Capitolo 13

825 49 9
                                    

Mi svegliai con un sussulto.
Sbattei un paio di volte le palpebre per far abituare gli occhi alla pallida, ma accecante, luce del sole pomeridiano.
Mi stiracchiai, poi mi misi a sedere dritto.
Ero ancora in treno. Quest'ultimo stava avanzando velocemente in un tratto di aperta campagna. Guardai fuori dal finestrino.
Aveva ricominciato a nevicare, i candidi fiocchi che coprivano ogni centimetro di terra. Anche i radi alberi erano coperti da un mantello di neve.
Guardai l'interno della carrozza. Oltre me, c'erano un'altra dozzina di passeggeri, molti dei quali stavano dormendo, tranne due uomini che erano intenti a leggere un giornale.
Presi il cellulare dalla tasca dei pantaloni e lo accesi. L'orologio segnava le 3:58. Era passata circa un'ora da quando ero salito in treno, eppure mi sembrava un'eternità.
Mi stiracchiai una seconda volta. Mi sentivo riposato e, per la prima volta da giorni, tranquillo.
Intrecciai le mani tra loro e rimasi ad ascoltare lo sferragliare delle ruote del treno sui binari.
Fissai lo sguardo fuori dal finestrino, soffermandomi a guardare quella distesa di un bianco immacolato che si estendeva poco oltre i binari. Era qualcosa di straordinariamente bello. E puro.
Fin da piccolo avevo amato la neve, mi piaceva la sensazione dei piccoli cristalli che si scioglievano tra le dita, amavo mangiare i fiocchi che cadevano dal cielo.
Crescendo, però, per me la neve aveva assunto un nuovo significato. Per me era l'emblema della purezza.
Quando guardavo quelle enormi distese bianche, per un momento quasi speravo che tutto, al mondo, potesse essere come quella massa di fiocchi bianchi. Poi mi riscuotevo dai miei pensieri, tornando a guardare in faccia la realtà.
Il nostro mondo si stava consumando a causa di guerre, carestie, genocidi e altri misfatti.
Mi tornò alla mente l'immagine del mobiletto portagioie che avevo visto nella stanza di Enrico VIII.
"Perché? Perché non possiamo ricominciare da capo? Perché non possiamo cercare di rendere il nostro mondo un posto migliore?" Mi chiesi per l'ennesima volta.
Purtroppo, sapevo la risposta. Gli uomini guardano solo ai propri interessi, tanto da non capire che denaro, potere, sesso, fama, gloria non serviranno a nulla quando arriverà la fine.
Perché la fine arriverà. Non si sa ne come, ne quando. Ma arriverà.
E quando dico fine, intendo morte.
Tutti moriamo, fa parte che cerchio della vita.
Si potrebbe dire che, a questo mondo, l'unica cosa certa è la morte, perché, prima o poi, arriva per tutti. Non si ci può fare niente, bisogna solo rassegnarsi.
Scossi la testa, sospirando.
Il mio fiato si condensò, andando a formare una piccola nuvoletta bianca.
Dopo qualche minuto, la voce dell'altoparlante mi riportò alla realtà.
Altoparlante: "Salve gentili passeggeri. Tra qualche minuto arriveremo al capolinea, vi preghiamo si rimanere seduti. Grazie per aver viaggiato con noi" disse la voce registrata.
Mi appoggiai allo schienale, aspettando che il treno entrasse in stazione.
Quando il veicolo iniziò a rallentare, mi alzai in piedi, assieme agli altri passeggeri.
Il treno si fermò e le porte si aprirono.
Scesi velocemente i due scalini che mi separavano dal binario, dirigendomi immediatamente verso l'uscita della stazione.
Oltrepassai le pesanti porte di vetro semitrasparente e mi diressi in strada.
Presi il cellulare e chiamai un taxi.
Mentre aspettavo che questo arrivasse, iniziai a camminare avanti e indietro, stando attento a non urtare la gente di passaggio.
Dopo qualche minuto, il taxi arrivò.
Salii, sedendomi sul sedile posteriore.
Tassista: "Dove la porto, signore?" Chiese l'uomo.
Michael: "Sydney Street" risposi.
L'uomo annuì, poi ingranò la marcia e partimmo.
Durante il viaggio, non potei fare a meno di pensare ai sogni che avevo fatto quella mattina. Tra i tanti, il più assurdo era stato di certo quello in cui mi trovavo in un castello, seduto al centro di un cerchio di candele. Ma la parte più surreale, era di sicuro quella in cui iniziavo ad udire quella specie di grido, solo per accorgermi di essere stato io ad urlare, in realtà.
Sempre che di realtà si possa parlare. Dopotutto era solo un sogno, era tutto frutto della mia immaginazione... oppure no?
In fin dei conti, si potrebbe dire che nulla è pienamente reale e nulla e puramente astratto.
Avrei potuto tranquillamente dire che ciò che avevo sognato era solo il frutto della mia immaginazione, che stava accadendo solo nella mia mente... eppure, in cuor mio, sapevo che, per quanto quel sogno fosse esagerato, conteneva comunque qualcosa di vero.
Eppure, non so per il volere di quale personalità malvagia, per quanto provassi, non riuscivo a distinguere quanto era reale da quanto era frutto della mia mente.
"Vorrei davvero sapere perché il mio cervello elabora sogni dal significato così contorto" mi chiesi.
Ed era proprio per questo che stavo andando allo studio del dottor Swift, uno degli psicologi più famosi di Londra.
Avevo preso un appuntamento con lui due giorni prima, senza dire nulla ai miei genitori.
Volevo venire a capo di quella situazione, e speravo che, magari, un bravo psicologo potesse aiutarmi.
Dopo dieci minuti buoni, il taxi si fermò. Ero arrivato a Sydney Street. Lo studio si trovava poco distante dal punto in cui il veicolo aveva accostato.
Pagai e uscii dall'auto.
Mi incamminai per Sydney Street, camminando a passo svelto, ma facendo attenzione a non scivolare sulla neve sciolta.
Quando arrivai di fronte all'imponente edificio dello studio, bussai al citofono.
Una voce femminile mi rispose.
???: "Salve, studio medico del dottor Swift, come posso aiutarla?" Chiese.
Michael: "Salve, sono Michael Penniman, ho preso un appuntamento con il dottor Swift" risposi.
???: "Prego, entri pure" disse la voce.
Il portone di aprì con un *clic*.
Spinsi la porta ed entrai, richiudendola alle mie spalle.
Oltre la soglia, si apriva un breve disimpegno, oltre il quale c'era una grande stanza circolare. Entrai.
Su un lato, una grande finestra trifora si affacciava sulla strada. Dall'altro, una donna mi guardava, seduta dietro una scrivania di legno chiaro.
Aveva i capelli castani legati in un elegante chignon e indossava un completo di pantalone e giacca blu scuro, con una camicia azzurra.
Michael: "Salve" dissi.
???: "Salve, io sono Alexandra, la segretaria del dottor Swift. Prego mi segua" disse alzandosi dalla comoda poltrona.
Michael: "Si" dissi.
Alexandra uscì dalla grande stanza e si diresse a una rampa di scale, che entrando non avevo notato.
Iniziò a salire, con me che le stavo alle calcagna.
Arrivati in cima, avevo le ginocchia doloranti, mentre lei non sembrava avesse nemmeno il fiato corto.
Mi indicò una porta di legno scuro.
Alexandra: "Questo è lo studio del dottor Swift. Prego, può entrare" disse scostandosi di lato.
Mi avvicinai alla porta e bussai timidamente.
???: "Avanti" rispose una voce.
Aprii la porta, entrando in un grande spazio ben arredato e molto illuminato. Le pareti erano di un giallo acceso, che quasi accecava.
Chiusi la porta, poi tornai a concentrarmi sulla stanza.
Sulla parete destra, una grande libreria era stracolma di libri di tutte le dimensioni, mentre su quella sinistra una grande finestra rotonda illuminava la stanza. Accanto ad essa c'era una porta semichiusa.
Sulla parete di fronte a me, invece, c'era una grande scivania di mogano. Dietro di essa, era seduto un uomo sulla cinquantina. Era tarchiato, da quello che potevo vedere, e indossava un camice bianco. I capelli grigi tagliati corti conferivano al suo viso un'espressione austera.
"Il dottor Swift" Pensai.
Michael: "Salve, sono Michael Penniman, ho un appuntamento con lei" dissi.
Dottor Swift: "Si, mi ricordo di lei, ha chiamato due giorni fa dicendo di avere un problema. Mi segua nell'altra stanza, sarò ben lieto di ascoltarla" disse l'uomo, alzandosi.
Si diresse verso la porta che prima aveva catturato la mia attenzione, aprendola completamente.
Mi fece cenno di entrare, ed io obbedii.
La porta dava su un'altra camera, più piccola della precedente, ma ugualmente confortevole.
Il colore delle pareti era un verde rilassante, mentre la mobilia era chiara.
Addossato alla parete destra c'era un divanetto nero. Vicino ad esso, una sedia con lo schienale alto e dei braccioli molto doppi.
Sul lato opposto, invece, una grande cassapanca dava bella mostra di sé.
Accanto all'ingresso, c'era un appendiabiti.
Dottor Swift: "Prego, tolga il cappotto e si stenda lì" disse indicando il divano.
Feci come diceva, sfilando il cappotto e appendendolo ad uno dei pomi dell'appendiabiti.
Poi mi avvicinai al divanetto.
Mi stesi, lasciando che i miei muscoli si rilassassero.
Il dottor Swift si sedette sulla sedia. Aveva un taccuino in mano.
Dottor Swift: "Bene, signor Penniman, iniziamo la seduta. Sta vivendo un periodo di particolare stress o tensione?" Chiese.
Michael: "Dipende cosa intende per stress o tensione. Se intende sul piano psicologico, si. Sul piano fisico, no. Deve comunque sapere che sono una persona ansiosa." risposi.
Dottor Swift: "Mi spieghi cosa intende per stress sul piano psicologico" Incalzò.
Michael: "Bhe, la prima cosa che deve sapere è che io sono omosessuale e che, per questa ragione, sono molto preso di mira dai bulli. Oltre che per l'orientamento sessuale, sono molto deriso a causa della mia dislessia e della passione per la danza" Spiegai.
Dottor Swift: "Questi "bulli" le fanno del male solo al livello psicologico o anche al livello fisico?" Chiese.
Michael: "Mi hanno picchiato molto spesso. L'ultima volta è stata all'inizio di questa settimana, in un vicolo, poco dopo il mio esame per entrare nel corpo di ballo della Royal Opera House" risposi.
Dottor Swift: "I suoi genitori sono a conoscenza di tutto ciò?" Chiese.
Michael: "Ovviamente no. Non voglio che lo sappiano. Purtroppo, l'ultima volta che sono stato picchiato, mia madre ne è venuta a conoscenza. Chiaramente, non le ho detto che è accaduto altre volte" risposi, improvvisamente nervoso per quella domanda.
Dottor Swift: "Quindi, mi faccia capire: lei non ha detto nulla ai suoi parenti, ma sta raccontando tutto a me, che sono un prefetto sconosciuto. Non lo trova insensato?" Incalzò.
Michael: "Per niente. Conoscendo mia madre, potrei dire che, sentendo cose del genere, si farebbe prendere dal panico. Per ciò che riguarda mio padre, invece, sono sicuro che si arrabbierebbe. In primo luogo con quelli che mi picchiano. In secondo luogo con me, per non essermi difeso e per non averglielo detto prima" risposi cercando di rimanere calmo.
Lo psicologo annuì.
Dottor Swift: "D'accordo. Spesso, eventi di tale portata hanno ripercussioni sui sogni. A lei e successo?" Chiese.
Michael: "Spesso, soprattutto nell'ultimo periodo, anche se devo ammettere che gli incubi hanno accompagnato gran parte delle mia adolescenza" risposi.
Dottor Swift: "Sarebbe così gentile da raccontarmene qualcuno?" Chiese.
Michael: "Certamente. Vuole che le racconti il più spaventoso o quello che mi ha maggiormente impressionato?" Chiesi.
Dottor Swift: "Me li racconti entrambi, signor Penniman" rispose.
Michael: "D'accordo. Quello che mi ha maggiormente spaventato l'ho fatto questa mattina, mentre ero in treno per Humpton Court. Mi trovavo in un castello. Ero seduto al centro di un cerchio di candele. Ad un tratto, da una delle finestre, è entrato un soffio di vento, che ha spento lentamente tutte le candele, tranne una. Sono rimasto a fissare quella candela per un po', poi ho volto lo sguardo fuori dalla finestra. Mi sono accorto che il vento faceva muovere le foglie, ma non ho sentito il fruscio. Ho visto un uccello impegnato in una danza di corteggiamento, ma non ho udito il suo canto. Poi ho iniziato a sentire un brusio, che via via è aumentato d'intensità, fino a diventare un vero e proprio grido. Mi sono messo le mani sulle orecchie... ma l'urlo ha continuato a rimbombarmi nella mente. Poi mi sono accorto di essere io stesso ad urlare, perché una spada mi aveva trafitto il petto. Mi sono accasciato a terra. Il sogno è finito e mi sono svegliato di soprassalto" Spiegai.
Dottor Swift: "Non avevo mai sentito resoconti su un sogno del genere" affermò perplesso.
Michael: "Lo so, non è granché come riassunto... ma è tutto quello che ricordo..." Mi giustificai.
Dottor Swift: "Non si preoccupi, mi basta questo. Adesso, se non le spiace, passiamo all'altro sogno" disse.
Michael: "Certo" dissi annuendo "Questo sogno risale a stamattina, l'ho fatto sempre durante il viaggio. La prima sensazione che avvertii fu quella del vento freddo sulla pelle. Ero in una delle campagne poco fuori Londra. Era notte, la Luna splendeva nel cielo. Ed un tratto, ho visto un bosco in lontananza. Ho iniziato ad avvicinarmici, camminando a passo svelto. Quando sono arrivato di forte al bosco, ho sentito come se una forza mi attirasse a sè. Ho attraversato il bosco, finché non mi sono ritrovato in una radura illuminata dalla luce della luna. Poi ho visto una figura mascherata appoggiata ad una quercia. Mi sono avvicinato ad essa. Questa mi ha posato una mano sulla fronte, mostrandomi delle immagini raccapriccianti. Immagini di morte, sangue e distruzione. Poi mi sono svegliato" raccontai.
Dottor Swift: "Mmm..." disse stringendosi il mento tra indice e pollice.
Michael: "So che sono sogni strani e confusi. Spaventano anche me" dissi vedendo che lo psicologo non accennava a rispondere.
Dottor Swift: "Non è per la confusione. È per il significato, signor Penniman. Non ho mai avuto a che fare con sogni di questa portata..." disse.
Michael: "Immaginavo che avrebbe detto così" dissi rassegnato.
Dottor Swift: "Michael, io proverò ad aiutarla, ma non posso prometterle nulla. Ora, proseguiamo con la visita. Prima mi ha detto di essere omosessuale: ha mai avuto una relazione con un uomo?" Chiese.
Michael: "Una volta mi innamorai di una ragazzo, il quale era, ovviamente, etero. Ci stetti male per un po', ma mi rassegnai. Quindi no, non ho mai avuto una relazione, nè sentimentale, nè sessuale" risposi.
"Ma cosa c'entra questo con i miei incubi?" Mi domandai.
Dottor Swift: "D'accordo. Vuole dirmi altro? Ha notato qualcosa si strano, oltre quando mi ha detto in precedenza?" Incalzò.
Michael: "Uhm... no" risposi seccamente.
Avevo deciso di tenere per me dell'incontro con Andreas e dell'effetto che quest'ultimo aveva su di me. Era una cosa... privata.
Dottor Swift: "Perfetto, non ho altre domande per lei. Dalle sue risposte, posso credere che lei sia soltanto stanco e nervoso. Ad ogni modo, le consiglio di prendere degli antidepressivi che riducano il suo nervosismo" disse.
Michael: "Si, d'accordo" dissi mettendomi a sedere sul piccolo divanetto.
Poi mi alzai.
Dottor Swift: "Vuole prenotare un secondo appuntamento?" Chiese mentre indossavo il cappotto.
Michael: "Non ancora, ma le farò sapere. Per ora quanto le devo?" Chiesi.
Dottor Swift: "Sono 55£. Questa è la ricetta per richiedere gli antidepressivi in farmacia" rispose l'uomo.
Lo pagai e, salutandolo, uscii dalla stanza.
Scesi le scale che conducevano al piano inferiore, ritrovandomi, poco dopo, di fronte all'ingresso.
Michael: "Arrivederci, Alexandra" dissi alla segretaria.
Alexandra: "Arrivederci, signor Penniman" rispose lei, senza staccare gli occhi dal computer che aveva davanti.
Mi diressi verso la porta. La aprii e, dopo essere uscito, la richiusi dietro di me.
Dovevo andare in farmacia per prendere le medicine che il dottor Swift mi aveva prescritto.
Camminando a passo svelto, arrivai all'inizio di Sydney Street.
Dovevo percorrere tutta Onslow Square, poi sarei arrivato di forte alla metro di South Kensington. Da lì, sarei poi sceso a Notting Hill Gate, avrei comprato gli antidepressivi e sarei tornato a casa.
Presi il cellulare a guardai l'ora. Le 5:31. Avevi promesso a mia madre che sarei stato a casa per le 5:00. Ero in ritardo ma, dato che non aveva chiamato, dedussi che non fosse in pensiero per me. In fondo, avevo sempre 22 anni, sapevo badare a me stesso.
Mi incamminai verso Onslow Square.
Mentre camminavo, non perdevo occasione per dare un calcio alle pietre che si trovavano sul marciapiede.
Circa venti minuti dopo, arrivai di fronte alla metro di South Kensington.
Entrai e feci un biglietto, poi scesi al sottolivello.
Dopo qualche minuto, un treno entrò in stazione ed io salii in carrozza assieme a tutti gli altri.
Dovetti fare molta attenzione a non urtare nessuno, poiché il treno era pieno zeppo di persone.
Il treno partì.
Mentre aspettavo di arrivare a Notting Hill Gate, mi arrovellavo su come dire a mia madre che ero andato da uno psicologo, il quale mi aveva consigliato di prendere degli antidepressivi.
Alla fine, optai per la via più semplice. Dirle la verità, cioè che stavo attraversando un periodo si stress molto intenso e che per questo avevo voluto chiedere un parere a uno specialista. Ovviamente, non avrei fatto parola dei miei incubi.
Il treno si fermò. Era la mia stazione.
Uscii dalla carrozza, facendo attenzione a non spintonare nessuno.
Una volta fuori, seguii la fiumana di gente che si dirigeva fuori dalla stazione.
Quando arrivai in cima alle scale, mi diressi immediatamente verso l'uscita. Non ne potevo più, i luoghi stretti o pieni di gente mi opprimevano.
Una volta fuori, inspirai profondamente, lasciando che l'aria fredda mi entrasse nei polmoni, fin quasi a farli bruciare.
Espirai.
Mi riscossi e ripresi a camminare. Dovevo andare in farmacia per comprare le medicine che il dottor Swift mi aveva consigliato di prendere per ridurre lo stress.
Avvolto in questi pensieri, svoltai l'angolo.
Attraversai la strada e mi ritrovai di fronte alla farmacia dove andavo sempre con mia madre.
Sulla porta semitrasparente c'era disegnato il caduceo con attorno i due serpenti. Il segno di Ermes, che secondo i greci era il messaggero degli dei.
Appena fui davanti alle porte, queste si aprirono automaticamente.
Entrai.
L'interno della farmacia era caldo e odorava di disinfettante al limone, come quello che sj usa negli ospedali.
Mi diressi al banco. Dietro di esso c'era una donna. Aveva capelli biondi tagliati corti e dei ridenti occhi verde scuro. Era abbastanza bassa, ma non troppo.
Michael: "Salve, vorrei queste medicine" dissi porgendo alla farmacista la ricetta del dottor Swift.
Farmacista: "Si, gliele do subito" ripose la donna.
Si girò verso gli scaffali alle sue spalle, iniziando a frugare nei vari cassetti.
Alla fine, trovò quello che mi serviva.
Mi porse le due scatolette bianche dopo averle avvolte con cura in un foglio di carta.
Farmacista: "Ecco a lei. Questo è Citalopram, ne prenda una compressa la mattina ed una sera. L'importante è che lo faccia a stomaco pieno" disse.
Michael: "Grazie mille" dissi prendendo le medicine.
La donna mi diede uno scontrino.
Pagai ad uscii.
Percorsi il piccolo tratto che separava Notting Hill da Queensway.
Camminai circa un quarto d'ora, poi arrivai a Queensway. Le strade erano ancora coperte di neve, la quale si stava via via sciogliendo, formando l'argento pozze per terra.
Quando arrivai di fronte alla porta di casa mia, ebbi un attimo di esitazione. E se i miei genitori si fossero arrabbiati perché non avevo parlato con loro della seduta di psicoterapia? E se mi avessero impedito di prendere i farmaci che il dottor Swift mi aveva prescritto?
Alla fine, mi feci coraggio e bussai.
Sentii dei passi leggeri provenienti dall'interno.
Poi la porta si aprì e mia madre fece capolino.
Indossava un vestito a fiori e aveva un libro in mano. Per l'ennesima volta, fui preso da un'ondata di sconforto. Io non sarei mai riuscirò a leggere come facevano lei, mio padre, i miei fratelli e ogni persona normale.
Mamma: "Ciao tesoro" disse distogliendomi dai miei pensieri.
Michael: "Ciao mamma. Scusa se ho fatto tardi, mo non mi sono accorto del tempi che passava..." Mi giustificai.
Mamma: "Tranquillo, ma la prossima volta avvertimi" disse.
Michael: "Si" risposi.
Come se si fosse accorta solo in quel momento che ero ancora fuori casa, mia madre si spostò, permettendomi così di entrare in casa.
Una volta dentro, chiusi la porta.
Posai l'involto contenente le medicine sul mobiletto che si trovava nell'ingresso, poi mi sfilai il cappotto, appendendolo all'appendiabiti a stelo situato vicino alla porta.
Mamma: "Cos'è quello?" Chiese indicando il pacchetto con l'indice destro.
Michael: "Ecco vedi... devi sapere delle cose, mamma. Andiamo in salotto, è lungo da spiegare" dissi prendendo il pacco.
Lei annuii, improvvisamente il suo volto bianco come un lenzuolo.
Entrammo in salotto.
Seduto su una delle poltrone c'era mio padre. Era intento a sfogliare un plico di fogli, probabilmente inerenti al suo lavoro come banchiere.
Papà: "Ciao figliolo" disse senza staccare gli occhi dai fogli.
Mamma: "Caro, Michael deve parlarci di qualcosa" disse a mio padre.
Lui alzò lo sguardo dai fogli, sfilandosi gli occhiali.
Mia madre si sedette sul divanetto, invitandomi ad accomodarmi accanto a lei.
Mi sedetti.
Vedendo che nessuno dei due accennava a fare delle domande, presi la parola.
Michael: "Ehm... devo dirvi alcune cose. La prima, è che sto vivendo un periodo emotivamente stressante, ma non a causa vostra, tranquilli. Siete dei genitori fantastici" esordii "La seconda, è che oggi sono andato a fare una seduta di psicoterapia. Non allarmatevi, per favore. Lo psicologo mi ha detto che, probabilmente, sono solo stressato. Mi ha prescritto alcune medicine, che spero mi lascerete prendere" dissi.
Papà: "Figliolo... perché non ce lo hai detto prima? Saremo stati ben lieti di aiutarti... ad ogni modo, se hai bisogno di qualcosa, chiedi pure. Nel frattempo, puoi prendere le medicine che lo psicologo ti ha prescritto" disse pensieroso.
Michael: "Grazie, papà. E tu mamà, che ne dici?" Chiesi vedendo che non accennava a parlare.
Mamma: "Era da tanto che non mi chiamavi così" disse con le lacrime agli occhi "Se ti fa stare meglio, prendi pure quei farmaci. Se vuoi possiamo prenotare altre sedute di psicoterapia. Nel frattempo se vuoi, puoi aprirti con noi" disse abbracciandomi.
La strinsi forte.
Michael: "Grazie di tutto. Grazie davvero. Voi mi capite e mi supportate sempre, nonostante io dia continui problemi. Prima la dislessia, poi le prese in giro, adesso questo... eppure voi ci siete sempre. Grazie di tutto, vi voglio bene" dissi d'un fiato.
Mi erano venute le lacrime agli occhi.
Mamma: "Anche noi ti vogliamo bene" disse accarezzandomi i capelli.
Le sorrisi.
Nella stanza calò il silenzio.
Dopo qualche attimo di quiete, mia madre prese la parola.
Mamma: "Bhe, vi va del The con biscotti?" Chiese.
Michael: "Si certo. Posso darti una mano a prepararlo?" Chiesi.
Lei annuì.
Ci alzammo, andando verso la cucina.
Mio padre riprese in mano il suo plico di fogli e continuò il suo lavoro.
Mi fermai per un istante sulla porta. Per un attimo, mi illusi che la mia vita sarebbe potuta andare meglio.
Poi mi riscossi, entrando in cucina.
Sorrisi leggermente. Mi ero tolto un'enorme peso, e questo, per ora, mi bastava.

~Spazioautrice~
Attimo di attenzione, prego!
1)Volevo dirvi che ho fatto delle ricerche su psicofarmaci e antidepressivi prima di scrivere il capitolo, quindi, nel caso ve lo stesse chiedendo, si, gli antidrepssivi servono anche a ridurre ansia e nervosismo.
2)Se avete voglia di leggere qualche bella Ff, passate qui:
-Sei la mia ancora e il mio ancora di MIKANDYLOVER
-The Last train di ericafan83
-Eleanor Rigby di iris995
-I Met you di Lindy2026

Coming In A Dark World||MikandyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora