Capitolo V

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Ore 10.50 – San Francisco

Irina varcò lentamente l'entrata del parcheggio interrato del quartier generale dell'F.B.I., sentendosi come una bambina che entra in un luogo che sa essere proibito. Le luci al neon illuminavano le pareti di cemento grigio, il soffitto basso e lettere che indicavano i settori appesi al muro. Come le aveva detto la guardia all'entrata, seguì la striscia rossa dipinta per terra che portava a una determinata area del garage sotterraneo.

Raggiunse un parcheggio più sgombro rispetto agli altri, e individuò subito la Ferrari di Xander. Rossa, spiccava in mezzo a tutte le altre auto scure, ma non osò parcheggiarsi vicino. Si fermò a una decina di metri di distanza e scese dall'auto.

Guardandosi intorno con aria leggermente spaesata, cercò con gli occhi la persona che doveva essere stata mandata per accoglierla. L'unica cosa che vedeva, però, era un luogo piuttosto inospitale e quasi freddo.

<< Eccola >> disse una voce di donna alle sue spalle.

Si voltò di scatto, per vedere correre a piccoli passi verso di lei una signora vestita con un tailleur azzurro, dai capelli tirati in uno chignon e gli occhi cerchiati dagli occhiali dalla montatura argentata. Le porse la mano con un sorriso sbrigativo, quasi avesse di meglio da fare che venire a cercare lei.

<< Benvenuta. Sono Colette Duruois, lei deve essere la signorina Dwight >> disse, << Prego, mi segua >>.

Senza nemmeno lasciarle il tempo di salutare, indicò la porta dell'ascensore e la precedette, premendo il tasto di chiamata in modo abbastanza violento.

<< McDonall la aspetta nel suo ufficio >> disse la segretaria, visionando alcuni fogli che teneva in mano, << Mi ha detto di riferirle che la prossima volta le darà un badge per l'entrata... >>.

<< Oh, grazie mille >> disse Irina, mettendo piede nell'ascensore, un po' spaesata.

Stava pensando che era arrivata a San Francisco in due ore... Velocità media duecento chilometri all'ora. Decisamente ricordava ancora come si guidava.

L'ascensore salì di diversi piani, poi si fermò con un sibilo. Le porte si aprirono su un corridoio lungo e dalle pareti bianche, molto simile a quello di un ospedale.

La segretaria indicò la porta in fondo. << Deve andare laggiù >> disse, << Mi dispiace non accompagnarla, ma devo sbrigare alcune faccende di sotto... Buona giornata >>.

Ci mancò poco che la spingesse fuori dall'ascensore, e Irina si affrettò a lasciarla andare. Si guardò un momento intorno, poi iniziò ad avvicinarsi alla porta chiusa, incrociando un signore in maniche di camicia a metà strada, che non la calcolò e continuò a sfogliare il suo plico con aria annoiata.

Arrivata davanti all'ufficio di McDonall, fissò per un istante il cartellino appeso alla porta, rendendosi improvvisamente conto che quello era il mondo diXander...

Lo aveva immaginato tante volte, chiedendosi come fosse il posto in cui Xander passava metà della sua vita e che in qualche modo li aveva anche fatti incontrare... Le sembrava tutto molto strano, quasi si trovasse lì solamente in sogno: si muoveva piano, come se da un momento all'altro tutto potesse crollare o scomparire. Appariva come un sacrilegio, farsi vedere lì dentro.

Fissò il battente della porta, incerta; poi si schiarì la voce e bussò.

<< Avanti >>.

Titubante, aprì la porta ed entrò nell'ufficio, ritrovandosi in una grande stanza illuminata a giorno, con le vetrate che davano sul parcheggio interno del quartier generale. Diversi scaffali di legno pregiato occupavano le pareti, pieni di archivi e libri, e al centro c'era una scrivania di mogano, dall'aria costosissima. Dietro, seduto e con l'espressione amichevole, c'era il Vicepresidente McDonall, una riproduzione della bandiera americana alle sue spalle.

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