Capitolo 43

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Quella notte il sonno si era fatto attendere a lungo.
Il solo pensiero di dover rivedere il dottor Swift mi faceva gelare il sangue nelle vene.
Nonostante fossi stato io a recarmi da lui per la prima seduta, il ricordo di quanto successo all'ospedale mi terrorizzava, e anche abbastanza.
Quando il sonno era arrivato, infatti, era stato tutt'altro anche ristoratore.
Avevo avuto incubi terribili, che mi avevano strappato grida e lamenti, che avevano squarciato la quiete della notte, svegliando i miei genitori più volte.
Poi, finalmente, ero caduto in un dormiveglia tranquillo, dal quale mi ero svegliato alle 6:00 di quel mattino.
Avevo aspettato fino alle 11:00, prima si decidermi ad intraprendere una nuova battaglia.
Mi ero alzato dal letto con lentezza ed ero andato in bagno, dove avevo fatto una doccia veloce.
Mi ero lavato i denti ed avevo indossato un jeans con una felpa azzurra ed una maglietta bianca, assieme a delle converse violette.
Ero sceso al piano di sotto e, dopo aver salutato i miei genitori, ero uscito di casa.
Avevo preso il treno ed ero andato all'ospedale.
Al momento mi trovavo nella sala d'attesa, in piedi accanto al grande finestrone.
Stavo aspettando che il dottor Morrison mi chiamasse, in modo che potesse sterilizzare le ferite e lasciarmi andare dallo psicologo.
A dire la verità, non ero molto sicuro di volere che il tempo passasse.
Avrei preferito che si fermasse per darmi il tempo di pensare, cosa che raramente mi concedeva.
Cosa volevo davvero?
Era quella la vita che desideravo vivere?
Sospirai.
Non lo sapevo.
Ad un tratto, una voce interruppe il flusso dei miei pensieri.
Dottor Morrison: "Michael? Vieni, tocca a te" mi chiamò.
Michael: "Oh... arrivo" dissi.
Mi alzai dalla scomoda sedia di plastica e andai dal dottor Morrison, che mi salutò con una stretta di mano.
Dottor Morrison: "Come stai oggi, giovanotto?" Chiese mentre ci dirigevamo al suo studio.
Michael: "Meglio... credo" balbettai.
Il medico aggrottò le sopracciglia, ma non disse nulla.
Quando arrivammo di fronte alla porta, Morrison la spinse, entrando.
Dottor Morrison: "Siediti lì" disse indicando il lettino.
Feci come ordinava, osservandolo poi mentre frugava tra lacci emostatici e siringhe.
Il medico si lavò le mani, riempiendo una bacinella d'acqua.
Prese un panno pulito ed un ago e venne verso di me.
Dottor Morrison: "Sai già cosa devi fare" disse.
Io annuii.
Mi sfilai la felpa, piegandomela in grembo.
Porsi il braccio al dottor Morrison, che subito iniziò ad eliminare le secrezioni e le croste con quell'ago affilato e sottile.
Strinsi i denti, cercando di non urlare.
Dottor Morrison: "Hai ripreso a mangiare, ragazzo?" Chiese.
Michael: "Ehm... io..." inizia "No, signore" confermai.
Il medico sospirò.
Dottor Morrison: "Se vuoi guarire non puoi continuare così" disse "Lo sai questo, vero?" Chiese.
Annuii.
Dottor Morrison: "Perfetto" disse "Dopo verrai a bere un caffè con me" Continuò.
Michael: "Non so se è una buona idea..." tentai di dire.
Dottor Morrison: "Sciocchezze" disse senza staccare gli occhi dal mio braccio "È un'idea ottima" sentenziò con un sorriso.
Deglutii.
Morrison continuò il suo lavoro, sfiorando appena le ferite con l'ago.
Michael: "Ahi!" Urlai quando cercò di rimuovere una crosta ostinata.
Dottor Morrison: "Scusami" disse lui.
Pochi minuti dopo, era tutto finito.
Il medico posò l'ago ed immerse il panno nella bacinella.
Me lo passò sul braccio con movimenti delicati e molto lenti, per non farmi sentire dolore.
Poi prese un rotolo di bende e vi avvolse il braccio dentro, chiudendo la fasciatura con un cerotto.
Dottor Morrison: "Ecco fatto" disse mettendosi le mani sui fianchi "Dovrai tornare solo un'altra volta. Le ferite sono in via di guarigione" spiegò.
Annuii, sollevato.
Mi rinfilai la felpa e mi alzai dal lettino.
Dottor Morrison: "Vieni, andiamo" disse aprendo la porta.
Mi condusse per il lungo corridoio dell'ospedale, per poi farmi scendere tre rampe di scale.
Arrivammo così al piano terra, dove svoltammo a destra, ritrovandoci nella caffetteria dell'ospedale.
Il medico si avvicinò al bancone, sedendosi su uno sgabello.
Lo imitai, accavallando successivamente le gambe.
Dottor Morrison: "Cassy, due caffè macchiati ed un cornetto, perfavore" disse alla donna in piedi dietro il registratore di cassa.
Cassy: "Subito, dottor Morrison" disse lei con un sorrisetto.
Dopo pochi istanti, la ragazza posò sul bancone due tazzine ed un piattino con il cornetto.
Dottor Morrison: "Prego" disse indicando il cibo.
Deglutii, per poi prendere la tazza e mandare giù un sorso di caffè.
Subito un conato di vomito mi assalì, togliendomi il fiato.
Cercai di fare finta di niente e vuotai la tazza.
Poi, con mani tremanti, presi il cornetto.
Diedi un morso alla punta.
Era ripieno di cioccolato fondente e mi nauseò ancora di più.
Michael: "Mi scusi dottore, non ci riesco..." dissi.
Il medico mi squadrò con occhi attenti.
Dottor Morrison: "Va bene" concesse "Almeno ci hai provato" disse.
Annuii.
Michael: "Scusi, signor Morrison? Saprebbe dirmi che ore sono?" Chiesi.
Dottor Morrison: "Sono le 14:20" disse guardando l'orologio.
Michael: "Mi scusi ma devo andare. Alle 15:30 ho appuntamento con il dottor Swift" dissi alzandomi "Grazie del caffè" continuai prima di andare via.
Dottor Morrison: "Ciao, ragazzo. Riguardati!" Disse prima che scomparissi dietro l'angolo.
Mi affrettai a raggiungere l'uscita dell'ospedale.
Quando fui in strada, presi il cellulare e chiamai un taxi.
Questo arrivò pochi minuti dopo ed io mi sedetti sul sedile posteriore.
Tassista: "Dove la porto?" Chiese l'uomo.
Michael: "Sydney Street, grazie" dissi io.
L'uomo mise in moto e partimmo, zigzagando nel traffico di Londra.
Circa una mezz'oretta più tardi, arrivammo all'incrocio.
Pagai il tassista e scesi dall'auto, dirigendomi verso il grande edificio che era lo studio del dottor Swift.
Mi avvicinai al citofono e premetti il pulsante.
Pochi secondi dopo, una voce femminile mi rispose.
Era Alexandra, la segretaria dello psicologo.
Alexandra: "Chi è?" Chiese.
Michael: "Sono Michael Penniman, ho un appuntamento con il dottor Swift" dissi.
Alexandra: "Prego, entri pure" disse facendo scattare la serratura.
La porta si aprì ed io entrai.
Ebbi il tempo di fare appena due passi, che Alexandra mi fu davanti.
Indossava un pantalone a zampa nero ed una camicetta azzurra che le metteva in risalto il seno abbondante.
Alexandra: "Salve" mi salutò "Prego, mi segua" disse iniziando a salire la rampa di scale che portava al piano di sopra.
Una volta in cima, bussò alla porta di Swift.
Alexandra: "Signore? È arrivato il suo paziente, il signor Penniman. Lo faccio entrare?" Chiese.
Dottor Swift: "Si, Alexandra" disse lui.
Alexandra: "Prego" disse indicando la soglia.
La salutai con un cenno del capo ed entrai, chiudendo la porta.
Gettai uno sguardo alla stanza.
Il lettino e la sedia erano esattamente dove li avevo visti l'ultima volta.
Sospirai.
E così, stava per succedere di nuovo.
Avrei di nuovo dovuto affrontare Swift.
Lo psicologo era seduto dietro la grande scrivania di legno, e mi guardava con occhi vitrei.
Dottor Swift: "Ciao, Michael" disse.
Michael: "S-salve... signor-re" lo salutai.
Dottor Swift: "Vieni qui" ordinò in tono piatto, indicando una delle sedie di fronte a sè.
Feci come diceva, avvicinandomi.
Mi sedetti sulla sedia, cercando di tenere la schiena ritta.
Dottor Swift: "I tuoi genitori sono molto preoccupati per te, lo sai, vero?" Chiese.
Annuii.
Dottor Swift: "Perfetto. Immagino tu sappia che sono stati loro a prenotare questa seduta, giusto?" Domandò.
Annuii una seconda volta.
Dottor Swift: "Benissimo" disse con un sorriso rassicurante "Prima faremo una classica seduta di psicoterapia, come la facemmo la prima volta che ci incotrammo" iniziò "Poi rifaremo il test con lo specchio" disse indicando una lastra coperta da un panno scuro che prima non avevo notato.
Deglutii, annuendo.
Dottor Swift: "Prego, sfilati il cappotto e stenditi sul lettino" disse.
Michael: "S-s-si" balbettai io.
Dottor Swift: "C'è qualcosa che non va?" Chiese.
Michael: "N-no... va tutto... bene" dissi appendendo il giubbino ad un gancio.
Lo psicologo sospirò, per poi alzarsi ed andarsi a sedere sulla sedia accanto al lettino.
Io, dal canto mio, mi stesi su quest'ultimo, appoggiando la testa su un morbido cuscino.
Dottor Swift: "Bene, iniziamo" disse "Che ne dici di raccontarmi quello che ti è successo negli ultimi giorni?" Chiese.
Michael: "Va bene" dissi senza troppa sicurezza "Bhe... come ben sa, questo per me è un brutto periodo. Dopo essere stato dimesso dall'ospedale, ho continuato a stare male. Mi rifiutavo di mangiare e di avere contatti con il mondo, come certamente i miei genitori le avranno detto" iniziai "Due giorni fa, però, il mio ex ragazzo di è presentato a casa mia. Inizialmente, mia madre non voleva farlo entrare. Sono stato io a pregarla di lasciarlo salire nella mia stanza" raccontai "Quando siamo arrivati... ecco... non so come spiegare quello che è successo. So solo che, ad un certo punto, lui si è avvicinato a me ed ha iniziato a baciarmi. Sulle prime, l'ho allontanato da me, quasi con disgusto" mi leccai le labbra, mentre quella scena prendeva nuovamente forma nella mia mente "Poi sono caduto in una sorta di trance, come se fossi stato ipnotizzato. In preda ad una strana rabbia, mi sono sfilato la maglietta ed ho tolto le bende, in modo che potesse vedere le mie ferite" continuai "A quella vista è rimasto basito. Poi, dopo qualche istante di silenzio, si è avvicinato a me. Mi ha preso in braccio e mi ha baciato di nuovo. Avrei voluto staccarmi dalle sue labbra, ma era come se una forza magnetica mi trattenesse..." dissi mentre delle lacrime iniziavano ad uscire dai miei occhi "ho lasciato che mi facesse stendere sul letto, che si stendesse sopra di me. Non mi sono ribellato quando ha iniziato a baciarmi il collo, né quando mi ha succhiato il capezzolo. Mi sentivo sporco, stupido a farmi usare a quel modo. Ma non avevo il coraggio di fermarlo. Ero come immobilizzato dal piacere che mi stava facendo provare. Il mio corpo e la mia mente non erano più collegati tra loro..." una lacrima mi bagnò la guancia "E poi... poi ho trovato il coraggio di mandarlo via. Gli ho detto di non farsi più vedere, che se davvero mi aveva mai amato avrebbe capito che quello era l'unico modo per farmi stare bene..." terminai, per poi scoppiare in un pianto sconsolato.
Dottor Swift: "Michael, calmati" disse.
Michael: "Calmarmi? Calmarmi?!" Urlai "Leo riuscirebbe a stare calmo dopo essere stato usato a quel modo dal proprio ragazzo?! Allora?! Ci riuscirebbe?!" Chiesi con furore.
Poi mi presi il viso tra le mani, iniziando a piangere ancora più forte.
Poi, ad un tratto, sentii una mano sulla spalla.
Dottor Swift: "Non urlare. Stai tranquillo. Sei qui per svuotare la tua mente, per farti aiutare" mi disse "Se hai fatto quello che credevi fosse giusto, non hai nulla per cui valga la pena arrabbiarsi" Continuò.
Michael: "Il punto, signore, è che... è che... è che non sono sicuro di nulla. Mi sento come un granello di sabbia nelle mani della vita. Nono riesco a prendere una decisione senza pentirmene e non riesco a dire quello che voglio nel momento in cui lo voglio..." dissi.
Dottor Swift: "Capisco" disse dopo un attimo di silenzio.
Sospirai, asciugandomi gli occhi con la manica della felpa.
Dottor Swift: "Penso che possa bastare. Non voglio che tu pianga ancora. Almeno non oggi" disse.
Annuii.
Poi, ad un tratto, sentii un groppo in gola.
Michael: "Scusi... io... mi serve un bagno..." dissi.
Lo psicologo mi indicò una porta.
Mi alzai velocemente dal lettino e corsi in quella direzione.
Mi inginocchiai di fronte al gabinetto e vomitai la colazione.
Sentii altre lacrime rigarmi il viso, impetuose come un fiume in piena.
Poco dopo, sentii dei passi provenire da poco lontano.
Il dottor Swift mi guardò, ritto sulla porta.
Dottor Swift: "Ma cosa..." iniziò "Tutto bene?" Chiese.
Non risposi.
Mi alzai dal pavimento e scaricai.
Andai verso il lavandino con passo insicuro ed aprii il rubinetto.
Mi sciacquai la bocca.
Poi presi un bel respiro.
Michael: "Mi scusi..." dissi, consapevole di non esser stato un bello spettacolo per Swift.
Dottor Swift: "Non... non fa niente, sta tranquillo" disse "Vieni, appoggiati a me" disse porgendomi il braccio.
Lo presi con mano tremante e mi feci accompagnare fino al lettino, sul quale mi lasciai pesantemente cadere.
Strinsi i denti e sbuffai.
Michael: "Perchè?" Chiesi ad un tratto.
Dottor Swift: "Cosa 'perché'?" Chiese lui.
Michael: "Perchè mi succede questo ogni volta che mangio?" Chiesi ancora.
Il dottor Swift sospirò, pensandoci su.
Dottor Swift: "Credo che sia per colpa della tua... anoressia" disse "Il tuo corpo rifiuta il cibo perché il tuo cervello non gli consente di ingerirlo" Continuò "È una cosa molto comune, nei giovani che soffrono di questo disturbo. L'unico modo per uscirne è cercare di convincersi che è tutto un trucco della propria mente. Pochi, però, hanno la forza di volontà necessaria" spiegò.
Michael: "Oh..." dissi.
Mi sentivo privo di forze, come un palloncino sgonfio.
Michael: "E... e lei può fare qualcosa per aiutarmi?" Gli Chiesi.
Dottor Swift: "Bhe, il test dello specchio avrebbe aiutato, ma non voglio costringerti a farlo in queste condizioni..." disse.
Michael: "Voglio fare il test" dissi "Se può farmi stare meglio voglio che me lo faccia fare adesso" continuai.
Dottor Swift: "Non so se è una buona idea..." disse lui.
Michael: "La prego" supplicai "Mi lasci provare" implorai.
Dopo qualche istante, Swift cedette.
Dottor Swift: "Dovresti spogliarti" disse "Togli tutto tranne i boxer"
Michael: "Va bene" dissi alzandomi piano dal divanetto.
Lo psicologo andò verso lo specchio coperto e tirò via il panno.
Intanto, iniziai a togliermi i vestiti.
Sfilai le scarpe ed i pantaloni, per poi passare alla felpa ed alla maglietta.
Rimasto in boxer, presi un respiro profondo.
La testa mi girava, ma cercai di non farci caso.
Mi avvicinai allo specchio ad occhi chiusi.
Quando fui abbastanza vicino, sollevai le palpebre.
Diedi uno sguardo accurato al mio riflesso, come da tempo non facevo per la paura di vedere quanto il mio corpo fosse consumato.
Le mie gambe, un tempo atletiche, erano ridotte ad esili arti coperti da pelle cascante.
Il torace era più magro che mai, e si vedevano le costole e la colonna vertebrale.
In compenso, l'unica fasciatura visibile era quella al braccio sinistro.
Il viso, invece, era pallido e le guance incavate.
Le labbra erano l'unica nota di colore concessa al mio corpo scempiato, perché erano rosse come melograni.
Rabbrividii.
Sentii delle lacrime scendere dai miei occhi per la seconda volta quel giorno.
Strinsi i pugni, furioso verso me stesso.
Dottor Swift: "Cosa vedi, Michael?" Chiese.
Michael: "Vedo uno sgorbio. Un corpo orrido, troppo magro e pieno di ferite. Un organismo consumato dall'anoressia" dissi.
Dottor Swift: "E cosa pensi significhi questo?" Chiese.
Michael: "Suppongo che sia solo il riflesso della mia anima. Essa è piegata, spezzata. Ed il corpo in cui alloggia le somiglia" dissi.
Dottor Swift: "Capisco" disse "Puoi rivestirti" Continuò.
Annuii, tornando al divanetto.
Mi rivestii in fretta e tornai a stendermi.
Dottor Swift: "Penso che per oggi possa bastare" disse "Sei troppo stanco ed inoltre non penso che tu possa sopportare ancora altri test" sentenziò.
Annuii.
Dottor Swift: "Puoi andare" disse.
Mi alzai dal lettino e andai a prendere il mio cappotto.
Me lo infilai, per poi salutare il dottor Swift.
Michael: "Grazie di tutto" dissi tendendogli la mano.
Dottor Swift: "Grazie a te, ragazzo" disse lui.
Mi diede una pacca giocosa sulla spalla e mi accompagnò al piano inferiore.
Salutai Alexandra ed uscii dall'abitazione.
Intanto, fuori era calata la sera.
Controllai l'orario sul cellulare: le 18:40.
Decisi di tornare a casa piedi, in modo da poter rimuginare su quello che mi aveva detto il dottor Swift.
O meglio, su quello che io avevo detto a lui.
Sospirai, per poi infilare le mani in tasca ed iniziare a camminare.
Ben presto, iniziò a scendere una leggera pioggerellina, dalla quale mi riparai usando il cappuccio.
Poco dopo, la pioggia divenne neve, bianca e spettacolare.
Ad un tratto, la quiete di quella strada fu interrotta dal rumore dei freni di una macchina.
Mi girai verso la direzione dalla quale esso proveniva e fui sorpreso nel ritrovarmi davanti una macchina sportiva nera.
Alla sua guida, Andreas Dermanis.
Il biondo accostò, scendendo dall'auto.
Io continuai a camminare affettando il passo.
Pochi istanti dopo, però il biondo mi prese per il polso.
Andreas: "Aspetta!" Disse "Ti prego"
Michael: "Mi sembrava di averti detto di lasciarmi in pace, o sbaglio?" Dissi glaciale.
Andreas: "Michael, ti prego. Voglio rimediare. Vieni a fare una passeggiata con me e ti spiegherò ogni cosa" disse.
Deglutii.
Michael: "No" dissi secco.
Andreas: "Per piacere" supplicò lui.
Michael: "Ho detto no!" Esclamai.
Andreas: "Michael, io so tutto. So che stai male, so che hai tentato il suicidio. So che soffri di anoressia, so che i tuoi genitori non sanno più cosa fare. Lascia che ti aiuti. Ti prego" disse.
Michael: "Io..." iniziai.
Non sapevo più come continuare.
Da un lato, volevo che Andreas mi aiutasse.
Ma dall'altro, non volevo che lo facesse.
Michael: "Va bene" mi arresi "Verrò a passeggiare con te. Ma dopo dovrai riportarmi a casa" dissi.
Andreas: "Va bene" disse lui.
Salimmo nella sua auto e il biondo mise in moto.
Sarebbe stata una lunga serata...






Coming In A Dark World||MikandyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora