.
Era tutto così strano, in quell'ultimo periodo. Non potevo più nemmeno cosa rispondere alla domanda "come stai?". Non perché non volessi. Semplicemente, non sapevo cosa rispondere.
Stavo bene? O stavo male?
Non lo sapevo. L'unica certezza che avevo era che, nell'ultima settimana, qualcosa in me stava cambiando, anche se non sapevo cosa. Bhe, del resto, cosa sapevo nell'ultimo periodo? Nulla. Il buio totale.
"Potrei quasi abituarmici. Forse è meglio così. Forse" mi dissi.
Tuttavia, non lo pensavo sul serio. Per me non era concepibile pensare di vivere senza sapere cosa mi stesse succedendo. Era... impossibile.
Sentivo il bisogno di sapere cosa mi stesse accadendo.
Sbuffai.
Mi girai nel letto, cercando di trovare una posizione che mi favorisce il sonno. Purtroppo, per quanto potessi muovermi, non c'era posizione che mi soddisfacesse.
A un certo punto non ce la feci più e, frustrato, decisi di alzarmi di nuovo.
Scostai le coperte di lato e feci scivolare i piedi oltre il bordo del letto, poi guardai l'orologio. Le 4:02. Era passata quasi un'ora da quando mi ero svegliato.
Mi alzai e andai verso la scrivania.
Accesi la luce.
Battei un paio di volte le palpebre, per permettere agli occhi di abituarsi ad essa.
Quando fui sicuro di vedere bene, aprii uno dei cassetti.
Iniziai a frugare tra le varie scartoffie... e alla fine lo trovai. Il mio diploma di danza moderna. Avevo quattordici anni quando mi era stato conferito, ma ricordavo tutto di quel giorno.
La cerimonia. Gli applausi. I salti di gioia che feci quando mi consegnarono quel foglio. Tutto era nitido nella mia mente, ed era una delle poche cose belle che ricordavo della mia adolescenza.
Feci scorrere le dita sulla superficie liscia di quel documento, quasi lo stessi accarezzando.
Dopo un po' lo riposi con cura nel cassetto.
Non sapendo in che altro modo tenermi occupato, decisi di preparare i vestiti per il primo allenamento alla Royal, che si sarebbe tenuto quel pomeriggio.
Mi alzai dalla sedia e andai verso la cassettiera, dove presi una maglietta blu, una calzamaglia rossa e delle mezze punte.
Afferrai lo zainetto e ci infilai dentro gli abiti.
Chiusi la cerniera.
Da un altro cassetto, presi un boxer pulito.
Lo infilai nella tasca anteriore dello zainetto... e mentre ritraeva la mano sfiorai qualcosa di morbido.
Lo tirai fuori: era un piccolo sacchetto azzurro polvere.
Posai lo zaino sul letto e mi sedetti.
Sciolsi il nodo che teneva chiuso il sacchetto e lo capovolsi, facendo cadere ciò conteneva sul palmo della mano destra. Un anello. Posai il sacchetto sul letto e presi il gioiello tra due dita.
Non era nulla di speciale, un semplice cerchio di ferro nero battuto con delle strane incisioni. Al centro c'era incastonata un piccolissima pietra rosso scuro.
Mi girai il gioiello tra le dita, guardandolo.
Cosa ci faceva nel mio zaino?
Di sicuro, non ce lo avevo messo io.
Forse qualcuno aveva sbagliato borsa e, per errore, lo aveva messo nella mia.
Ad ogni modo, qualunque cosa fosse successa, adesso quell'anello apparteneva a me.
Continuai a rigirarmelo tra le dita per alcuni minuti, poi decisi di infilarlo.
Lo presi tra l'indice e il pollice e provai a infilarlo all'anulare destro. L'anello entrò senza difficoltà.
Allontanai la mano e osservai il dito contornato dal cerchio di ferro.
Era davvero un bell'anello, con quelle incisioni e quella pietra. E, cosa più importante, mi stava alla perfezione.
Lo avrei tenuto, dopotutto non era un gioiello che si vedeva tutti i giorni. Era... particolare. Antico, in un certo senso.
Mi accorsi di star fissando ancora l'anello. Scossi il capo e lo sfilai.
Lo risposi nel sacchetto e feci un fiocco, poi presi quest'ultimo e andai verso il comodino. Aprii il piccolo cassetto e ce lo infilai dentro, facendo attenzione a non farlo ammaccare troppo.
Richiusi il cassetto.
Andai verso la scrivania e spesi la luce, guardai l'orologio. Le 4:58.
Mi avvicinai alla finestra e mi sedetti sul davanzale interno. Iniziai a guardare svogliatamente fuori.
Queensway era illuminata dalla luce arborea.
Spostai lo sguardo oltre, verso la cattedrale di St. Paul. L'enorme edificio bianco era illuminato dalla luce dei primi raggi del Sole.
"La cattedrale è bellissima. Un prodigio architettonico" Pensai.
Ed era vero. La cattedrale di St. Paul, così come il monumento dedicato ai caduti situato nel cortile ad essa antistante, era un prodigio d'architettura.
Mi portai le ginocchia al petto econtinuai a guardare fuori dalla finestra, assorto.
Ero talmente concentrato sulla cattedrale, che quasi non mi accorsi che il sole stava sorgendo.
La facciata della cattedrale, adesso, era investita dai timidi raggi solari. Il cielo aveva assunto una colorazione rosata ed era velato di nuvolette bianche.
Girai la testa verso il comodino per vedere che ore fossero. Le 5:43.
Era troppo presto per prepararmi per la scuola, ma potevo restare a guardare la cattedrale.
Girai di nuovo la testa verso la finestra e ripresi a guardare fuori... fino a che non sentii la porta aprirsi. Sulla soglia comparve mia madre.
Mamma: Oh... sei già in piedi" disse.
Michael: "Si, dalle 3:00" risposi.
Mamma: "Tesoro? C'è qualcosa che ti preoccupa?" Chiese.
Io non risposi e abbassai lo sguardo.
Mamma: "Ti va una cioccolata calda?" Propose.
Io feci cenno di si con la testa.
Mi alzai a seguii mia madre fuori dalla mia stanza.
Scendemmo le scale e ci dirigemmoin cucina.
Mamma: "Siediti a tavola" disse mia madre.
Io obbedii, lasciandomi cadere sulla prima sedia che trovai.
Mia madre mise sul fuoco un pentolino con del latte e del cioccolato fondente.
Quando il latta fu caldo e il cioccolato fuso, mescolò tutto con un cucchiaio, poi versò il liquido in una tazza e me la porse.
Io la presi timidamente e me la portai alle labbra.
Bevvi un sorso. Era buonissima, come sempre.
Finii il tutto in men che non si dica, poi posai la tazza, ormai vuota, sul tavolo.
Alzai lo sguardo. Mia madre mi stava guardando. E stava sorridendo.
Michael: "Perchè sorridi?" Le Chiesi.
Mamma: "Hai i baffi di cioccolata" disse cercando di trattenere una risata.
Presi un tovagliolo e mi pulii la bocca, leggermente in imbarazzo.
Mi girai verso mia madre che annuì.
Michael: "Che ore sono?" Chiesi, desideroso di cambiare argomento.
Mamma: "Le 6:00" rispose.
Mancava ancora parecchio tempo, prima che potessi andare a scuola.
Michael: "Mamma? Ti posso chiedere una cosa?"
Mamma: "Dimmi tutto" disse.
Michael: "Ti è mai capitato di... sentirti come se... non sapessi cosa sta succedendo attorno a te?" Chiesi.
Mamma: "Sì... ma ti assicuro, tutto passa. Tu sei un fase di crescita, Michael, poi capirai tutto. Devi solo avrei un po' di pazienza" disse.
Io annuii.
Mamma: "Vuoi chiedermi altro, tesoro?" Chiese.
Michael: "No" risposi.
Lei annuì.
Mamma: "Michael, credo sia meglio che tu vada a prepararti per la scuola" disse.
Michael: "Vado" dissi.
Mi alzai da tavola e andai verso le scale.
Le salii e mi diressi in camera mia.
Aprii l'armadio e presi una giacca arancione, un pantalone nero e una maglietta dello stesso colore.
Con la mano libera afferrai un boxer grigio e le converse nere.
Uscii dalla mia stanza e andai in bagno.
Chiusi la porta a chiave e posai i vestiti sul ripiano accanto al lavandino.
Mi sfilai il pigiama e lo piegai.
Mi guardai allo specchio. I lividi sul torace si stavano ritirando, erano passati dal viola al grigiastro.
Mi sfilai anche i boxer e li buttai nel cesto dei panni da lavare.
Entrai nella doccia e chiusi le porte.
Aprii l'acqua e lasciai che il getto caldo mi investisse. Era sempre un piacere sentire il tepore dell'acqua sulla pelle. Mi faceva sentire... tranquillo.
Iniziai ad insaponarmi, senza fretta. Avevo più di un'ora a disposizione per prepararmi.
Continuai a insaponarmi, facendo fare molta schiuma.
Quando fui soddisfatto, aprii il rubinetto e mi lavai via il sapone.
Aprii le porte della doccia e mi infilai l'accappatoio.
Mi asciugai con cura, poi tolsi l'accappatoio e lo appesi al gancio accanto alla doccia.
Presi i boxer e me li infilai, poi indossai i pantaloni e le scarpe.
Andai verso il mobiletto contenente le varie creme e presi quella per le contusioni.
Me la spalmai sui lividi, massaggiando lentamente.
Una volta che ebbi finito, posai la crema e mi sciacquai le mani.
Presi lo spazzolino, ci misi su del dentifricio e iniziai a spazzolarmi i denti.
Finii di lavarmi e mi sciacquai la bocca.
Sciacquai anche lo spazzolino e lo riposi al suo posto.
Mi infilai la maglietta e, sopra di essa, la giacca.
Uscii dal bagno e andai in camera mia.
Presi lo zainetto e il cellulare e feci per scendere al piano di sotto... poi decisi di mettere quell'anello.
Andai verso il comodino e aprii il cassetto. Presi il sacchettino, lo aprii e feci cadere quel gioiello sul palmo della mano.
Lo infilai e scesi al piano inferiore.
Mia madre era ancora in cucina, affaccendata a preparare la colazione per mio padre.
Guardai l'ora dal telefono. Le 7:50.
Michael: "Io vado, ciao mamma" dissi.
Mamma: "Ma mancano quaranta minuti, sicuro di voler già uscire?" Chiese.
Michael: "Si, me la prendo comoda" dissi.
Le diedi un bacio sulla guancia e andai verso l'ingresso.
Aprii la porta e uscii, chiudendola dietro di me.
L'aria di Londra, quella mattina, era leggermente più calda del solito.
Mi avviai verso la stazione, camminando a passo lento. Avevo tutto il tempo.
Quando arrivai davanti all'ingresso, circa dieci minuti dopo, feci un biglietto e scesi al sottolivello.
Una volta lì, dovetti aspettare qualche istante, poi un treno arrivò e io salii in carrozza.
Trovai un posto libero, così mi sedetti.
Per tutto il tempo che il treno impiegò per arrivare a Holborn, pensai alle parole di mia madre.
"Devi avere pazienza e tutto passerà"
"Già, ma quanto tempo dovrò aspettare?" Mi Chiesi.
Sospirai.
Poi guardai l'anello che avevo al dito. Era davvero bello, eppure continuavo a chiedermi da dove venisse.
Possibile che qualcuno lo avesse messo nel mio zaino apposta? O era stato un caso?
Non lo sapevo. Ma era inutile arrovellarsi su una cosa insignificante come quella.
Il treno arrivò a Holborn, distogliendomi dai miei pensieri.
Scesi dalla carrozza e mi diressi al punto di scambio.
Sulla Piccadilly, un treno stava per partire.
Salii al volo e le porte si chiusero appena dietro di me.
"Per un pelo" Pensai mentre il treno partiva.
Mi appoggiai alla parete, aspettando di arrivare ad Hight Street Kensington.
Dopo circa dieci minuti, arrivai. Scesi dal treno e andai verso le scale che conducevano in superficie.
Le imboccai e, poco dopo, ero di nuovo all'aria aperta.
Attraversai la strada e mi diressi verso il liceo. Avevo poco più di cinque minuti per arrivare.
Camminai molto velocemente e, quasi per miracolo, alle 8:27 ero dentro il cortile della scuola.
Feci vagare lo sguardo sulla fiumana di studenti radunata lì dentro. Erano davvero tanti.
Cercai Lyn.
Quando la vidi, la salutai con la mano. Lei mi sorrise.
Iniziavo davvero a credere che volesse essere mia amica.
All'inizio ero stato un po' restio ad accettare il fatto che volesse cambiare ed essermi amica, come del resto era plausibile, dato che mi aveva trattato male per quattro anni.
Ma adesso era cambiata, o almeno sembrava.
La campanella suonò, distogliendomi dalle mie fantasticherie.
Tutti gli studenti iniziarono a sciamare oltre l'ingresso. Quando quasi tutti furono entrati, avanzai verso il grande portone della scuola.
Entrai e iniziai a salire la rampa di scale che conduceva al piano dove si trovavano le aule delle quinte.
Quando arrivai, mi diressi all'aula di arte, dove Mr Anderson aspettava.
Quel giorno io, Lyn e Welly avremo dovuto consegnare i disegni per il concorso.
Entrai in aula salutando il professore, poi andai a sedermi al mio posto.
Poco dopo, entrò anche Lyn.
Lyn: "posso sedermi?" Chiese indicando il posto accanto al mio.
Michael: "Certo che puoi" le dissi.
Lei sorrise e si sedette di fianco a me.
Qualche minuto dopo, entrarono Dominik e i suoi due tira piedi. Vennero verso me e Lyn.
Dominik: "Oh ciao ballerina. Da quanto non si ci vede" disse con un sorriso acido.
Aprii la bocca per parlare, ma Lyn mi precedette.
Lyn: "Dominik, ora basta! Non ne posso più di te che te la prendi in continuazione con gli altri! Che ti abbiamo fatto?" Urlò.
Dominik: "Ah, adesso ti fai difendere da questa sgualdrina, vero Penniman?" Chiese sadico.
Poi iniziò a ridere.
Michael: "Lyn non è una sgualdrina. È la mia unica amica. Rimangiati tutto" dissi.
Dominik: "Io non mi rimangio un bel niente" disse.
Michael: "Ti conviene, o io..." iniziai.
Dominik: "Oh, che paura che ho! Sentito ragazzi? Penniman è arrabbiato" disse.
Cominciò a sghignazzare, anche abbastanza forte, infatti trovai strano che nessuno gli grasse a guardare.
"Sarà perché non è nulla di nuovo. Vengo sempre preso in giro" mi dissi.
Dominik rise ancora.
Dominik: "Bhe frocetto? Hai smesso di fare lo spavaldo?" Chiese.
Frocetto. Mi aveva chiamato frocetto. Era troppo. Adesso basta. Strinsi i denti... e accadde qualcosa che non sarebbe dovuto succedere.
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Coming In A Dark World||Mikandy
FanficMichael è un ballerino alla "Royal Opera House". Ha 22 anni ed uno spiacevole passato, dal quale fugge attraverso la danza. Si allena strenuamente, dopo la scuola. Ma un giorno, mentre si esercita con gli altri, uno strano tipo si presenta nella s...