Capitolo 18

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La sala operatoria era molto diversa da come la avevo immaginata.
Quando mi avevano annunciato che mi sarei dovuto operare, avevo pensato che l'intervento si sarebbe svolto in un ambiente austero e, in un certo senso, spaventoso.
Quella stanza non era nulla di tutto ciò.
Era una semplice camera, piuttosto grande, dalle pareti verde chiaro. L'ambiente era abbastanza freddo e l'aria era stantia, impregnata dall'odore di disinfettante.
Al centro della sala, posato sul pavimento di linoleum grigio, c'era un letto coperto da teli verde scuro. Accanto ad esso, un piccolo carrello, su cui scintillavano bisturi, aghi, forbici, contenitori di vetro trasparente, sacche di sangue misto ad un liquido giallastro, il plasma.
Deglutii, a disagio.
Non ero psicologicamente pronto ad affrontare una cosa del genere. Probabilmente, anche se l'intervento fosse avvenuto la mattina dopo, non mi sarei sentito pronto. Ma, almeno, avrei avuto tutta la notte per pensare.
Purtroppo, qualcuno lassù aveva deciso di non concedermi nemmeno quel piccolo, misero, insignificante privilegio.
Sentii il tocco di una mano sulla spalla destra.
Mi riscossi di scatto, ancora mezzo intontito a causa della rapidità con cui quelle notizie mi si erano abbattute addosso.
Dietro di me c'era un uomo alto e magro, dal viso spigoloso, solcato da rughe in prossimità degli occhi e della fronte.
Aveva una mascherina sulla bocca ed una cuffia semi trasparente.
Indossava un camice bianco e mi guardava con espressione austera.
"Ed ecco il diavolo" pensai.
???: "É lei il signor Penniman?" Chiese.
Michael: "Sono io" confermai.
???: "Bene. Io sono il dottor Scott, sarò io ad operarla, su richiesta di suo padre" disse.
Annuii leggermente.
Dottor Scott: "Prego, si stenda pure sul lettino operatorio. Cominceremo ad anestetizzarla" ordinò.
Obbedii, dirigendomi a piccoli passi verso il centro della stanza.
Mi sederti sul letto, i muscoli rigidi, stirati fin quasi a dolermi.
Dottor Scott: "Si stenda, signor Penniman" disse "Lei, entri e chiuda la porta, dottoressa" disse alla ragazza che era rimasta ferma davanti alla porta per non so quanto tempo.
Anche lei indossava una cuffia ed una mascherina.
Annuì, facendo quanto richiesto.
Poi si avvicinò ad un piccolo lavandino, situato nell'angolo destro della stanza.
Prese una bottiglietta contenente uno strano liquido rosa e se lo passò sulle mani. La sciacquò abbondantemente, poi venne verso il lettino, dove io ero ancora seduto.
???: "Salve, signor Penniman. Io sono la dottoressa Jade Clarke. Assisterò il dottor Scott durante l'intervento" disse.
Io annuii.
Dottor Scott: "Bene. Adesso lo anestetizzi" ordinò alla donna.
Lei annuì.
Dottoressa Clarke: "Si tolga la maglietta e me la dia" disse.
Feci quanto ordinava.
Poi mi steso sul letto, cercando di non pensare a quello che sarebbe successo di lì a poco.
La dottoressa fece cenno di si con il capo, infilando dei guanti blu. Poi prese una siringa dal carrello vicino al letto. Con l'altra mano, prese una fiala contenente del liquido trasparente.
Riempì la siringa.
Dottoressa Clarke: "Stringa la mano in un pugno, così" disse mimando il gesto.
Feci quanto chiedeva.
Qualche secondo dopo, l'ago sottile penetrò nella mia pelle, infliggendomi una piccola scossa di dolore.
Poi, come era iniziato, il dolore finì.
La dottoressa ritrasse la siringa, riponendola sul carrellino.
Dottoressa Clarke: "Bene, signor Penniman, tra poco l'anestesia farà effetto. Le ho iniettato una dose abbastanza consistente di sonnifero misto ad anestetizzante, così da velocizzare il processo" spiegò.
Io annuii.
Alzai lo sguardo verso di lei, ma dovetti strabuzzare gli occhi più volte per mettere a fuoco il suo viso.
Michael: "Sa una cosa, dottoressa? Ho sempre tenuto che arrivasse un giorno del genere. Un giorno in cui qualcuno decidesse di punirmi a causa della mia omosessualità e del mio essere vigliacco, sempre impaurito... quel giorno... Mi aspettavo, di peggio, sa?" Dissi.
Ma nell'esatto momento in cui quelle parole uscirono dalle mie labbra, me ne pentii.
Perché stavo dicendo quelle cose, ad uno sconosciuto per di più?
Forse era uno sfogo.
Forse era la paura.
Forse...
Non riuscii più ad articolare pensieri di senso compiuto.
Mi sentivo la testa pesante, come di piombo, i miei occhi erano come di vetro: non distinguevano quasi più nulla.
Con le ultime energie, girai la testa verso la grande finestra di vetro trasparente che permetteva di assistere all'intervento.
Al di là di essa, le braccia incrociate al petto, lo sguardo fisso su di me, Andreas se ne stava ritto, come se fosse stato fatto di granito.
Quando sentì il mio sguardo su di sé, alzò gli occhi sul mio viso. Mi sorrise incoraggiante... ma sapevo che, in quel momento, aveva paura quanto me.
Poi abbassai le palpebre, lasciandomi scivolare verso l'oblio...

Coming In A Dark World||MikandyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora