Michael: "Ecco a te" dissi porgendole i soldi che le spettavano.
Blair: "Grazie. Fatti vivo, qualche volta, mi sono divertita" disse lei rinfilandosi il reggiseno.
Io annuii distrattamente, continuando ad abbottonarmi la camicia. Sotto di essa avevo solo dei boxer.
Infilai scarpe e pantaloni, poi afferrai la giacca, che avevo buttato sul pavimento, e me la misi sulle spalle.
Agguantai il cappotto e salutando Blair, che era ancora mezza nuda, uscii dalla stanza da letto.
Mentre scendevo gli scalini, non potei non pensare a quanto avevo appena finito di fare. Avevo fatto sesso con una prostituta.
Dire che non mi era piaciuto sarebbe stata una bugia. Ma non era così che me lo aspettavo.
Potevo sentire che la donna sotto di me non mi amava, come io non amavo lei, del resto. Era solo una puttana, che andava a letto con sconosciuti per soldi o piacere personale, non certo per amore.
Il punto era che dopo essere stato a letto con una puttana, mi sentivo sporco, come se avessi fatto il bagno in una melma appiccicosa.
E la stessa cosa era successa con Blair, quella notte stessa.
Non era la prima volta che sperimentavo quella sensazione.
Anche se la prima volta che ero andato a letto con qualcuna avevo 17 anni, stavo ancora aspettando la mia vera prima volta.
Perché, a differenza di molti miei coetanei, non avevo ancora trovato la mia anima gemella.
Sospirai.
Come avrei mai potuto io, Michael Penniman, pensare di trovare qualcuno che volesse sul serio stare con me?
La recente "relazione" e il seguente litigio con Andreas erano le prove tangibili che nessuno mi avrebbe mai accettato per quello che ero. Ed il punto era che chiunque mi desse l'impressione di averlo fatto era un bugiardo, che fingeva per i suoi fini.
Ma con Andreas era stato diverso.
Le sue menzogne non mi avevano fatto arrabbiare, ma mi avevano deluso nel profondo.
Io mi aspettavo molto da lui, forse troppo.
Volevo ricambiasse il mio amore, mi accettasse per davvero, fosse pronto a tutto pur di stare con me, così come avevo fatto io.
Purtroppo, lui era stato l'ennesimo tassello di un puzzle costruito sulla bugia e sul piacere tratto dal veder soffrire gli altri.
Mi portai le mani tra i capelli, tirando i riccioli.
Ricacciai dietro le lacrime che minacciavano di uscire da un momento all'altro, iniziando a rigare il mio viso.
E questo perché? Perché mi ero innamorato della persona sbagliata.
No, non volevo che il solo ricordo di Andreas provocasse in me quelle emozioni... E allora perché stavo lasciando che lo facesse? Perché mi stavo lasciando risucchiare dal vortice del rimpianto di non aver fatto abbastanza?
Strinsi gli occhi, mentre una piccola, solitaria lacrima mi scendeva sulla guancia, fino al colletto della camicia.
Sbuffai.
Stavo piangendo di nuovo per Andreas.
Era la milionesima volta, in quei giorni.
La consapevolezza che lui non fosse più con me aveva iniziato a consumarmi, tanto che non sapevo fino a che punto avrei resistito.
E nemmeno me ne importava.
Con quei pensieri, arrivai in fondo alla rampa di scale, entrando nella sala principale, dove circa un'ora prima mi ero ubriacato.
Andai verso il bancone e pagai per tutti gli alcolici che avevo mandato giù, poi mi infilai il cappotto e mi avvicinai alla grande porta di metallo.
La spinsi leggermente, uscendo nella notte.
Knightbridge era inquietante, a quell'ora, illuminata solo dalla luce fioca dei lampioni. Da alcuni locali provenivano delle risate, da altri urla.
Dalla finestra di una casa proveniva un russare sommesso. A passo svelto procedetti verso l'entrata della metro. Non sarei tornato a casa ancora per molto, anche se questo significava far morire di crepacuore mia madre, che da quando ero uscito aveva telefonato già tre volte. Sfortunatamente per lei, non le avevo risposto, né lo avrei fatto se avesse chiamato ancora. Per la prima volta, non mi importava che qualcuno si preoccupasse per me. La cosa mi faceva uno strano effetto, ma, d'altronde, cosa non me lo faceva negli ultimi tempi? E cosa era davvero normale, nell'ultimo periodo? Nulla. Scacciai quei pensieri con un gesto infastidito della mano. Non avevo tempo per quelle cose, non quella notte. Continuai a camminare in direzione della stazione, evitando in tutti i modi che il mio sguardo incrociasse quello di altri uomini per strada, che erano probabilmente più sbronzi di me, e quindi anche meno raccomandabili... -Infine, dopo minuti che mi sembrarono un'eternità, giunsi alla mia destinazione. Varcai la porta della stazione, quasi deserta vista l'ora tarda, e passai un biglietto nell'obliteratrice. Scesi le scale che conducevano al sottolivello senza fretta: avevo tutto il tempo, perché il luogo dove ero diretto era aperto fino a tardi. La Royal Opera House rimaneva aperta fino alle 3:00 di notte, in modo che i ballerini potessero fare anche allenamenti notturni. Fortunatamente, quasi nessuno era così folle da andare in giro per Londra a quell'ora. Nessuno tranne me. Avevo un gran bisogno di sfogarmi, e forse la danza sarebbe venuta in mio soccorso ancora una volta.
Sorrisi tristemente.
La danza.
La danza era l'unica cosa su cui potevo sempre contare, l'unica cosa che avrebbe sempre fatto parte di me, l'unica cosa che mi sarebbe stata accanto nei momenti difficili come questo.
La danza per me era molto più di un modo per tenersi in forma.
La danza era espressione, arte, passione.
La danza era perfezione.
Ed io ero felice che mi avesse accolto tra le sue braccia, come si fa con i bambini.
"Come faceva Andreas..." pensai, nuovamente scoraggiato.
Strinsi gli occhi, ricacciando indietro le lacrime per l'ennesima volta.
Andreas.
Il suono del suo nome era come mille coltelli che mi trafiggevano il petto, come un colpo di pistola dritto al cuore.
Il ricordo delle sue mani sul mio corpo adesso era simile alla carezza della lametta che usavo per tagliarmi.
La sua voce era come il cozzare di spada contro spada, acciaio che colpisce acciaio.
La mia mente era divisa tra il ricordo di una Andreas terribile, come uomo che mi aveva fatto soffrire, e una Andreas dolce, affettuoso.
L'Andreas di cui mi ero innamorato.
Il flusso dei miei pensieri di interrotto da un suono stridulo, fastidioso.
Il rumore del treno che entra in stazione.
Mi riscossi scuotendo il capo, come per scacciare un brivido.
Poi udii un cigolio e le porte del treno si aprirono. La carrozza era quasi vuota, e mi sarei spaventato se fosse stato il contrario, dato l'orario.
Andai a sedermi ad uno dei posti, appoggiando le testa al finestrino. Per quanto la sbronza stesse passando, le tempie mi pulsavano dolorosamente, e non solo a causa dell'alcol.
Mi sentivo in colpa per essere andato a letto con Blair, come se avessi tradito Andreas.
"Michael, piantala di pensare a lui! Ti ha solo usato! Hai 22 anni e se vuoi andare a puttane sei libero di farlo senza sentirti in colpa. Se Andreas ti avesse amato sul serio, non ti avrebbe lasciato. È giusto che tu voglia sfogarti dopo come ti ha trattato, e se il sesso può aiutarti, che ben venga. Ci sono persone pronte a soddisfarti" mi dissi mentalmente.
Era tutto vero, dopotutto.
Ma allora perché mi sentivo uno stupido? Perché mi sentivo uno sporco traditore? Forse perché una parte di me amava ancora Andreas. O forse perché avevo infranto le regole etiche e morali che mi ero dato negli anni passati. O forse per entrambe, chi può dirlo?
"Già, chi può dirlo?" Mi domandai.
Abbassai la testa, posandola tra le mani.
Cosa avevo fatto per meritarmi tutto quello?
Di quale crimine indescrivibile mi ero macchiato?
Non lo sapevo e forse mai lo avrei saputo.
I miei pensieri scorrevano come un fiume in piena, impossibili da arginare, cullati dall'oscillazione del treno.
Oscillazione che si interruppe poco dopo.
Per fortuna, alzai gli occhi appena in tempo per riconoscere la stazione alla quale mi trovavo. Il punto di scambio.
Scesi dal treno e mi diressi ad un altro binario, dove di li a poco sarebbe passato un altro treno che mi avrebbe portato a Covent Garden, e quindi alla Royal.
Mi appoggiai con la schiena contro il muro rivestito di linoleum nero e blu, incrociando le braccia al petto e cercando di non piangere.
Dopo pochi istanti, un treno arrivò in stazione.
Ci salii e mi sedetti in un posto vuoto.
Accavallai le gambe, poi, con un fischio, le porte si chiusero ed il veicolo partì.
Appoggiai la testa al vetro, guardando il basso soffitto della carrozza: un piano di linoleum nero con una scritta blu che non riuscivo a leggere.
"Maledetta dislessia!" Pensai distrattamente.
Per un po' ero quasi riuscito a dimenticare di avere quel disturbo, perché Andreas mi ripeteva che ero bellissimo così come ero.
Ed io, da bravo sciocco, ci avevo creduto.
Mi maledetti mentalmente anche per quello.
Nel frattempo, il treno si era già fermato tre volte.
La prossima sarebbe stata la mia fermata.
Mi alzai in piedi e, senza fretta, andai vicino ad una delle porte, reggendomi al sostegno.
Dopo pochi secondi, il treno cominciò a rallentare la sua corsa, finché non si fermò.
Covent Garden. Ero arrivato.
Salii le scale e nel giro di pochi istanti mi ritrovai in superficie.
Inspirai l'aria fresca della notte, che quasi mi bruciò i polmoni.
Era diversa rispetto all'aria che si respirava durante la giornata.
Era un'aria più... pulita.
Speravo che danzare mi avrebbe aiutato ad essere puro come quest'ultima, dopo la notte passata a compiere azioni disdicevoli.
Per un attimo, il ricordo di Blair nuda sotto di me mi assalì.
Non era per nulla una memoria piacevole.
Scossi la testa, pregando che quel ricordo abbandonasse la mia mente già tartassata dei sensi di colpa. Chiusi gli occhi, per poi riaprirli l'istante dopo, nuovamente lucido. Presi a camminare in direzione della Royal Opera House, ansioso di cambiarmi e iniziare a danzare.
Dopo tutte le emozioni forti di quel periodo, avevo un gran bisogno di riprendere a fare una delle poche cose che mi riusciva bene: volteggiare sulle note di una musica classica, una di quelle melodie senza età, composte dai più grandi musicisti di ogni tempo, sulle quali già molti ballerini famosi avevano danzato prima di me.
Dopo dieci minuti passati camminando a passo svelto, giunsi in vista del profilo del grande teatro.
L'edificio si ergeva imponente al centro della piazza, illuminato dalla luce spettrale dei lampioni che costellavano la strada come tante stelle, lasciando che la loro luce si infrangesse sui muri chiari degli edifici lì intorno.
Dopo pochi altri passi, mi ritrovai fuori il grande portone del teatro. Bussai al citofono e una voce gioviale mi rispose, aprendo la porta così da farmi entrare.
Appena varcai la soglia, un brivido mi percorse la schiena, provocandomi piacevoli brividi per tutto il corpo.
Quasi inconsciamente, lasciai che un piccolo sorriso soddisfatto affiorasse sulle mie labbra, che da troppo tempo ormai non assumevano quella piega che mi aveva caratterizzato per tutti gli anni della mia infanzia, andando scemando nell'adolescenza, fin quasi a scomparire nell'età adulta. Ed era un vero peccato, perché un sorriso, a volte, può essere ragione di vita o di morte, può rendere una giornata di pioggia più bella di qualsiasi pomeriggio estivo, rendere felice qualcuno, oltre che sé stessi.
Dopo qualche secondo passato nell'atrio a meditare, girai verso sinistra e percorsi i due corridoi che conducevano alla sala allenamenti.
Una volta arrivato, mi diressi allo spogliatoio, dove aprii il mio armadietto digitando il codice numerico. Quando la piccola porta fu spalancata, tirai fuori la mia tenta di riserva, costituita da una calzamaglia rosso brillante e una maglietta a maniche lunghe grigia, oltre che un paio di scarpette blu scuro. Mi diressi verso i bagni, mi infilai in uno di essi e iniziai a cambiarmi.
Dopo aver infilato la tenuta da allenamento, uscii fuori dallo spogliatoio, portando con me i vestiti con cui ero arrivato, perfettamente piegati.
Li riposi nell'armadietto assieme al cellulare, ma non prima di aver visto le altre sei chiamate perse da parte di mia madre.
Irritato da questa scoperta, spensi il telefono, posandolo tra i vestiti.
Chiusi la porticina, assicurandomi che fosse bloccata, e mi diressi nel luogo che preferivo: la sala allenamenti.
Nelle tre settimane in cui non ero riuscito ad presenziare gli allenamenti, erano stati apportati dei piccoli cambiamenti. Le pareti erano state verniciate e lo stereo e le casse erano stati spostati in un angolo. Il parquet era stato lucidato dai milioni di passi che i miei compagni di corso vi avevano lasciato durante le esercitazioni passate. Sorrisi.
Quel posto suscitava in me una valanga di emozioni contrastanti tra loro: felicità, commozione, gioia, tristezza... tutto questo si fondeva dentro di me, creando combinazioni esplosive, magiche, simili a quelle che avvertivo quando danzavo.
Senza pensarci due volte, mi diressi verso lo stereo con passo felpato.
Cercai tra i dischi quello che ritenevo più adatto al mio stato d'animo: "Il Lago Dei Cigni".
Lo inserii nel lettore.
E dopo pochi secondi, una musica, dolce e malinconica allo stesso tempo, si diffuse per la sala, dilatandosi nello spazio.
E fu allora che iniziai a danzare.
Con pochi passi delle mie lunghe gambe, mi ritrovai al centro esatto della sala.
Alzai le braccia verso l'alto, come se stessi pregando.
Poi, con uno scatto improvviso, iniziai a piroettare su me stesso, volteggiando leggero sul parquet.
Smisi di piroettare e iniziai a descrivere una catena di chaînes con i piedi, seguiti da rapidi chassé.
Mi esibii in un jetè 4 come non ne avevo mai fatti, quindi eseguii una fuettè all'italiana.
Una volta tornato con i piedi per terra, non mi lasciai neanche un secondi per riprendere fiato che eseguii una ballottè, seguita da una piroetta n°8.
Mentre danzavo, calde lacrime iniziarono a rigarmi le guance, finendo per terra e sulla mia maglietta.
Misi i piedi in terza ed eseguii dei Pas de Chat.
Mi sollevai e terminai il balletto con una Cabriole, un Sous De Basque ed una Entrecalacè.
Mi inchinai, come a voler fingere che un pubblico invisibile mi stesse guardando, applaudendo.
E mi parve di sentire davvero io suono delle mani che vengono battute...
Mi girai di scatto.
Dietro di me, avvolta in una calzamaglia bordeaux e nera, i capelli corti pettinati sul lato destro della testa, Mrs Randall stava applaudendo.
La sua bocca era curvata leggermente all'insù, in segno di fierezza... E felicità.
Mrs Randall: "Bravo. Molto bravo. Non credo di aver mai visto nessuno interpretare un pezzo così triste immedesimandosi così profondamente nel ruolo. Tu, con il tuo stile di danza, sei riuscito a trasmettermi tanta tristezza. I movimenti flessuosi del tuo corpo comunicavano afflizione, tristezza, dolore... un po'come le lacrime sul tuo viso. Perché stai piangendo Michael?" Disse.
Mi portai una mano al viso, asciugandomi le lacrime.
Michael: "Non è nulla..." mentii.
La mia stessa voce mi suonò di menzogna, rotta dal pianto e dal fiato grosso.
Mrs Randall: "Non mentire. Nessuno riesce ad immedesimarsi nel in un ruolo come questo se non prova internamente le emozioni che vuole trasmettere. Perché piangi?" Domandò ancora.
Michael: "No davvero..." provai a dire.
Ma la mia insegnante di danza mi studiò con occhi che avrebbero fatto impaurire persino un leone.
E allora seppi che non c'era più nulla da fare.
Mi sedetti sul pavimento Lucido, appoggiando la schiena al muro.
Nascosi il viso tra le mani e ripresi a singhiozzare.
Dopo qualche attimo di silenzio assordante, sentii dei passi leggeri che si avvicinavano.
Poi una mano mi toccò la spalla, scuotendomi piano.
Mrs Randall: "Michael? Non va tutto bene, vero?" Chiese in tono dolce.
Michael: "Il punto è che... Io sono stato operato... E mentre ero in ospedale..." Non riuscii a finire la frase, perché il pianto mi serrò la gola.
Mrs Randall mi abbracciò piano.
Mi lasciai cullare dal calore delle sue braccia, come un bambino.
Poi iniziai a raccontare di nuovo.
Le parlai di Andreas, e di come mi avesse baciato, di come però tutto fosse andarono storto.
Le dissi dell'operazione e dello strano sogno.
E infine le raccontai di quella notte, del sesso con Blair e della sbronza, fino ad arrivare la momento in cui ero arrivato alla Royal.
Per tutto il tempo lei mi ascoltò, rimanendo in un silenzio attonito.
Quando terminai il racconto, avevo il viso rigato dalle lacrime.
Mrs Randall: "I tuoi genitori sono a conoscenza di questi avvenimenti?" Chiese.
Scossi il capo.
Mrs Randall: "Dovresti parlarne con loro" disse seria.
Michael: "Lo so ma... ho paura" dissi mentre altre lacrime mi rigavano le guance.
Mrs Randall: "Michael... Il mondo è un posto crudele. Ma sappi che della tua famiglia puoi sempre fidarti. Loro sono gli unici che non ti giudicheranno mai, gli unici che non ti volteranno mai le spalle. Per questo dovresti raccontargli ogni cosa" disse in tono dolce ma perentorio.
Michael: "Forse..." iniziai.
Ma Mrs Randall mi bloccò.
Mrs Randall: "Vai a casa Michael. Parlane con i tuoi genitori" disse incoraggiante.
Allora mi alzai da terra, seguito a ruota da lei.
Corsi verso lo spogliatoio ed aprii l'armadietto.
Presi i vestiti e andai in uno dei bagni, cambiandomi velocemente.
Riposi la tenuta da allenamento nell'armadietto, che rischiusi subito dopo.
Uscii dallo spogliato, dirigendomi a grandi passi verso l'ingresso, Mrs Randall che mi seguiva da presso.
Michael: "Grazie di tutto, Mrs Randall" le dissi quando arrivammo all'ingresso principale.
Mrs Randall: "Grazie a te pe avermi ascoltato" disse "Ora va" terminò.
La ringraziai ancora una volta ed iniziai a correre verso la stazione.
Una volta arrivato, obliterai un biglietto e mi diressi al sottolivello.
Una volta arrivato, mi appoggiai al muro nero, iniziando a battere il piede per terra, nervoso.
"Forza..." pensai.
E in quel momento, iniziai a sentire quel rumore.
Lo stridio dei freni del treno che entra in stazione.
Aspettai solo che le porte si aprissero.
Saltai dentro, incurante del fatto che per quanto andassi veloce, mi sarei dovuto adattare alla velocità del veicolo, il quale parti subito dopo.
Binario dopo binario, il treno avanzava.
Secondo dopo secondo, ero sempre più vicino al mio obbiettivo.
Sempre più vicino a casa mia, che di li a breve sarebbe stato teatro di una discussione come poche.
O almeno era quello che presagivo...~Spazioautrice~
Lo so che mi sono fatta molto attendere... scusate! Spero mi abbiate perdonato!
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-entrambe le ff di Extry_Baci, al prossimo capitolo.
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Coming In A Dark World||Mikandy
FanfictionMichael è un ballerino alla "Royal Opera House". Ha 22 anni ed uno spiacevole passato, dal quale fugge attraverso la danza. Si allena strenuamente, dopo la scuola. Ma un giorno, mentre si esercita con gli altri, uno strano tipo si presenta nella s...