Capitolo 22

697 47 23
                                    

Erano le due di notte passate quando arrivai di fronte la porta di casa mia.
Sentivo il cuore che mi batteva nel petto, unico suono in quella notte silenziosa.
Avevo il fiato corto e le mani sudate.
A piccoli passi, salii i gradini che separavano l'ingresso dal marciapiede.
Una volta davanti alla pesante tavola di legno e ferro, esitai.
Mi avrebbero ascoltato? O si sarebbero arrabbiati? Era giusto dirgli degli avvenimenti di quelle sera? O avrei dovuto tenere il segreto?
Mille domande mi affollavano la mente, ed io non ero capace di dare una risposta.
"Andreas saprebbe cosa dire..." Pensai.
Scacciai quel pensiero con forza. Non potevo permettere che il ricordo di Andreas mi assalire ogni qual volta avevo dei dubbi.
Poi, animato da un misto di rabbia e disperazione, bussai alla porta.
*toc* *toc* *toc*
Il rumore delle mie nocche sulla superficie dura fendette l'aria come uno sparo di cannone.
Udii dei rapidi passi provenire da dentro casa.
Mamma: "Chi è?" Chiese la voce tremante di mia madre da dietro la porta.
Michael: "Mamma sono io, Michael. Apri per favore" dissi.
Sentii la serratura che scattava, la chiave che girava nella toppa e la maniglia che si abbassava.
Poi ci fu un attimo di silenzio.
La porta si spalancò, rivelando la figura di mia madre.
Indossava una vestaglia blu scuro e ai piedi portava delle pantofole da casa dello stesso colore.
Non appena mi vide, cercò di mantenere un'espressione austera, ma sotto di essa potevo benissimo scorgere il viso di una donna preoccupata per il proprio figlio.
Mamma: "E bene? Cosa significa tutto ciò? Prima esci di casa senza dirmi nulla e poi rincasi a mezzanotte passata! Cosa hai fatto per tutto questo tempo? Perché non hai risposto alle mie telefonate?" Chiese stizzita.
Non risposi.
Ero combattuto, perché non sapevo se dirle di Blair o della sbronza, o di entrambi o di nessuno dei due.
Abbassai gli occhi, guardandomi le punte dei piedi, a disagio.
Mia madre portò una mano sotto il mio mento, facendomi alzare la testa.
Mamma: "Ho fatto una domanda. Gradirei una risposta. O sei troppo occupato ad andare in giro per Londra, fottendotene ampiamente dei tuoi poveri genitori?!" Chiese ancora.
Per la seconda volta, rimasi in silenzio.
Mamma: "Michael. Rispondimi. È un ordine!" Esclamò.
Ancora una volta, restai in silenzio, soppesando le parole che avrei dovuto usare per spiegare tutto.
Mi aspettai che mia madre dicesse altro. Che mi rimproverasse o che almeno mi guardasse con astio... invece mi diede uno schiaffo.
Non era molto forte, né faceva male.
Ma il gesto di per sé, quello mi aveva ferito.
Mia madre non aveva mai alzato le mani su me o i miei fratelli, e quello era in assoluto il primo schiaffo che avessi mai avuto.
Abbassai nuovamente lo sguardo.
Michael: "Scusa" sussurrai.
Mamma: "Cosa?!" Chiese a metà tra la sorpresa e la rabbia.
Michael: "Scusa. È colpa mia se adesso siamo a questo punto. Mi dispiace" sussurrai ancora.
Mia madre si portò una mano alla bocca, coprendola.
Dopo pochi secondi, iniziò a piangere.
I singhiozzi la scuotevano come se fosse una bambola, facendola sembrare fragile e indifesa.
Mamma: "Michael... Michael... tesoro..." disse tra i singhiozzi.
Le passai un braccio attorno alle spalle, cercando di tranquillizzarla.
Poi la condussi oltre la soglia, chiudendo la porta alle nostre spalle.
Mamma: "Tesoro... io..." cercò di dire.
Michael: "Shh... va tutto bene mamma. Sono a casa e ti prometto che non scapperò mai più così... ma adesso vieni, andiamo in salotto. Devo raccontare delle cose a te e papà" sussurrai abbracciandola.
Lei annuì, asciugandosi le lacrime.
Mi prese per mano, ed insieme ci dirigemmo in salotto.
Mia madre varcò la soglia, seguita immediatamente da me.
Non appena misi piede nella stanza, però, ciò che vidi mi lasciò stupito.
Seduto sulla poltrona al centro della stanza, mio padre mi osservava con occhi illuminati da una strana luce.
Nella mano destra reggeva un sigaro svizzero, mentre l'altra era appoggiata sul ventre piatto.
Si portò il sigaro alle labbra e prese una grande boccata di fumo.
Espirò, abbassando il sigaro.
Papà: "Ebbene? Ti sembra l'ora adatta per rincasare, giovanotto?" Chiese spazientito.
Michael: "Papà, io..." provai a dire.
Papà: "Tu cosa, Michael? Cosa?" Chiese.
Adesso io suo tono era perentorio e piccole rughe si erano formate agli angoli della sua bocca, tendendo la pelle sulla mascella contratta.
Michael: "Lasciami parlare e ti spiegherò tutto, papà" dissi con voce tremante.
L'uomo sulla poltrona mi squadrò con occhi di fuoco.
Mio padre sbuffò, prendendo un'altra boccata di fumo.
Papà: "D'accordo" disse in tono neutro, riacquistando il suo ancestrale controllo.
Mamma: "Vieni tesoro, siediti sul divano" disse indicando con lo sguardo un posto accanto a lei.
Feci come diceva.
Quando fui seduto, sentii lo sguardo di ghiaccio di mio padre su tutto il corpo.
Mi sentii nudo sotto i suoi occhi, mentre brividi di terrore mi correvano su per la schiena, dilatandosi in tutto il corpo.
Fui scosso da un sussulto.
Mamma: "Michael? Vuoi raccontarci... quello che devi?" Chiese distogliendomi dai miei pensieri.
Michael: "Oh... ehm... si, certo" dissi.
Lo sguardo di mio padre si fece più insistente.
Michael: "Bhe... ecco..." preso un respiro "Allora" dissi in un impeto di coraggio "È iniziato tutto il giorno in cui sono finito in ospedale. Quando mi sono risvegliato, ho trovato Andreas accanto a me. Mi ha detto che andava tutto bene, che non ero in condizioni troppo gravi, secondo i medici" presi una pausa "Ma la situazione è degenerata, come ben sapete. Quando ho saputo che mi sarei dovuto operare, sono stato preda di terribili incubi. La notte mi svegliavo urlando, spaventato. Andreas si stendeva accanto a me, aspettando che mi addormentassi di nuovo" Sospirai, ripensando a quelle notti "Poi, una mattina... Andreas... Lui... mi... ha baciato" dissi "Si, mi ha baciato, avete capito bene. Ha premuto le sue labbra sulle mie, facendomi provare sensazioni sconosciute. Mi ha fatto stare... bene. Mi ha fatto dimenticare il resto del mondo, anche se solo per poco. Mi sembrava che tutte le cose negative fossero sparite. L'ospedale, la malattia, i bulli, la dislessia. Tutto era stato chiuso in una scatola di vetro" Sospirai "Poi, però, le pareti di quella scatola si sono sgretolate. Subito dopo l'intervento, io e Andreas abbiamo avuto una discussione piuttosto... animata. È iniziato tutto dal fatto che non avessi voglia di mangiare. Ero molto provato per via dell'operazione, e anche solo il fatto che mi avesse contraddetto ha provocato in me una reazione inattesa, di cui io stesso sono rimasto colpito... E spaventato" una lacrima mi solcò il viso, ma continuai a raccontare "Mi sono comportato come un perfetto idiota... ho fatto scappare via l'unico che abbia veramente ricambiato i miei sentimenti. E perché? Perché sono troppo presuntuoso per accettare un aiuto. Perché sono troppo egoista ed infantile. Perché sono io. Ed io sbaglio tutto. Sempre e comunque" emisi un piccolo sbuffo "E... Ed è per questo che ho ricominciato a tagliarmi... Ed è per questo che stasera... sono uscito così, senza dire nulla. Sono andato ad ubriacarmi. E poi... poi ho fatto sesso con una puttana" buttai fuori le ultime parole come se fossero un macigno che mi opprimeva il petto.
Dopo averle pronunciate, sentii le lacrime rigarmi il volto con più insistenza.
Subito, mi portai una mano al viso, cercando di asciugarle, ma senza successo: quelle che portavo via, venivano rimpiazzate da altre, e poi altre e altre ancora.
Nel frattempo, mia madre era rimasta ad ascoltarmi in silenzio. Si era portata una mano sulla bocca quando le avevo detto di Blair e della sbronza, ma non aveva fiatato.
Mio padre, dal canto suo, mi osservava con espressione indecifrabile.
Neppure i suoi occhi fornivano un indizio su quanto stesse provando.
Delusione? Tristezza? Rabbia? Tutte quante? O nessuna di esse?
Affondai il viso tra le mani e le lacrime mi bagnarono i polsini della giacca.
Ad un tratto sentii una mano che mi accarezzava la schiena.
Alzai poco gli occhi, in modo da poter vedere mia madre che sorrideva tra le lacrime.
Mamma: "Perchè... perché non ci hai detto nulla? Non ti fidi di noi?" Chiese con voce tremante.
Michael: "Io... non lo so. Avete tutto il diritto di essere arrabbiati con me, è legittimo... ma vi prego, non addossatevi la colpa di un mio errore. É stata una mia scelta, e adesso ne pago le conseguenze... anche se questo significa dover annegare nel sangue tutti i miei dolori" dissi.
Mamma: "Michael... io... noi non ti permetteremo di buttare via la tua vita così, é chiaro signorino? Sarai anche stato tu a commettere degli errori, non lo nego. Ma noi siamo i tuoi genitori, e tu sei nostro figlio. È nostre dovere aiutarti. Sempre" spiegò con gli occhi ancora velati di lacrime.
Io annuii piano, soppesando l'importanza di quelle parole.
Mi girai verso mio padre.
Michael: "Papà?" Lo chiamai "Pensi che riuscirai a perdonarmi?" Chiese con voce tremante.
Papà: "Alzati in piedi" disse.
Io obbedii, mettendomi ritto al centro tra il divano e le poltrone.
Dopo pochi istanti, anche il mio genitore si alzò.
Posò il sigaro sul piccolo tavolino, avvicinandosi a me.
Quando arrivò a pochi centimetri di distanza, notai la differenza d'altezza.
Lo sovrastavo di una testa e mezza buona, ma quell'uomo mi incuteva più timore di quanto avrebbe potuto una bestia selvaggia.
Mio padre alzò una mano, tanto che temetti stesse per darmi uno schiaffo... invece questa andò a posarsi sulla mia spalla, stringendola.
Mio padre fissò il suo sguardo nel mio.
Papà: "Figliolo, come ha detto tua madre, noi siamo la tua famiglia e faremo di tutto per aiutarti. Ma per permetterci di fare ciò, è necessario che tu ci dica cosa non va, dato che noi non possiamo prevedere il futuro, ne tanto meno capire cosa passa per la tua testa" disse "E... sappi che ti vogliamo bene" terminò.
Strinse nuovamente la presa sulla mia spalla, per poi tornare a sedersi e riprendere a fumare con calma.
Io tornai a sedermi vicino a mia madre.
Mamma: "Michael? Tu ed Andreas siete mai..?" Lasciò in sospeso la ultime parole.
Michael: "Andati a letto insieme? No. E ne sono felice" dissi con voce tremante "Lui mi... mi ha... spezzato il cuore a metà... è un bene che io non sia spinto a tanto, con lui" conclusi.
In quello stesso istante, sentii le lacrime che iniziavano a scendere di nuovo sul mio viso.
Il solo ricordo di Andreas bastava a spiazzarmi, a ridurmi in uno stato pietoso, abbattendo tutte le barriere che avevo eretto attorno a me.
Il solo pensare alle sua labbra sulle mie mi faceva rabbrividire.
Il pensiero delle sue mani sul mio corpo mi faceva venire le lacrime agli occhi, perché solo lui era stato capace di farmi emozionare davvero, anche se non eravamo andati oltre semplici baci.
"Ma io avrei voluto di più..." Pensai sconsolato.
E quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Le lacrime che erano andate scemando d'intensità avevano ripreso a scorrere su di me ancora più insistenti,
Mi presi la testa tra le mani, tirando i capelli in un vano tentativo di riacquistare la lucidità.
Non ce la feci, ed in breve il mio corpo iniziò ad essere scosso da violenti sussulti, accompagnati da singhiozzi e lacrime.
Nel frattempo, mia madre aveva posato una mano sulla mia spalla, cercando di rincuorarmi.
Mamma: "Michael, tesoro, calmati. Va tutto bene. Andreas non ti meritava se ti ha trattato in quel modo..." provò a dire.
"Già, forse è così..." tentai di convincermi.
Ma per quanto potessi prendere in giro gli altri, con me stesso non era altrettanto facile.
Michael: "O forse ero io a non meritare lui" dissi alzando lo sguardo.
Poi scatti in piedi e andai verso la scale, asciugandomi le lacrime con un gesto rabbioso.
Salii i gradini due alla volta, ansioso di arrivare alla mia camera.
Potevo sentire la voce di mia madre che chiamava il mio nome.
Potevo sentire il tono imperioso di mio padre che chiedeva cosa stesse succedendo.
Ma potevo sentire anche il rumore del mio cuore che si spezzava di nuovo sotto il peso delle parole di mia madre.
Spalancai la porta del bagno ed entrai nella piccola stanza, richiudendola.
Girai la chiave nella toppa e mi lasciai scivolare lungo il legno scuro, finché non fui seduto sul pavimento.
Di nuovo, incominciai a piangere.
E mi sentii debole.
Era da tanto che non mi capitava, da quando Andreas mi aveva baciato la prima volta.
Mi morsi il labbro fino a farlo sanguinare per cercare di contenere le lacrime.
Non so se dopo ore, minuti o secondi, ma mi alzai da terra.
Un senso di stanchezza mi era calato addosso come una cappa scura, lasciandomi intontito.
Dovetti sorreggermi al lavandino per evitare di cadere.
Una volta che ebbi acquistato definitivamente la posizione eretta, iniziai a sbottonarmi la giacca, gettandola nel cesto dei panni sporchi, seguita da camicia e pantaloni.
Rimasto in boxer, lanciai un'occhiata al mio riflesso.
Stavo peggio di quando ero uscito, o almeno era questa la sensazione che avevo, ma forse derivava solo dal fatto che sapevo di aver agito senza un codice morale quando mi ero sbronzato e quando ero andato a letto con Blair.
Mi toccai l'addome.
Dove prima c'era pelle morbida coperta da una sottile peluria, adesso si potevano toccare le costole, sentire il duro dell'osso sotto i polpastrelli.
Le braccia avevano un aspetto raccapricciante, coperte di sangue rappreso dalla spalla al polso.
Anche su di esse, le ossa erano ben visibili.
E questo significava solo una cosa: anoressia.
"Forse il mio aspetto esteriore riflette solo ciò che provo: il mio cuore spezzato è chiuso in un corpo spezzato" Pensai tristemente.
Scossi leggermente il capo, liberandomi dal trance che mi aveva posseduto mentre studiavo il mio corpo martoriato.
Presi un respiro profondo, cercando di fermare il tremore dovuto al pianto.
Cercai perfino di sorridere, ma tutto quello che ottenni fu un ghigno orrendo, che nemmeno le fossette e i denti sporgenti riuscivano a rendere bello.
Stanco di quello spettacolo raccapricciante, decisi di infilarmi sotto la doccia.
Mi sfilai i boxer e li misi nel cesto, poi mi infilai nella cabina e chiusi le porte.
Aprii l'acqua ed attesi qualche secondo perché si riscaldasse.
Poi mi posizionai sotto il getto caldo, lasciando che l'acqua accarezzasse ogni centimetro del mio corpo sfinito.
Mi insaponai lentamente con un sapone all'aroma floreale e feci anche uno shampoo.
Rimasi sotto l'acqua, immobile, crogiolandomi nella piacevole sensazione di calore che essa trasmetteva alla mia pelle e ai miei muscoli tesi.
Mentre il getto bollente mi investiva, mi ritrovai a pensare.
Pensavo alla mia vita, a come per tutti quegli anni fossi vissuto nella più completa depressione e apatia.
Pensavo all'effetto che la danza aveva avuto sulla mia intera esistenza, a come l'aveva resa migliore.
Pensavo a tutte le persone che mi avevano cambiato, in meglio o in peggio, contribuendo a farmi diventare il Michael Penniman che ero.
E... pensavo ad Andreas.
"Lui si che mi ha cambiato..." Pensai.
Ed era vero: Andreas mi aveva insegnato che non bisogna mai fidarsi di nessuno.
Perché l'uomo e un animale egoista, che pensa solo a sè stesso.
Ed Andreas ne era la prova, assieme a tutte le altre persone che conoscevo, me compreso.
Io stesso mi consideravo egoista ed egocentrico.
Sospirai, ed un po' di acqua mi entrò in bocca.
Tossii.
Rimasi per qualche altro secondo sotto l'acqua, poi chiusi il getto ed uscii dalla doccia, contornato da una nuvola di vapore bollente.
Mi avvolsi nell'accappatoio e strinsi la cintura, poi mi asciugai i piedi e mi misi di fronte allo specchio.
Presi l'asciugacapelli e iniziai ad asciugare i capelli bagnati, provando a dargli una forma con le mani via via che si arricciavano.
Quando i capelli furono asciutti, presi lo spazzolino e mi lavai i denti.
Stringendomi nell'accappatoio, uscii dal bagno e mi diressi nella mia stanza.
Entrai e chiusi la porta.
Presi dei boxer puliti ed un pigiama con maglietta rosso scuro e pantaloni a quadretti neri e bianchi.
Mi vestii, poi andai a posare l'accappatoio.
Mi diressi verso le scale e le seguii fino in fondo.
Quando arrivai in salotto, mia madre e mio padre erano ancora svegli.
Michael: "Mamma, papà... vi devo delle scuse, mi sono comportato malissimo" dissi d'un fiato.
Mamma: "Adesso va tutto bene, tesoro" disse lei con un sorriso.
Papà: "Tranquillo, figliolo, per sta volta sei perdonato" disse.
Aveva finito di fumare il suo sigaro, di cui restavano solo poche ceneri.
Sorrisi leggermente.
Michael: "Grazie, siete dei genitori fantastici. Adesso vado a dormire, buonanotte" dissi.
In realtà non avevo sonno, ma avevo voglia di stare un po' da solo a rimuginare.
Evidentemente, mia madre se ne accorse, perché mentre stavo per imboccare le scale mi chiamò.
Mamma: "Michael? Tesoro, hai una brutta cera e nell'ultimo periodo sei dimagrito molto. Resta qui, ti preparo qualcosa da mangiare" disse.
Michael: "No mamma, non è necessario..." provai a dire.
Papà: "Michael, non contraddire tua madre. Siediti e mangia qualcosa" disse perentorio.
Io annuii, rassegnato.
Anche se, essendo molto che non mangiavo, avevo una certa fame.
Michael: "Va bene, mamma, tanto sono quasi le 5:00 di mattina, dovrei comunque alzarmi per fare colazione" dissi.
Lei sorrise, poi andò in cucina, mettendosi ai fornelli.
Mentre aspettavo, presi una tovaglia e iniziai ad apparecchiare la tavola, mettendo ad ogni posto un tovagliolo piegato a forma di ninfea.
Poi andai a sedermi sul divano, guardando mio padre.
Stava seduto con la schiena appoggiata ad un cuscino e aveva un libro in mano.
Michael: "Cosa stai leggendo, papà?" Chiesi curioso.
Papà: "Si intitola 'Se Questo È Un Uomo' e l'autore di chiama Primo Levi" rispose senza staccare gli occhi dal volume.
Io annuii.
Quanto mi sarebbe piaciuto poter leggere anche una sola delle parole scritte in quei tomi.
Sospirai piano.
"Maledetta dislessia" pensai per la milionesima volta.
Il fiume dei miei pensieri fu interrotto dal rumore di piatti che venivano posati sul tavolo del salotto.
Mamma: "A tavola" disse allegra.
"È sempre stato così. Cucinare la mette di buon umore" pensai.
Poi mi alzai dal divano, andandomi a sedere al tavolo.
Mi ritrovai davanti un piatto pieno di biscotti e dolcetti ed una tazza di cioccolata calda alla cannella.
Aspettai che i miei genitori si fossero seduti, poi iniziai a piluccare qualcosa.
Prima bevvi un sorso di cioccolata, accompagnandola ad un muffin al cioccolato e uno spicchio di mela verde.
Mangiai anche un biscotto alle mandorle.
Poi la stanchezza iniziò a farsi sentire.
Guardai l'orologio digitale appeso nel salotto. Segnava le 5:55.
Michael: "Mamma, papà, vi dispiace se adesso vado a dormire? Sono stanco morto" dissi.
Loro annuirono.
Mi alzai da tavola, portando il piatto e la tazza in cucina.
Poi salii le scale che conducevano al piano di sopra, lentamente.
Una volta arrivato in camera mia, mi steso sul letto e mi avvolsi tra le coperte.
Cullato dal tepore che queste trasmettevano al mio corpo, chiusi gli occhi e scivolai in un sonno tranquillo.
Per la prima volta, il peso del silenzio non gravava sulla mia coscienza.
Ero libero, almeno per adesso...








Coming In A Dark World||MikandyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora